27/04/11

Il mito del complotto

Da più parti mi sento dire: “Ce l’hai con Zeman, ce l’hai con Casillo, parlare con uno così pieno di pregiudizi non ha senso. Non vale la pena”. Certo. Del napoletano neppure a parlarne. Ma da Zeman, in fin dei conti, all’inizio mi divideva esclusivamente il modo di vedere il calcio. Era una questione “filosofica” applicata al 4-3-3. Quando ci mollò, nella lontana primavera del 1994, salutai un allenatore come tanti, indubitabilmente più vincente di tanti. E accolsi Catuzzi, senza percepire lo strappo epocale. Il crollo dell’Impero d’Occidente.
Il mio pregiudizio – o meglio, quello che altri chiamano il mio pregiudizio – ha fatto capolino dopo. Da quando cominciai ad avere il chiaro sentore del mito che aveva creato in città, e che fungeva da sentinella in luogo della sua assenza. Zeman, per i foggiani, era diventato un condottiero epico. Gli venivano attribuite imprese mai compiute e gonfiate imprese mediocri; gli si attribuivano doti e motti di spirito probabilmente mai pronunciati. E, alle questioni tattiche, aggiunsi questa avversione al culto. Alla nostalgia come sistema di chi non è in grado di vivere il presente.
Quindi vennero le denunce di calciopoli, e la “sua” Foggia si schierò in corpo solido contro Moggi e il Sistema. Anche se probabilmente Zeman in primis non intendeva dire quel che gli è stato attribuito, fatto sta che la cittadinanza aveva preso a foraggiarne la crociata.
Da allora alle critiche tecniche, filosofiche e mitologiche, aggiunsi anche una personalissima e perdente battaglia contro il vittimismo, piaga sociale al pari dell’analfabetismo. Zeman perdeva a Brescia, ad Avellino, a Istanbul, a Belgrado, e tutti qui inveivano contro il Sistema. Uno slittamento di senso inspiegabile, con occhio logico. Ovviamente, mai avrei pensato di ritrovarmelo qui, a prendere casa a due passi da casa. Mai avrei immaginato di poter vivere un pomeriggio come quello dell’Ariston, con la città impazzita e i manifesti in strada col faccione del “Maestro” a sostituire/sintetizzare una squadra intera. Mai avrei pensato di vedere abbonamenti graficamente impostati sulla firma del boemo. Rosso in campo nero. Quando uno, in un consesso popolare, diceva “Il Foggia di Zeman”, otteneva sull’uditorio lo stesso effetto di chi ancora s’ostinasse a parlare della Napoli di Maradona. O di Franceschiello. Era un concetto del passato. Invece: I sogni diventano realtà. C’era scritto su quei manifesti. L’estate scorsa. Dieci mesi fa.

Ora è aprile. Fine aprile. Il Foggia, come quel dì col Licata, domenica scorsa è stato battuto in casa. E, con tre giornate ancora a calendario, è a 6 punti dall’ultimo posto buono per giocarsi i play-off. In sostanza, nonostante la fede incrollabile, è fuori dai giochi. Nelle ultime quattro giornate – primaverili – ha perso tre volte. Ma la città in cui vivo è in piena sindrome da complotto. Un complotto oscuro, dai tratti sfuggenti, dagli intenti incerti eppure chiarissimi. Il Foggia non deve andare in B. Ordini dall’alto, o dal basso del Re del Mondo. Il guaio è che a soffiare sul fuoco della persecuzione, non è il basso volgo suggestionato e suggestionabile. Sono gli stessi pifferai magici che l’hanno sedotto e abbandonato. Certo, a luglio scorso, tra gli osanna e i bagni di folla, l’accoppiata Casillo-Zeman non poteva che promettere sfaceli. Si vincerà il campionato, quanto meno si centreranno i playoff. La squadra di ragazzini in prestito cominciò bene la stagione, alimentando il sogno di quanti avevano preso per buoni i manifesti ed erano corsi ad abbonarsi. Giustificando, inspiegabilmente, finanche il prezzo del biglietto delle curve, schizzato a 15 euro. La squadra si era tolta lo sfizio di vincere a Cava, a Barletta e Castellammare, e la società aveva accuratamente evitato di farsi trascinare nelle polemiche sull’arbitraggio delle ultime due. Ad ottobre i primi scricchiolii. L’Atletico Roma pareggia una gara che rischiava seriamente di perdere evitando di buttare fuori il pallone. Casillo, negli spogliatoi, adombra sospetti sull’arbitro e minaccia di ritirare la squadra al prossimo svarione. Che avviene, puntualmente, all’ultima d’andata, allorquando Biancolino del Cosenza segna strappando con le mani il pallone al portiere. Ma la squadra resta dov’è. Casillo non mantiene la promessa bellicosa e, in quanto a guerre, ne comincia una tutta personale contro gli ultras delle due curve, accusati d’ogni genere di nefandezze e di essere la principale causa dei propri guai economici con la Lega. Nel frattempo, anche il Pisa ha modo di lamentarsi dell’arbitraggio, a loro dire favorevole all’Uesse. Dinamiche usuali, nel calcio di terza categoria. Nel calcio in genere. A marzo il Foggia vince ad Andria grazie ad un vistoso errore della terna, e dopo la gara con il Gela in casa – il pallone non restituito ai siciliani sull’azione del 2-2 – il mondo della C comincia ad attaccare Zeman, falso profeta del calcio pulito. Si mette male per Casillo. La piazza, che da per certi i playoff, guarda con interesse gli scarti dal terzo posto, che a un certo punto dista 3 lunghezze. Sogna, come da imperativo murale. In un simile periodo, ci pensa il patron a gelare l’ambiente. In una conferenza stampa di 52 minuti senza contraddittorio annuncia d’avere rogne dalla vecchia società e ostacoli dal Comune, rigetta la concessione quindicennale dello Zaccheria e annuncia che non questo, bensì l’anno prossimo, è quello buono per salire. “Al cento per cento”. E nel girone settentrionale. E mentre l’addetto stampa comincia il suo mese di superlavoro, il popolo si autocostruisce l’alibi. “Casillo ha promesso una salvezza tranquilla, una stagione di transizione”, senti dire in giro. Non è vero, ma seppure lo fosse, verrebbe da chiedersi perché mai una piazza come questa, da 13 anni in astinenza da cadetteria, abbia sentito il dovere di portare in trionfo gli ambasciatori di un simile progetto. Cosa abbia spinto questa folla a sognare, se il sogno è la permanenza in terza serie. Fatto sta che il Foggia perde a Siracusa, e la società sbraita: l’arbitro ci ha insultato. Perde a Terni, e sbraita: un giocatore della Ternana ha dato un pugno a uno dei nostri. Perde con la Nocerina, e sbraita contro le multe: ce l’hanno con Zeman, non vogliono farci salire. Mentre da più parti si portano a suffragio della tesi le partite farlocche della Juve Stabia, della Nocerina e del Taranto. La piazza è soggiogata e fa eco. Dimentica il rigore generoso di Terni, così come dimentica il doppio biscotto che, sempre a Terni, ci ha spedito per due anni ai playoff ai danni di Padova e Cavese. Dimentica, così come ha dimenticato le parole dolci che riservava al povero Novelli, che ai playoff ci portò. O gli insulti agli “otto pezzenti” che guidavano l’Uesse prima. Gli stessi che a giocarci la B erano giunti tre volte su quattro.

“Ma tu chi sei, l’avvocato difensore degli otto soci?”, mi dicono quelli che sottoscrivono in toto la lamentela secondo cui “Tutti hanno paura del Foggia”. Tutti. Dai servizi segreti haitiani alla mafia russa. E non si capisce perché. No, rispondo, non sono l’avvocato di nessuno. Ho contestato la squadraccia dell’anno scorso, ho passato le mie brave notti bianche per salvare la mia squadra e la categoria a giugno, ho sfilato in corteo per le strade vuote di una città indifferente e distratta. Ma proprio in virtù di questo, non capisco questa improvvisa bontà d’animo della mia gente. Della stessa gente che l’anno scorso – sempre ammesso che si interessasse alle sorti dell’US Foggia piuttosto che guardarsi Diretta gol – invitava alla durezza, alla spietatezza. Oggi non finisce niente. Niente più di quanto non fosse finito a luglio. Casillo e Zeman erano due decaduti. Oggi sono nuovamente in attività. Il primo ha fatto un po’ di soldi tra incassi degni d’altre categorie e agevolazioni della Lega per l’impiego di under 20. E, soprattutto, è tornato a fare breccia nell’economia foggiana. Il secondo ha uno stipendio più che discreto e insegna filosofia perdente per mascherare l’ennesimo fallimento sul campo. Perché tutto ruota lì attorno. Al risultato che non c’è. E alle giustificazioni nelle teste delle persone che spianano al mito la propria predisposizione alla lamentela. L’alibi è perfetto. La società ha trattato a pesci in faccia le dirigenze altrui, e ora frigna di un piano per estrometterla dai play-off. A me non interessa. Io ragiono per quel che mi compete e per quel che porto a mente. E faccio attenzione a quel che vedo. L’epica del pulito sconfitto perché tradito fa strada in strada e gode il suo momento di massima gloria. Ma il re è nudo. Tra tre settimane si comincerà a pianificare il futuro. Vedremo, se come piazza dignitosa, saremo in grado di chiedere cosa ci viene offerto in cambio del nostro personale sacrificio. Vedremo se saremo ancora in grado di affrontare gli insulti e i settimanali ultimatum con la stessa stoica leggerezza d’animo. Vedremo, se a conti fatti, il mito sarà più forte della realtà.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Chi ha fatto questo commento dovrebbe avere un Premio Nobel . . ! Ha indovinato tutto e detto cose giustissime . . Complimenti davvero . .

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