25/08/11

Marmellata

di Mr.Stramy

Sono figlio di un ferroviere. Sono figlio di un calciofilo.
Credo davvero che il lavoro e la passione di mio padre abbiano fortemente inciso sulla mia vita. In modo ribelle e in modo passionale. Il primo poiché come ogni padre che si rispetti, una volta capito che le scuole grosse non sono proprio nell’indole del proprio figlio, desidererebbe per il proprio erede un lavoro simile e tranquillo al proprio. Dopo scontri, lotte, conflitti, dispute, polemiche, battaglie e qualche concorso pubblico giusto per farlo contento, mio padre ha avuto la sua Waterloo e da quando avevo 24 anni sono un lavoratore indipendente. Mi rendo però conto di essere fortemente “controllato” da una forza invisibile che si chiama ferrovia. Sono cresciuto da zero a sedici anni con la finestra della cucina affacciata sui binari, a cento metri dalla galleria del Frejus, a cinque dal binario che collega Torino a Parigi, li dove domani vogliono far passare la Tav. Quel binario che alle 13.30 o alle 19.30 portava mio padre a lavorare in Francia a Modane, quando io e mio fratello, incitati da mia madre, correvamo alla finestra per poterlo salutare, scuotendo la manina anche se a volte non riuscivi a vederlo. “L’ho visto, l’ho visto….” . Con quel binario ho un rapporto particolare, speciale, confidenziale. Riusciva a custodire il pallone che volava oltre la staccionata come un fratello maggiore, lo abbracciava nel suo acciaio finché papà non rientrava, scavalcava e lo andava a recuperare. E finché anche io non sono riuscito a scavalcare la prima volta: pochi attimi fugaci, veloci ma veri, prima di tornare in strada.
Riesco ancora a sentire un treno qualche minuto prima che arrivi, da lontano. Si sentiva la casa leggermente vibrare, per me un cullare, per gli ospiti da Foggia ogni volta un terremoto. Gli unici conflitti con il treno li avevamo quando vedevamo un film. Telecomando fisso in mano pronti ad alzare il volume per poi riabbassarlo una volta transitato. “Eccheccazz, non si è capito niente. Che ha ditt?”

Avanti RAI3/Dopo RAI3.


Per anni a casa, o meglio nel mio paese, il terzo canale non arrivava. Papà si “prendeva veleno” perché non poteva vedere il Processo. Se lo gustava solo quando venivamo a Foggia, in via Borrelli, lui e mio zio seduti intorno al tavolo in cucina e le donne a cucinare, in religioso silenzio. Oggi posso dire che l’arrivo del nuovo canale ha davvero condizionato quello che sarebbe stato il mio futuro. Il lunedì, quando papà faceva il pomeriggio, avevo il compito di vedere il Foggia a “C siamo”: il mio punto di non ritorno, il colpo di fulmine, le farfalle nello stomaco. Che sia dannata quella trasmissione!
E allora cresci e la formazione continua. Ricordo cene a casa di Enrico, famiglia di romanisti. Noi bambini a giocare e i grandi a vedere la partita, rimproveri e l’ordine di stare zitti e seduti a guardar la partita con loro. Ricordo anche le cene che organizzava mio padre alle quali invitava i suoi colleghi scapoloni. Qualche calabrese, qualche napoletano, qualche pugliese. Venivano a casa a veder le partite e coglievano l’occasione per mangiare qualcosa di buono cucinato da una donna e non, probabilmente, il solito pranzo triste da single. Ricordo abbastanza bene Olindo, siciliano tifoso del Milan, secco secco, stempiato e col pizzetto. Chissà dove sarà oggi Olindo?
In tutto quest’ambiente, come fai a non diventare tifoso??? Giuro che mio figlio avrà lo stesso trattamento.
Ognuno ha il proprio passato, i propri ricordi, e guai a buttarli via, ad accantonarli. Sono i tuoi e di nessun altro. Guai a metterli da parte. Non si possono neanche condividere, difficilmente possono regalare emozione, le stesse emozione che proviamo noi.
Per me il Foggia non ha mai vinto 3 a 2 contro l’Inter del Mago. O meglio, può anche aver vinto, ma non mi fa emozionare. Per me Nocera, Zeus o Giulio Cesare sono la stessa cosa. Mi rendo conto di quanto mio padre abbia voluto trasferirmi quell’emozione, scavalcare con la bici e guardarsi quella partita, ma ahimè non è riuscito a farla mia. Ci ho provato più volte a sentire mia quella partita, ma non ci sono mai riuscito. Mazzola o Rivera? “Efess…Golden Boy” Perché? Perché anch’io non riesco a schierami vedendo le vecchie immagini???
Temo. Temo di non riuscire a trasferire a mio figlio la poesia di Baggio, mio grande ispiratore. Temo che quando gli racconterò del gol alla Nigeria lui penserà che è roba vecchia. Temo che non riuscirà a disprezzare quanto me Ulivieri per averlo tenuto in panchina contro la Juve. “…ah da quando Baggio non gioca più, non è più domenica…” Temo che vedrà Maradona come io ho sempre visto Pelè. Maradona o Pelè? È chiaro che io risponderò sempre Maradona, solo perché Diego l’ho vissuto.
Il nuovo sul vecchio. Roma, Napoli, Torino. Questi progetti “Grandi Stazioni” non riesco a mandarli giù. Sono fredde, distaccate dal viaggiatore. I bar della casa, dove chiaramente quello di Torino era ben diverso da quello di Napoli, oggi sono diventati uguali. Gli è stato preso il posto da catene del Food & Beverage con tanto di gigantografia di cornetti, caffè e spremute e menù a 2.99 Euro. A Torino non ci son più le fontanine, quelle dove papà ci prendeva in braccio per farci bere e dove riempiva l’acqua prima che l’espresso 900 di 14 carrozze partisse per Foggia alle 20.50.
Sono spariti i vecchi tabelloni, quelli neri con le scritte in bianco con le lettere divisi in due parti. Quello che quando cambiava faceva “ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta”, partendo velocemente per finir piano piano, per cambiare l’ultima lettera che faceva diventare un Brindise in Brindisi, un Crotona in Crotone o un Triesto in Trieste. A Foggia nell’atrio centrale era posto sulle biglietterie, in tutta la sua maestosità. Quando cambiava il rumore ti faceva girare e lo guardavi anche se eri disinteressato. Oggi sono stati tutti sostituiti con tabelloni elettronici luminosi in doppia lingua. Non esistono più neanche le campanelle che nelle piccole stazioni, nei piccoli paesi, indicavano l’arrivo del treno. La campanella sostituita da due lucine che lampeggiano ad intermittenza.
Cosa racconterò a mio figlio? Vorrei che ci fosse lo stesso passaggio di consegne che c’è stato fra me e mio padre. L’odore dei treni, quello interno, di viaggiatori, di esperienze, di problemi, di quotidianità, e quello esterno, di ferraglia, di freni che stridono, del calore del locomotore, dell’aria condizionata che funziona male. Nocera, Favalli, Rinaldi, Bettoni prima, contro Tedesco, Seno, Shalimov, De Zerbi, Costanzo, Di Biagio dopo. Contro? Al cospetto di chi mi troverò quando mio figlio rivivrà quello che abbiamo vissuto io e mio padre?
Credo di essermi accorto che i ricordi sono i nostri, le passioni però possono essere trasferite…
Ieri hanno iniziato ad abbattere quella che era la mia scuola superiore. Non importa se fosse un edificio fatiscente, vecchio, “un posto ormai per drogati”, era la mia scuola. Li c’erano altri miei ricordi. Ora non c’è più.

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