22/10/12

Sotto il Vesuvio


Domenica 21 ottobre, Sant’Antonio Abate-Foggia 0-0

È sempre così. Per due settimane il nulla, poi di botto tutto. Il tutto. Nel momento meno opportuno. Eravamo pronti per Bisceglie. Tutti liberi, senza impegni, col biglietto già fatto e il pullman prenotato, la sera che è giunto il divieto del Prefetto. Ci siamo dati da fare a masticarci il fegato, come la gomma del ponte. In casa col Potenza c’eravamo quasi tutti, vero. Ma in casa vale meno. Molto meno. La sera di Ordona, la sera dell’amichevole infrasettimanale, abbiamo già qualche defezione. Ma poi il lavoro chiama. E ci decima. È una dannazione.
Ha ragione Angelo: “Gli Ultras del Treviso non hanno alcun problema di questo tipo”. Escluso quello di essere di Treviso, off course. Lì si lavora in fabbrica dal lunedì al venerdì, magari anche il sabato. Ma il ritmo della vita è regolare come la nebbia sui canali. Qui invece, tra emigrati, emigrandi e precari cronici, l’unità dei gruppi è un mito come il Popolo dei boschi. Chi lavora, lavora quasi senza preavviso. E quasi sempre nei week-end. Così la trasferta di Sant’Antonio Abate si schiude in un rosario di bestemmie.

Pullman, come prestabilito. Come a Santa Maria Capua Vetere. Ho dato un’occhiata alla vista del paese dall’alto su Google Maps. Una strada che cambia nome. Da Angri a Castellammare di Stabia. Senza soluzione di continuità. Appuntamento farlocco, con largo anticipo. O autista con largo ritardo. Lo danno disperso nelle campagne punteggiate di arature. Quando arriva, il torpedone si riempie in un niente. E in un niente parte. Ci sediamo dove capita. E Bara bara bara, bere bere bere. Il Conte, in ossequio al suo stress da trasferta, all’ansia da prestazione di curva, tira fuori un umile sacchetto, una sportina di plastica bianca. Pensiamo tutti contenga il suo pasto frugale. Del resto, è il mezzodì. E a quest’ora si ha fame, nel Nord operoso. Noi a Foggia mangiamo quasi tutti tra l’una e mezza e le due, ma i bioritmi cambiano in base alle specie animali prese in considerazione. Fin qui la scienza. Il Conte tira fuori tre vaschette di riso alla cantonese e cinque litri di nero di Troia. Si conserva un paio di panini con la bufala. Si presume viva. E Bara bara bara, bere bere bere. Girano birre, Borghetti e whiskey. La Gazzetta dello Sport dice che l’ultima vergogna è la devastazione dei bagni nello Juventus stadium. Luca non ha fame, ma assaggia giusto un po’, per gradire. E sprofonda di faccia nella vaschetta. Non lo sentiamo più per intere decine di minuti. Mentre il Conte continua a urlare: “Quello col carry! Quello col carry! È questo quello col carry!”. Campania. E Bara bara bara, bere bere bere. In modalità mantra. Che potresti morirci soffocato.

Il mare. Il porto di Salerno, giù a sinistra, Vietri. Si, vabbé, bello. Ma perché ha allungato così? La statale, ma sono quasi le tre. Risale. Cava, Nocera, Pagani. Nomi d’epoca. Angri. Poi si infila in uno spiraglio. E cominciano le case. A perdita d’occhio. Entusiasmo alla vista del Vesuvio. E ancora case, una sull’altra, in strade che sembrano stringersi fino a risucchiare il mezzo. Che, all’altezza di un muretto, sotto la tribuna di casa, si arena su un pilastrino vigliacco, tronfio nel suo ergersi di mezzo metro dal suolo. Ci siamo auto-arrembati. Ora dobbiamo scendere a disincagliare la barca con le ruote. Alcuni ragazzini sorridono. Effettivamente, qualche ragione ce l’hanno. Nel piazzale del settore, che non distingueresti dal piazzale di una pizzeria, tiriamo fuori le bandiere. Due pullman, un paio di furgoni, svariate auto. Due camionette dei carabinieri. Nervosi. “Non è giornata”. In fila. Nervosetti, anziché no. Compare il presidente. “State calmi, entrate con calma”, dice. Ora, non è che perché hai salvato il Foggia ti devi trasformare nel maestrino di De Amicis! “Fatt i cazz’a tuje!”, è la risposta. Ci sta. E non è per malacreanza. Una volta dentro calpestiamo il suolo dove un tempo c’era una gradinata. E, di fatto, è diventato un lunghissimo prefiltraggio. Dentro c’è già la Sud. Canta. Il tempo di sistemare pezze e striscione, e ci uniamo al blocco, proprio sopra una ringhiera. Sembra Marcianise. In tribuna ci saranno 6-700 persone. Sullo sfondo, tra gli alberi e gli spalti, il Vesuvio. Doppia velocità per un po’. La Sud inserisce il ffwd. O siamo noi troppo lenti. Fatto sta che a un battimani non s’accompagna il vicino e i due ai tamburi rischiano di impazzire e di causare altrettanti episodi psicotici. Il Foggia sembra poter segnare da un momento all’altro. Ma i momenti passano e non segna. Il Vesuvio è lì che ispira. Al primo Noi non siamo Napoletani s’incazzano tutti. Da morire. Non sono napoletani, dicono i napoletani. A due passi da Salerno, no che non lo sono. Ma allora perché si incazzano così? Insistiamo per un po’, poi torniamo a sostenere i nostri. Agostinone liscia un pallone che meritava di farci saltare. Il primo tempo finisce. Le birre in lattina costano 1 euro e 50. Mica male. Fa un caldo che annoia. I 27° annunciati dal meteo ci stanno tutti. Chissà perché ci siamo portati le felpe e i giubbini. C’è voglia d’autunno, si legge tra le righe. La ripresa comincia con un messaggio: Vogliamo vincere. Lo intoniamo compatti, stavolta. E dura. Cinque, dieci, quindici minuti. Le bandiere sventolano, ogni tanto si alza il fumo delle torce. Una certa soddisfazione. Il Foggia preme un po’ di più. Sfiora il gol una, due volte. Ma la prova è scialba, lo zero a zero ci sta tutto. Noi continuiamo a fare il nostro. Ma la fine giunge inesorabile. La squadra sotto la curva. Quest’anno va così. A meno di improvvisi tracolli poco dignitosi, una squadra che in campo comunica in dialetto, va apprezzata e sostenuta. L’Ischia ha vinto. Vince sempre, cazzo. Nove punti di distacco. Oddio, mai pensato di vincere il campionato. Quelli hanno sprecato l’ira di dio per saltare la categoria, noi è già tanto che siamo competitivi. Ma non vorremmo, in un campionato dove sale solo la prima, trovarci senza stimoli a febbraio. È l’unica preoccupazione. Perché con i risultati torna l’entusiasmo. E nell’entusiasmo, anche noi ci divertiamo di più (aldilà della mistica dei “100 ovunque”). Ancora qualche parola sulla napoletanità dei padri di famiglia che abbandonano lo stadio. Così, giusto per saggiare la reazione. E quelli si incazzano ancora, più di prima, davvero tantissimo. Torna alla mente ancora Marcianise. Ma, in fondo, qui siamo trattati bene. È puro gioco di ruolo. Mancano i bagni per le donne, e Ceska va in bagno a casa di una signora, tanto per far capire. Un signore, inviperito, grida: “Forza Bari!”. Le strade ad uscire, la costiera, sulla strada del ritorno.

E poi c’è quel momento.

Quando la strada si fa di botto notte. E le luci allagano le plafoniere come un relitto sui fondali dell’Atlantico. Messaggi di naufragio o di avaria. Quel momento che guardi i tuoi compagni di viaggio. Nell’attimo esatto in cui la tensione svanisce. E i touch-screen degli I-phone diventano pari al rumore della carta stagnola che libera i panini con la frittata. L’attimo del ritorno a sé. Del pensiero. Dell’intimismo. Il momento in cui contempli come seducente l’ipotesi vaga e assurda del sonno. E tutti sono tranquilli e rilassati. E i paesi sfilano lontani, sul vetro del finestrino.
Ma poi uno porta il megafono dietro, alla penultima fila. E collega il cellulare. E fa partire la playlist.
Marijuana, cocaina, eroina, crack.
E capisci che l’idea del sonno era davvero tanto vaga quanto inutile.

07/10/12

A chi interessa? A chi manchiamo?


A dimostrazione della serenità manicomiale che dirige e sovrasta le nostre vite appassionate, possiamo ben dire che la nostra trasferta immaginaria è cominciata il 18 di settembre. Sul monitor di un pc. Il sito dell’Osservatorio. F5. Aggiorna. Di continuo. Niente. Il 19 è venuta fuori una prima determinazione. No, Bisceglie non è tra le partite giudicate “ad alto profilo di rischio”. E vorrei ben vedere. A dicembre abbiamo giocato in amichevole al “Ventura” e la cosa ci è passata sostanzialmente inosservata. In campionato non ci incontriamo da una cinquantina d’anni, più o meno. Non è vietata. Ed è un buon segno, anche se non definitivo. Del resto, mancano quasi venti giorni. L’ente creativo generato dal Ministero si riunirà ancora. Il 26. L’elenco di divieti, anche stavolta, non ci riguarda. La dispensa n.34 sancisce che i casertani non potranno andare a Sassari, gli anconetani a Civitanova, i molfettesi a Terlizzi, e blocca altre 6 trasferte. Noi non ci siamo. Ma non è bene cullare illusioni. Piedi di piombo, sempre. Però stavolta, a scalfire la consueta incertezza esistenziale, c’è il dettaglio, non trascurabile, dei biglietti. Già, perché gira voce, dall’inizio della settimana decisiva, che il Bisceglie calcio si sia accordato con l’Acd Foggia per smistare in Capitanata 100 tagliandi. Sono pochi, ne servirebbero almeno il triplo, ma quanto meno ci sono. Anche il banner che pubblicizza la partita contempla la voce Settore Ospiti. 10 euro. Stavolta sembra lecito alimentare speranze. Certo, una vita così – tra voci, dicerie e spifferi ufficiali – è stressante oltre ogni lecita misura. E non solo, bisogna fare di tutto per non tuffarsi nel passato, per non rimembrare i tempi andati, la facilità automatica con cui si allestivano torpedoni e si andava ovunque. Siamo appassionati, e pur di continuare a vivere l’attimo adrenalinico ed eterno dell’ingresso in un’altra città, abbiamo azzerato la nostra memoria. E da tempo siamo scesi a compromessi con questa gestione mafiosa del calcio. Ogni giorno che passa è un giorno che ci avvicina alla trasferta. Siamo costretti a crederci. Il circuito Bookingshow mette in vendita i biglietti. Ma per l’evento che ci riguarda il settore ospiti risulta bloccato. Fino a giovedì pomeriggio. I propugnatori di cattive notizie si palesano. Cattivi presagi s’addensano. Poi, d’incanto, i tagliandi diventano disponibili. E in un amen finiscono. Possiamo prenotare il pullman, stabilire un orario di adunata e uno di partenza, prendere a discutere di come organizzare il nostro settore. Gli scettici devono indietreggiare. Abbiamo i biglietti. Materialmente. 10 euro + 1,20 di prevendita. La caparra consegnata al noleggiatore. Siamo a giovedì sera, non sarebbe logico attendersi un dietrofront. Certo, una volta ci vietarono Andria 48 ore prima dell’evento. Ma siamo a venerdì mattina, sarebbe francamente assurdo. E l’assurdo è mestiere da Prefetti. E quello di Bari, o della Bat (non s’è capito) non è da meno. Vietata. Così, a freddo. L’ufficialità giunge alle 19 dell’antivigilia.

Paghiamo un paradosso. Siamo troppi, dicono. In casa non riusciamo a vedere una partita nella nostra curva perché il nostro stadio è troppo grande per la categoria. In trasferta non ci possiamo andare perché non ci muoviamo in trenta. Se tutto questo vi sembra logico, allora starete comodi in questo microcosmo di idiozie. Noi, di nostro, sopravviviamo a stento. È un dato di fatto: è più il tempo che sprechiamo a dibattere, a litigare, a scazzarci, di quello che impieghiamo a sventolare le nostre bandiere. E, sprofondati in Lega Nazionale Dilettanti per rivivere gli stessi kafkiani incubi della Lega Pro, si può ben comprendere la diffusa voglia di fermarsi a rifiatare. Per valutare complessivamente, senza un briciolo di serenità, il senso ultimo di questa nostra passione collettiva, svilita e sventrata. A che pro continuare a credere in un sogno di partecipazione, aggregazione e tifo? A che pro seguitare a popolare i gradoni quando ce lo concede un’autorità qualsiasi? Quando ormai è chiaro da anni che nella mentalità affaristica di chi gestisce il giocattolo non sono previsti gli stadi pieni e quelli come noi sono percepiti, vissuti e dipinti come un’anomalia fastidiosa, una disfunzione del sistema? Quando un capriccio di un Prefetto può bloccare il nostro modo d’essere anche dieci minuti prima del fischio d’inizio? Che senso ha, ancora? Probabilmente dovremmo accantonare le menate da Ultras e cominciare a ragionare da Cittadini. Da semplici Cittadini tifosi. Allertare chi di dovere, per esempio, che non siamo sudditi. Che non è sufficiente nascondersi dietro la formula di rito dei “motivi di ordine pubblico” per venirne fuori puliti. Anche in questo ambito, sarebbe interessante inseguire le responsabilità concrete, invece di fermarci – fatalisti e rassegnati – dinanzi alla cortina fumogena delle dieci sigle fittizie, che alla fin fine non si capisce mai chi prende le decisioni e come le motiva. Partire da questo, magari, per non lasciar spegnere la fiamma della passione. Che è smorzata come non mai. Presentare a chi di dovere la lista delle spese, fossero anche i 120 euro regalati al circuito dei biglietti online e persi per sempre. Fossero anche i 40 o i 70 euro regalati ad un noleggiatore di furgoni, che avremmo fatto meglio a spendere in alcool o imbandendo una tavola. Far capire a chi governa il circo che non siamo ottusi sventolatori di vessilli; che la nostra intelligenza non si esaurisce nell’elaborazione di un coro o di uno striscione con la rima. E, qui in casa nostra, mettere sull’avviso chi ha in mano il nostro nome che non basta fungere da tribuno del popolo e ostentare il proprio amore per i colori per tutelare la piazza. Che è importante battere i pugni sul tavolo, alzare la voce. Che si, siamo signori e accettiamo che la Fortis Trani ci costringa a giocare a porte chiuse, che il Bisceglie Donuva posticipi alle 18 il match per permettere ai suoi tifosi di godersi la serie A su Sky. Ma siamo Cittadini tifosi ed abbiamo sottoscritto un contratto. Un abbonamento dove ci venivano garantite 17 partite in Curva Nord e, al momento, alla vigilia della quarta, in Nord non ne abbiamo vista nessuna. Certo, nessuno vuole il male di questa società. Non siamo menestrelli sciocchi e irriconoscenti e già più di una volta – in questa stagione agli esordi – abbiamo violentato il nostro essere pur di non arrecare danni a chi ha salvato i colori rosso-neri dall’estinzione. Ma la luna di miele, ad un certo punto, finisce. Mi direte: ma che vuoi dalla società? Niente. Voglio che ci rispetti. Che il presidente faccia il presidente – e non lo steward –, che i soci facciano i soci, che il direttore generale faccia il direttore generale. Che non abbiano peli sulla lingua nell’indicarci i nemici occulti, quelli che si trincerano dietro la cortina fumogena di cui sopra. Che si ribellino, come noi, alle quotidiane ingiustizie di cui è vittima la parte più importante di questo patrimonio societario: i tifosi. Che non basta dirsi rammaricati (il Bisceglie, che ha perso un bell’incasso, era più rammaricato dei nostri), bisogna farsi sentire nelle sedi competenti. Perché proseguire il gioco così, soli contro il mondo delle burocrazie, sarà pure epico. Titanico. Ma alla fine stanca e sfibra. E se d’un tratto anche le curve dello “Zaccheria” dovessero svuotarsi, a chi importerebbe davvero il risultato del Foggia? Qualcuno sentirebbe la nostra mancanza?

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