16/07/08

La ricaduta

di Lobanowski 3

Ci sono certi momenti che ti fanno capire che il vento fa il suo giro. Quello che ci siamo messi alle spalle, è stato sportivamente (nel senso più serio del termine) parlando, un anno disastroso per il sottoscritto. Per lo "Zini" di Cremona, perchè cerco il Parma nelle pagine del mercato di A e invece è accanto al Piacenza a pagina 18 della Gazzetta. La mazzata finale l'ha data il rigore di Di Natale. E, mettiamoci pure il dritto di Marat Safin contro Nole a Wimbledon. Insomma, appallottolare e cestinare.
La grandinata di delusione ha estinto la mia voglia di calcio; mi rompo a scrivere e parlare di mercato, dei lavori allo stadio, di chi si iscrive e chi no. Ho, o per meglio dire, avevo, una voglia fottuta di cadere il letargo e di risvegliarmi d'incanto a fine settembre. Con la Premier che è alla quarta, col Foggia già fuori dalla Coppa Italia e col Parma che ha pareggiato al 93' a Frosinone all'esordio. E' l'intermezzo che odio, è il periodo più brutto.
Eppure il vento fa il suo giro, si diceva. E l'ha fatto il giorno della presentazione dei quattro nuovi allo "Zaccheria". Poca gente fuori, sempre molto scettica, ma soprattutto motore del pullman acceso. Il Foggia stava partendo per Gubbio. In ritiro, lontano dal nulla e dai "si dice" o "pare che si compri Tizio, Caio" o i "ma non potevamo tenere Sempronio?".
Dico da molti giorni di essere provato, stanco e con la voglia matta di staccare la spina. Eppure quel motore acceso e i borsoni che venivano caricati nel vano bagagli, m'hanno messo il cece in testa. Per un anno l'ho fatto; e lontano dal vuoto e dai "si dice" ci sono stato per due settimane. Finisci per sentire ancora più tuo il Foggia, perchè lo vedi crescere quasi 24 ore su 24. E te ne freghi di chi è scettico o speranzoso.
Credo che per me sia cominciata così la nuova stagione. Con questo sussulto che m'ha fatto ripensare a Bressanone, che m'ha fatto perdere di vista per un attimo il conto alla rovescia che mi divide dal 2 Agosto e dalla spiaggia. E' il modo di ricominciare; a Gubbio non ci andrò, ma il fatto d'averci pensato anche solo per una frazione di secondo, ha scosso qualcosa.
Sembra più lontano Temelin e il guardalinee, Mimmo Di Carlo ed Hector Cuper, Fabregas e il "game-set-match" del secondo turno sull'erba. E lo dico, mentre cerco di capire quando verranno compilati i gironi.

05/07/08

Voglio ancora vedere i papanonni volare

di Lobanowski 1

Una partita da infarto. Quante volte l’abbiamo detto. O sentito dire. Ecco, anche a me qualche volta è capitato di vedere le stelline bianche ruotare davanti le mie orbite. Forti emozioni al limite del sopportabile. Per colpa, o per merito, sempre dell’U.S. Foggia.

L’ultima, manco a dirlo, a Cremona. 700 chilometri (in andata) di voglia di crederci, passione, ma anche stanchezza (la spossatezza di sguazzare nello stagno della serie C) e tanta speranza nella buona sorte. È solo suggestione, certo, ma a volte il tifoso l’avverte il vento dell’impresa che si stampa in faccia, quando sei sui gradoni di uno stadio, magari in una semifinale play off. A Cremona non c’era vento, solo umidità sommata a umidità. Ma avevo fiducia. Anche perché mica li affronti così 1400 chilometri (A/R), se non hai fiducia. Insomma, credevo possibile l’impresa. Non chiedetemi spiegazioni logiche: mi dicevo (lo dicevo quando eravamo a meno 8 dalla zona spareggi, e mi prendevano per pazzo. E ammetto che un po’ di disperazione c’era…) che dopo la pugnalata in pieno petto ad Avellino, la sorte ci avrebbe restituito il maltolto. Un bottino che s’accumulava da anni. Ci sentiamo tifosi eletti di una squadra eletta, almeno da serie B. Tutto ciò che è meno di tanto è merce rubata dalle nostre tasche.

Quando a Cremona Del Core ha insaccato di testa in rete, dopo l’uscita a vuoto dell’estremo grigiorosso, tutti questi pensieri hanno attraversato come elettricità pura il sistema nervoso mandando in corto i neuroni. Così, dopo aver alzato al cielo il pugno sinistro e lanciato un urlo da mandare in ipossigenazione, ho visto i papanonni danzare davanti i miei occhi. E mi sono seduto. Quando i miei compagni di viaggio si sono girati per condividere gioie e abbracci, m’hanno visto a stento, sommerso dalla calca festante. Non ho detto niente, ovvio. Sarebbe passata. E così è stato. Partecipando ai 15 minuti più belli degli ultimi 10 anni della storia rossonera. Quelli dell’intervello di Cremona. Quando crederci non era più da pazzi.

Ricordo un Cosenza-Foggia ascoltata in radio. Campionato 1987/88, il Foggia di Marchioro. Una partita che sentivo molto, quella contro i calabresi. Scontro al vertice. Poco contavano le fisime da ultrà. Non sono mai andato troppo dietro alle rivalità costruite dai gruppi organizzati. Ad esempio a me piacciono assai i tarantini. Grande tifoseria. E mi stanno sulle palle i leccesi. Vabbè, per non parlare delle tifoserie di sinistra: a quelle guardo con simpatia a prescindere. Comunque, al “San Vito” passammo in vantaggio con un gol di Scienza, un missile da 40 metri, specialità del nostro centromediano. L’esultanza in cameretta fu scomposta a tal punto che mi sentii mancare. E fui costretto a spegnere la radio. La riaccesi nell’intervallo. Finì 1 a 1 con gol rossoblu di Padovano. Loro promossi, quell’anno, mentre il nostro campionato (nostro dei tifosi) finì sugli spalti del “Romagnoli” di Campobasso.

Altro colpo secco allo sterno è stato il 2 a 0 di Cava, play off 2007. Il secondo gol era il viatico per il terzo, lo si capiva da come stavamo in campo noi e da come giocavano loro. Ero a casa: al 2 a 0 me ne sono scappato in camera da letto. Tacciato di vigliaccheria da Tiziana. Ma perché avrei dovuto accettare di assistere alla carneficina della mia squadra, dei nostri sogni di promozione? Avrei voluto prendere un sonnifero, sprofondare nel buio. Non resistetti. Tornai in soggiorni giusto in tempo per vedere il liscio di Moi e il 3 a 0 loro. Ma se mi fossi davvero addormentato, mi sarei perso la gioia del gol di Mastronunzio, quello che fece pronunciare alla mite Tiziana parole da camionista dell’Anatolia, rivolte ai tifosi cavesini e alla loro trovata dei fischietti.

In una sola occasione ho disertato una gara per evitare collassi definitivi. Il mio personale punto più basso di tifoso. Semifinale play off di ritorno contro l’Igea Virus, campionato di C2. All’andata 1 a 0 per noi. Al ritorno l’imperativo è non perdere. Unitile ribadirlo, altra partita che mi consuma lo stomaco, che irrigidisce i muscoli. Uscire dalla palude della C2 sarebbe un atto di dignità, almeno. Telefoggia si assicura la diretta. Potrei vederla in tv. Mezz’ora prima dell’inizio me ne vado a Manfredonia, al mare. Senza una meta precisa, se non Aulisa per un gelato. Non prima di aver mandato Elena in avanscoperta. Hai visto mai che avevano una tv o una radio accesa. Mi rimetto in viaggio verso Foggia e alle 16.55 sono al curvone del camposanto. Solo allora accendo la radio. “Ormai è fatta”, mi dico. Metto su la radio e in quel preciso istante Michele Carelli annuncia il gol, con voce tranquilla (io la interpretai sul momento come mesta) di Rosa dell’Igea. Poi aggiunge un per me liberatorio “2 a 4 per il Foggia”. La sensazione fu come se il cervello si aprisse modello Mar Rosso nei kolossal biblici. Tornai a casa strombazzando con la Y10. Poi cu fu Paternò, ma quella è un’altra storia. O meglio un’altra sofferenza.

Ma la prova del fuoco per le coronarie di ogni buon tifoso rossonero, lo sappiamo tutti, fu quel Palermo-Foggia giocato sul neutro di Trapani. In palio la serie B. Una sorta di spareggio. Perché per tutti, lungi ancora da venire la malsana idea dei play off, quella partita è ricordata come una finale. Come i tifosi del Manchester United ricordano quella col Bayern in Coppa Campioni, così è per noi l’ultima giornata del campionato di C1 stagione 1988/89. Noi avanti di due punti sui rosanero. Lo scherzo del destino: lo scontro diretto in coda al calendario. Se vincono loro è spareggio, con qualsiasi altro risultato in B ci andiamo noi, a far compagnia al Cagliari. Il gol di Barone su punizione, in realtà un cross tagliato in area finito nella rete. Il pareggio di Autieri. L’uomo in meno per noi. Furono 90 minuti e passa da defibrillatore. Ero allo “Zaccheria”, a soffrire con altri 10mila ascoltando la diretta radiofonica da casse che andavano in distorsione nei momenti più concitati, quando alzava la voce il radiocronista. Essere usciti vivi da lì è un salvacondotto per ogni emozione forte. Anche per questo non vedo l’ora che arrivi settembre. Per vedere ancora i papanonni volare. Con un finale diverso, magari.

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