07/10/13

Le case loro


“Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista. Lei non esiste.” (P.P.Pasolini)

Ah, l’avessimo fatto noi!
Allo scoccare del minuto di silenzio. Di (ipocrita, certo, mica dico il contrario…) raccoglimento per le donne, gli uomini e i bimbi morti a Lampedusa. Un urlo, un coro, uno sguaiato abbaiare. “Potevano restarsene alle case loro!”. Gridare invece di applaudire. O tenere la bocca chiusa. Come forma di ancestrale rispetto umano.
Li avremmo sentiti, gli untuosi, meschini Varriale. Sadici e lussuriosi nel loro finto sdegno moralista: “Gli Ultras sono il cancro del calcio!”, avrebbero sentenziato.
Prima di lanciarsi in disamine alla Crepet sul disagio giovanile, la forza ottusa del branco, l’assenza di valori positivi, la mancanza di padri. Prima di invocare la mano forte della repressione. Sarebbero tornati a dibattere, con la competenza di un monaco di clausura, di blocco delle trasferte, di chiusura dei settori, di pene da acuire. Avrebbero, compiaciuti e tonti, rispolverato il consueto arsenale di ferri vecchi: “Sono bestie, non tifosi, questi qua”.
Invece l’ha fatto un giornalista.
Ieri, prima di Foggia-Martina. Un giornalista. Anche se da queste parti si usa questo termine per definire qualunque pagliaccio che, al lunedì o al venerdì, va in televisione a dire che la difesa a tre è un azzardo e che questo Foggia non andrà da nessuna parte.
Ha urlato, mentre i duemila dello “Zaccheria” – Ultras compresi – erano in silenzio.
Perché la morte merita silenzio. Ha rotto l’incantesimo perché l’ansia di protagonismo supera la decenza, quando non si è nessuno. Se non quello che gridava quando il Foggia faceva gol in trasferta. Che è un po’ come tenere da conto il parere di quello che grida “Scope! Scope!” per strada. Con tutto il rispetto.

Ora, il punto non è la tanto invocata libertà di pensiero e di espressione. (Anche se poi ad invocare la costituzionale libertà sono sempre più spesso quelli che si riempiono la bocca col Fascismo in pillole).
Il punto è la disparità di trattamento.
Per un minorato che urla uno sproposito in tribuna stampa, non si invocano multe e galera. Non si impone la ferrea morale dell’Inquisizione. Ci si indigna superficialmente. Ma, di solito, si tace. Uno, perché non si ha il coraggio di andare controvento, rovinandosi il proprio bacino di amicizie utili (anche solo per entrare allo stadio con gli accrediti e tirare i piedi all’inverosimile). Due, perché magari il minorato ha – nel suo becerume – espresso un parere condiviso.
Certo, se fossero restati a casa (ammesso che ne avessero una non requisita dall’Agip Petroli), forse sarebbero ancora vivi. Come tutti i morti sulle strade. Come tutti i morti sul lavoro. Come tutti quelli investiti dai pirati della strada o sbranati dai leoni nei tendoni del circo. A casa, a meno che non ti crolli un pezzo di soffitto in testa o non ti dai fuoco ai fornelli, è più difficile morire. Ma sei bianco, europeo, caucasico. E puoi anche permetterti il lusso di spirare in trasferta. Nessuno lo noterà e, alla fin fine, rientrerà tra le attività lecite.
Quel che certa gente proprio non tollera, è il soffocamento derivante dal perbenismo di moda. Perché quelli, i morti di Lampedusa, erano negri. Ed è quello che crea lo scarto.
Da qui il bisogno di farsi sentire del razzista. Di scegliere con cura un proscenio. L’impossibilità presunta di definirsi compiutamente, coscientemente, razzista. Che opprime come un cappio.
E in un Paese ipocrita, che plaude la Bossi-Fini e indaga i sopravvissuti al naufragio mentre s’atteggia a dolente per i defunti e li considera, come Letta, compiutamente italiani post-mortem, la voce del giornalista in cerca di fama finisce per rappresentare la coscienza sporca, ma autentica, di una nazione che ancora si sogna serraglio monoculturale.
Per questo l’Ordine dei giornalisti si limiterà ad una strigliata di capo; per questo le varie emittenti locali non applicheranno alcun boicottaggio del personaggio, se non per un periodo molto limitato. Perciò anche noialtri non invocheremo i ceppi.
Perché è un uomo medio. E non è un Ultras.
Si possono punire quei cattivoni chiusi nelle gabbie dei settori, per sentirsi migliori.
Ma l’uomo medio non si può colpire. Perché è ovunque. Anche nel doppio fondo degli involucri più progressisti.
Del resto, come si spiegherebbe altrimenti la levata di scudi contro gli Ultras che, in una giornata afosa di agosto, schizzarono acqua sul guardalinee di Fano, procurando 1.500 euro di multa al Foggia di Casillo; e il silenzio complice che accompagnò gli 8.000 euro di sanzione che investirono la stessa società per i “Buuu” della tribuna centrale ad un giocatore dell’Atletico Roma?
Si spiega così. Che è più facile alimentare un folk devil esterno, che fare i conti con sé stessi.



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