09/03/14

Il bilancio dell’insoddisfazione



Domenica 9 marzo 2014, Foggia

Appuntamento alle 13 a Piazza San Francesco. Ho lo zaino con i guanti e le anti-infortunistiche. Un’ora, poco più, di viaggio. E, ritardo compreso, sarò al Pala Florio prima delle 15. Ora d’inizio dei lavori. Gli altri saranno con me. È venerdì. Claudio Baglioni si esibirà domani e domenica. Il Foggia andrà a Gavorrano. Io non ci sarò. È un discorso economico, chiaro. La precarietà circonda i progetti come i Russi Sebastopoli. Bisogna sacrificarsi. Anche se l’impressione è quella di non aver mai fatto altro nella vita. Ma in realtà, molto ha contribuito – nel bilancio dell’insoddisfazione – anche l’inutile traversata di Ischia. Una visione dilatata del tempo, ampliata dal movimento delle onde, nel mio ricordo parziale. Sono le 11. Devo ancora scendere a fare la spesa per stasera e passare da un cliente con la mia scorta di libri speranzosi d’avere un acquirente. Posso farcela, se mi sbrigo a scendere. Il cellulare sotto carica. Una chiamata persa. E, in diretta, tra le mie mani, un messaggio. Baglioni ha annullato il concerto. Forse l’ha solo rinviato. Non è specificato. Di sicuro, oggi non si lavora. Non più. E, di conseguenza, neppure domenica sera. Quel senso di inusitata, autolesionistica felicità che scaturisce da un dovere che salta ingaggia una mezza rissa con l’insperata apertura di uno spiraglio. Che porta il nome di questo paese trenta chilometri a Nord di Grosseto. Gavorrano. Abbiamo noleggiato le macchine e le abbiamo riempite. È già tutto deciso. L’orario di partenza, i nomi e cognomi delle persone che s’incammineranno per l’ennesimo pellegrinaggio espiatorio della stagione. Non c’è margine per rimettere tutto in discussione a meno di 48 ore dalla partenza. Quindi, meglio non mettersi strane idee in mente. Svuotare lo zaino e passare oltre. E l’idea di rimanere a casa la domenica pomeriggio, col Foggia impegnato altrove, assume i contorni di una concretezza ambivalente. Io, bipolare, penso al mio gruppo. Ma poi mi risale l’alta marea del braccio di mare tra Procida e Casamicciola. E la nausea cancella i rimpianti. Così sarà.

Anche perché è inutile che lo nasconda a me stesso. Di Poggibonsi, di Aprilia, persino di Santa Croce, mi è piaciuto rivedere gli emigranti. Il resto della Ciurma dislocato tra l’Emilia e il Lazio. Di questa stagione, ricordo l’adrenalina del furgone per Lecce, l’alcolismo consapevole e suicida di Cosenza, la tensione nel ventre del traghetto a Messina. Poco altro. Degli ultimi cinque anni, con emozione ed amore, alcuni bar. Alcune notti. E i soliti volti. Ma devo risalire a quando in trasferta ci andavamo tutti, sapendo di entrare, per avvertire la pelle accapponarsi per un coro. Per un gol. Domenica un paio di auto si divoreranno altre 6 ore di asfalto. E altrettante a tornare. Senza alcuna garanzia. Io non ci sarò. Chiamerò gli altri per sapere come sta andando, certo. E fuori dal covo, dove in tre guarderemo il Foggia perdere 1-0 contro l’ultima in classifica, quella luce inutile che è propria del periodo che va dalla fine del Festival di Sanremo alle Giornate di Primavera del FAI, mi comunicherà per intero la tristezza. La tristezza delle cose che si perdono. La frustrazione di ciò che era bello e non ritorna. La rabbia della frenesia del fare che tramonta nell’impotenza del non poter fare. O del non aver nulla di meglio, da fare, che tornare a casa e scrivere di questa inutile luce di inizio marzo.

Buon rientro, ragazzi.

Il Libro