24/09/13

La formula dell’alchimia



Domenica 22 settembre 2013, Melfi-Foggia 0-0

Il libro è voluminoso, aperto sul leggio, due passi corti a destra dell’ingresso laterale. Navata della cattedrale.
Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri. Deuteronomio 10:19.
Fuori, la piazza si sviluppa rettangolare. Le nuvole grigio-nere scalano le colline. Il vento prematuramente gelido sferza l’acciottolato. Un deserto che conosco. Mi prendo i meriti d’aver indossato una felpa. Anche se so che non è andata così. Solo con la camicia da macellaio serbo sarei eroicamente svenuto. Casuals. Oggi eravamo tutti casuals.
Il rumore dei passi riecheggia nel silenzio totale del pomeriggio. Qui non arriva l’eco di Tutto il calcio minuto per minuto. Il bar è distante. Il whiskey dovrebbe sempre avere dei bicchieri adatti. La Roma sta vincendo il derby, il Sassuolo è già matematicamente retrocesso alla quarta giornata. Ma quel calcio ci interessa quanto il terrorismo islamico in Somalia. O le dispute di confine nello Yemen. Il boato che arriva ai gol dell’Inter, poi,  è così simile a quello della Partita del cuore da mettere i brividi e riempire di sgomento. Meglio inoltrarci tra il pulpito e il coro di questo duomo normanno. Il campanile è chiuso. Saremmo saliti volentieri. Magari dal punto più alto, saremmo riusciti a vedere il cerchio di centrocampo. Respinti, siamo stati respinti. E i soldi che abbiamo risparmiato al campo, li spendiamo in J&B, Glen Grant, Borghetti e Jameson. E mettiamo pure i 50 centesimi nel marchingegno pretesco che serve ad illuminare la teca dietro l’altare maggiore. San Teodoro Martire è un cadavere, riesumato dal cimitero di San Callisto. Non ce l’aspettavamo proprio.
Veniamo dal castello. Che il cielo così malridotto dava un senso di Cornovaglia. Si alle residenze inglesi! Veniamo da un altro bar, sfuggito alla mareggiata degli anni Zero. Angusto e affollato di oggetti sepolti. Svariate pubblicazioni sul brigantaggio lucano esposte in una vetrinetta, souvenir da autogrill, quaderni, chewing-gum a palline nella boccia di plastica trasparente, la reclame di una marca di perizoma. E il rude bancone, vagamente obliquo, variamente sprofondato da un lato. Più che un bar, uno spaccio di alcolici incastonato nella cambusa di una nave a picco. Il nostromo è rude quanto il bancone. Radionorba in sottofondo ci annaffia di Bisceglie-Taranto. Ma è quando dice qualcosa a proposito del Martina, che il nostromo s’inalbera. “Oggi c’è Melfi-Foggia”, annuncia con un misto di sdegno e rimpianto, come se noi non lo sapessimo. Riempie i bicchieri da amaro come se versasse Novalgina. Il whiskey dovrebbe sempre avere dei bicchieri adatti. “Che brutta fine ha fatto il Foggia”. Ci guardiamo. Non replichiamo. L’evidenza, del resto, è evidenza. Ma quello insiste, e dopo aver fatto gocciolare un Caffè Sport in un altro recipiente a caso, e aver sparato 2,50 per una focaccia neo-borbonica, proclama che “poi, il Foggia non merita neanche di stare in questa categoria. Il Melfi meritava di essere ripescato in C1”. A quel punto, è inevitabile farsi diga e arginare lo sproloquio. O, quanto meno, chiedere – di grazia – da cosa nasca quel dispari e bizzarro convincimento. Si inalbera: “Sono undici anni che siamo in C2”. E l’affermazione dovrebbe bastare. Perplessi, facciamo notare che – se così fosse – noi dovremmo essere in Europa League da un pezzo. Solo a quel punto Mastro Livore capisce che siamo foggiani. E ci accusa: “Voi siete stati ripescati ingiustamente!”. Ma no, buon oste, noi eravamo belli placidi in Prima divisione, salvi e satolli. È che siamo falliti. Ma quel che ci è giunto non è che la metà di quel che ci spettava. Niente da fare. “Noi meritavamo! Foggia è una città, noi siamo un paese!”. E la sentenza, unitamente allo sguardo fisso e vitreo e al timore che ci tolga – per punizione – la residua dose di liquore nei bicchieri, ci porta a convenire. I paesi meritano di essere ripescati. In quanto tali. Il Tuttocuoio dovrebbe, a quest’ora, essere nel girone col Marsiglia. Un altro giro di alcool. Altra tirchieria militante. E la polemica sulla focaccia rancida, che rischia di rompere definitivamente i rapporti bilaterali. Come per le due Coree. Usciamo a respirare. Il castello, “dimora prediletta” di Federico II. Come tutte le altre. “Leggenda vuole che intorno al 1520 il signorotto locale sovvenzionasse un oscuro personaggio, un frate dall’identità sconosciuta, incaricato di trovare il modo di trasmutare i metalli in oro con l’utilizzo dell’alchimia. Pare ci fosse riuscito. Le sue formule alchemiche sono vergate da qualche parte nel castello, ma nessuno le ha ancora trovate”. Noi veniamo bloccati all’ingresso e manco ci proviamo. È un giorno scorbutico, questo. Sostiamo nel patio fortificato, a parlare di cavalleria medievale e di streaming che si blocca. Abbiamo avvisato casa. Nel caso dovesse succedere qualcosa al campo, un colpo di telefono. Ma i mezzi di comunicazione tacciono.
Ci va bene un pari a Melfi? Boh!
Di fondo sta che ci eravamo avviati carichi di speranze. La distanza ridotta, la cittadina meridionale, inducevano ad un ottimismo senza basi. Nell’ultimo tratto della superstrada, quello che aggira il paese per puntare verso Rapolla, un paio di pattuglie della polizia ci avevano obbligato ad aggrottare le sopracciglia.
Al parcheggio del campo sportivo, poi, la camionetta e le due macchine della polizia, ci convincono che non sarà semplice. Siamo una settantina. Avanziamo colorati. Non siamo male affatto. Il poliziotto più anziano ci viene incontro. Il dialogo non è aspro, ma breve si. Dice che contatterà il funzionario per imbastire una bella trattativa. Il campo è oltre questa discesa di asfalto e ghiaia. Oltre la radura e i container dei terremotati. A concentrarsi, si intravedono i fari tra gli alberi e uno spicchio di tribuna. Il poliziotto anziano torna scuotendo il capo. Il dirigente è già nello stadio e non intende parlarci. Crediamo sia l’inizio di un braccio di ferro. Abbiamo tutta la calma e la pazienza che servono. Ci spiegano che “il Termoli ha avuto una multa di duemila euro due settimane fa”. Prima di rispondere che la cosa non ci riguarda, capiamo che parla del Teramo. E la cosa si, ci riguarda. Ma perché un dirigente di polizia si preoccupa delle multe di una società di calcio? È come se un il procuratore di Messi si occupasse di spaccio. Ma magari lo fa. Ad ogni modo, lo stallo è totale. Stancante. Siamo un branco di orsi in gabbia. Ci muoviamo avanti e indietro, come galeotti. Qualcuno guadagna terreno verso la campagna, il fianco della collina, e alza il collo per provare ad immaginare il terreno di gioco e gli spalti. Ma da qui è impossibile vedere. Si sentono, invece, i cori dei padroni di casa. Anche degli ospiti tesserati. L’attesa logora. I minuti passano lenti. E dopo mezz’ora, chiediamo nuovamente l’incontro al vertice. Ma il funzionario è inflessibile. Non si tratta coi non-tesserati. È andata buca, ormai è chiaro. Ma ci siamo. E ce lo siamo detti da subito: comunque vada, lo facciamo per noi. Quindi, zero rimpianti. A testa alta, verso il sottobosco e controvento. Le mani al cielo. L’urlo, secco: Curva Nord Franco Mancini! E l’impressione che, dal basso, qualcuno faccia silenzio per qualche secondo. Del resto, nessuno si era illuso che a Melfi avremmo trovato proprio noi la tanto ambita formula dell’alchimia. 

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