29/07/13

L’oasi in fiamme



Domenica 28 luglio, Campitello Matese, Foggia-Petrella 17-0

Oasi di tranquillità. È l’immagine figurata più ricorrente sui depliant che illustrano Campitello Matese. Millecinquecento metri d’altitudine. Il display della macchina che assesta sui 28° la temperatura, dieci in meno rispetto alla Madrepatria. Il verde dei boschi e dei pascoli, il grigio abbacinante dei sassi, dei massicci, dei crepacci. Un mucchio di alberi e di ombra. Le stazioni sciistiche disattivate per l’estate, gli alberghi cortineschi – dalla forma che evoca Umberto Smaila – in piena attività. Perché non è di sole discese e risalite che campano i professionisti della villeggiatura, qui. Questo, in questo periodo, è un posto che sembra plasmato sulle esigenze delle coppie rodate, magari con prole, desiderose di staccare la spina ed espellere tossine, respirando silenzio e aria d’altura. Il luogo adatto per riprendersi dalle fatiche della routine. Dal lavoro e dai suoi assilli. Oasi di tranquillità, non a caso. E chi, con questi salubri intenti, si è concesso questo fine settimana, ha fatto l’affare del 2013. Perché noialtri ci siamo messi in carrozza all’una e passa. Sotto un sole perpendicolare e cocente. E dopo i girasoli offesi dalla capa calata, gli appezzamenti dai colori terrestri, le cascine e i casolari, i cartelli per Roma-Isernia, lo svincolo per Boiano e l’inizio della salita – 5 km –, le bottigliette d’acqua ai lati della carreggiata a memoria plastica di quanto i ciclisti infestino l’ambiente (o dell’ultimo Giro d’Italia transitato da queste parti appena undici anni fa), siamo sbarcati al pianoro sul modello di placidi Cavalieri dell’apocalisse. Ma c’è gente che ha trascorso qui la notte. Distinti saluti. E uno sguardo attorno. Quelli senza magliette sono foggiani. Nella geografia della percezione degli antichi Dauni, Campitello è ancora colonia, nonostante i cento e passa chilometri. E di nostri concittadini, oggi, brulica il rifugio. E l’oasi va in fiamme. Lo si nota nel doppiofondo degli sguardi di quelli che sono arrivati carichi di borse frigo e provviste per l’eremitaggio. Un soffio di rammarico che sfiora la disperazione. E sussurra: “Eccheccazz…”. Come una muta preghiera. Sotto le fresche frasche, in pendenza, ci accampiamo con Jordan e Simona, qui da stamattina coi piccoli. Come la legge di Troisi per il Mezzogiorno, quando arriviamo noi è sempre ora di pranzo. Una famiglia dall’accento napoletano gioca a carte qualche albero più in là, fingendosi rilassata come una Duna in uno Zoo Safari. Ogni tanto, dall’altro lato del campetto dell’albergo Kristiania, ruggisce un leone o sbadiglia un ippopotamo. Gli uccelli si alzano in volo, in preda ad uno spavento da evacuazione, da esercitazione anti-incendio. E i napoletani alzano lo sguardo dal tavolino da campeggio e guardano l’orizzonte. Con malcelata preoccupazione. Sono animali strani, questi foggiani. E il campionario qui, oggi, è al completo. È sempre bello ritrovarsi. Scatta l’ora della merenda. Parmigiana nei bicchieri, come un pranzo finger-food. Fashion. I bimbi fanno amicizia. La sacralizzano nel nome di un pallone da calcio. Infine trovano il varco nel reticolato ed esondano in campo. Il terreno di gioco è occupato, manu militari. Noi fingiamo di nutrirci di ombre, ma il sole tamburella sul cranio anche qui. Alle 17 il Foggia scenderà in campo contro il Petrella. Che poi è il Montagano-Petrella. Ma qui di alcool ne è già sceso tanto. Arrivare alle 17 è un imperativo faticoso da rispettare. E proprio quando sembra che la tranquillità abbia ripreso possesso dell’oasi, quando tra i napoletani serpeggia anche l’ardimento di sdraiarsi a dormicchiare, in quei tre minuti che vanno dalle 16:28 alle 16:31, che una carovana di macchine risale la fiancata del monte innocente. I clacson inondano l’aria. All’albergo, fioccano le disdette. Come nella riviera marchigiana dopo il terremoto. “Viva gli sposi!”, gridano rinvigoriti gli antichi Dauni. E sono ovunque. Sbucano da ogni centimetro di macchia mediterranea. Dai buchi negli alberi, come fauni. Esultano della presenza di loro simili. È una sensazione antropologica. Anche noi usciamo dal rifugio di rami. E, ipnotizzati, puntiamo il caravanserraglio di vetture. La nostra curva di ritorno dal ristorante. Portiamo in dono vodka e Schweppes. Gli altri ricambiano con Borghetti, gin e Lemonsoda. I magi hanno oro, incenso e mirra. Si arguisce subito che il problema reale non è nel ripescaggio, ma nell’alcolismo. Che le fidejussioni sono l’ultimo dei grattacapi, per gente come noi. Arriva anche il Petrella, sul furgoncino. Maglia verde. Sembra il Pescina. Il Foggia, in maglia bianca, entra a tastare il terreno. Ma resta immobile sulla soglia, come un solo uomo. Il campo è occupato. Ci sono dei bambini che corrono dietro un Tango. E mettersi contro i bambini è davvero dura. Non ci voleva. Servono interlocutori, gente di pace e di diplomazia, che possa convincere quegli indiavolati a lasciar perdere la porta e a far giocare i grandi. Dopo una densa trattativa, i piccoli indiani abbandonano l’area di rigore. E il nostro portiere può andarsi a fare un sonnellino di quarantacinque minuti. Fumogeni rossi nella radura. Uno striscione a centrocampo. Per gli Ultras condannati in Tribunale, rei di aver acceso una torcia in quel di Trieste, quattro anni orsono. Non chiediamo clemenza, torciata alla sentenza. Il Foggia ogni tanto fa gol. Ma in curva si sta come in un privè. Saluti, incontri, chiacchiere, canti. Un’oasi di tranquillità, Mo C Vol. Vinciamo 17-0. Ma i pareri, su questo, sono discordanti. Io, per esempio, ero rimasto a 4. L’arbitro fischia appena in tempo. Un prepotente gregge di pecore investe il sentiero che costeggia l’impianto. E si ferma a brucare dietro la porta. Noi chiamiamo la squadra sotto la curva. E tanto già lo so che l’anno prossimo non gioco in Lega Pro. E mentre il sole smette di scottare, di rimarchevole resta il dialogo tra Mario e Padalino – “Mister, tu ce fa batt u cor!” – e il nostro ballottaggio tra Baranello e Vinchiaturo. Vince Baranello. Perché Jordan sostiene sia più facile da raggiungere. E perché, chissà perché, Vinchiaturo fa ridere. See You Ind’o Street.

La Compagnia del BarAnello

C’è questa strada che si immerge nelle campagne. C’è un odore forte, pungente. Un certo benessere. Rilassati. Consapevoli. Tagliamo i poderi. “Ho letto un inquietante 65 chilometri a Baranello”, “Sessantacinque chilometri e arrivi in Svizzera. Sono sei e cinquanta”. C’è questo paese che non sembra palesarsi. Non si concretizza. Si annuncia in semplici case ai lati dell’unica via. Un bar sulla destra. Un bar sulla sinistra. Che poi è lo stesso, visto che abbiamo fatto inversione al finis terre. Gli ombrelloni rossi della Peroni. I tavolini rossi della Peroni. Ma qui siamo in Molise. Si beve Forst. “Buonasera” ai giocatori di carte, agli avventori. In questi posti è semplice e bello augurarsi la buona sera. È una specie di riflesso condizionato. Viene spontaneo. Il nostro primo giro di birre e patatine San Carlo. È ancora giorno. L’attimo. È così da sempre, da Altedo, da San Giorgio, dai tempi ancora più remoti, fino quasi a Pizzighettone. L’individuo che si specchia nel suo gruppo. E avverte la propria strutturale diversità. E l’orgoglio d’appartenere, oltre ogni pretesa libertà. La signora al banco ci regala due cartoline del paese. I bambini si svegliano. Ginevra sceglie un nuovo nonno nel proprietario del locale. E va a caccia di gatti e chupa-chups. Il secondo, il terzo giro. “Ma voi chi siete?”. Il Foggia, signora. Comincia a fare buio quando ci ricordiamo della parmigiana in macchina. E ci sembra il minimo farla assaggiare. Perché quel ci inorgoglisce, va condiviso. Un avventore ci mostra le trote che ha appena pescato, mentre il suocero di Cuffa – seduto a giocare ad uno strano gioco con un bel mazzo usurato di carte – non si ricorda se il genero aveva giocato nel Pisa. Prima di venire, indimenticato, da noi. Il nuovo nonno di Ginevra ci offre un giro di grappa. Il secondo. A sera, siamo una famiglia di fatto. Il distacco è da “Saluti alla signora”. Ma come quell’infamone di Beppe, Signori siamo anche noi. Non si discute.

Nessun commento:

Il Libro