16/08/13

L’illusione ottica


Mercoledì 14 agosto 2013, Foggia-Atletico Madrid C 3-0

Che nessuno osi sottilizzare. Complicare ciò che è semplice. Rendere barocco l’elementare equilibrio della stanza. Sul biglietto c’è scritto così. Atletico Madrid. E basta. Nessuna ulteriore specifica. Nessun alveare informatico. Nessuna ramificazione. Foggia-Atletico Madrid. Tre a zero per noi. Non si discute. Il Ferragosto. Qui da noi è festa patronale in seconda. L’Assunta e i Sette Veli. Il culto mariano e le bancarelle. Tutto ti devono i foggiani. La processione sfiduciata e il galluccio, i pistacchi, le fave secche, i lupini. Il palco a Piazza Cavour. Mi è sempre piaciuto. Passeggiare in centro, tra Corso Cairoli e Piazza XX Settembre, la mattina del Quindici. Quando tutto sembra fremere di preparativi. Quando il selciato è vitrea ipotesi dei passi che lo batteranno. E mi piace tornarci, sempre a piedi, la mattina del Sedici. Quando la fiumana è passata ed ha lasciato gli strascichi di un esercito in frettolosa ritirata. Come mi piaceva, un tempo, la mattina del Primo gennaio, vagare come un alchimista tra i segni della notte dei fuochi, ai margini dei marciapiedi. Il nostro Ferragosto. Il Ferragosto dei foggiani che criticano il Ferragosto e non possono farne e meno. Stigma d’appartenenza e ansia di diversità. La comunità che si fa famiglia, si rovescia in strada e si scazzotta in piazza. Ultimi scampoli di un’estate lunga e sfibrante che comincia a fine maggio. Con gli ultimi play-off, coi terminali play-out. A me ricorda quella canzone di Venditti. Miraggi. Quella che parla di avventure sulla spiaggia, di falò e di incontri impossibili da ipotizzare nei mesi che non sono questi. Tu stai correndo con me. Questi giorni. Odorano dell’inchiostro del Corriere dello Sport, questi giorni. Di copiativa che trascolora. Dal calcio mercato alla nuova stagione che bussa alle porte. Sono questi, i giorni in cui tutto è possibile. È solo un sogno d’estate. L’amichevole di lusso. I fari dello “Zaccheria”. Quel che credevi impossibile, che ora si avvera. A settembre ci sono le solite. Il Cosenza, il Messina, la Casertana. Come un tempo vi erano Cosenza, Messina e Casertana. Nei giorni che fanno da corollario al Quindici Agosto, invece, ho visto il Nottingham Forest. Da ragazzini, sulla piattaforma dell’Orto, pronunciavamo quel nome esotico e glorioso ogni volta che altri ragazzini ci chiedevano: “Come si chiama la vostra squadra?”, e i miei chiamavano me, che ero l’unico depositario di quel segreto quasi impronunciabile. “Nottingham Forest”. Finì 2-2. Stavamo per affrontare il secondo anno di B, quello della promozione. Giocammo anche col Lecce, quell’anno. Vincemmo 2-0. E la Dinamo Mosca in quel di Campobasso? Tre a uno per noi. Per non parlare della Durum, origine e apice delle nostre notti incredibili e possibili. E poi l’Udinese di Asamoah. Il Danubio di Montevideo, campione d’Uruguay. È questo obliquo oscillare che rende amabile questo periodo dell’anno. Questo senso di imponderabile che trasuda negli interstizi della quotidianità. In campionato sai chi sei, con chi ti batterai. Sai persino dove e quando. Durante la preparazione, tutto è avventura. Dal ritiro alla presentazione della squadra, può accadere ogni cosa. Ora sono qui e non immagino neppure che, per uno strano giro di giostra, tra dodici mesi avrò visto il Millwall in ritiro in Umbria e il Leeds United in serale. E, a differenza della vita ordinaria, qui nessuno può farti una linguaccia e prenderti per illuso. Per un buffo credulone. Perché davvero, nessuno sa. E tutto può essere. Quando si è sparsa la voce dell’amichevole con l’Atletico Madrid, la densità di sogno, di bisogno di sognare, di questo popolo, ha rotto gli argini dell’immaginazione. Masi l’aveva annunciato in tv. A Madrid non ne sapevano niente. E la satira, il cinico disilludersi collettivo che sta a questa gente radicata al suolo come l’assenza di ali all’iguana, ha sbeffeggiato la comunità dei fessi che ci avevano creduto. Senza contare che, a volte, le due categorie – sognatori del prima e sbeffeggiatori col senno di poi – si sovrappongono. Ma, giacché la processione si vede quando si ritira, in fondo al barile c’era del vero. Non solo della fezza. Un Atletico era effettivamente in viaggio alla volta della Capitanata federiciana. La terza squadra, per la precisione. La cantera. Dei bambini, in sostanza. Dal florido avvenire, certo, ma pur sempre delle creature. Eppure, né i manifesti in strada, né i tagliandi Bookingshow, facevano accenno a questa lieve differenza. In fondo, come per il Palermo primavera affrontato a Sturno, le maglie quelle sono. Quindi, Foggia-Atletico Madrid. Senza contare che, nella capitale spagnola, il sito ufficiale annunciava l’incontro come il duro impegno della giovanile contro una squadra della serie B italiana. In sostanza, nessuno ha compreso chi ha mentito a chi. Forse nessuno. Le illusioni della bella stagione non sono mai menzogna. Fatto sta che alle 20:45 i bengala illuminavano la Sud, le torce la Nord. E i rossoneri a righe strette sfilavano sul tappeto verde con i bianco-rosso-blu spagnoli. L’illusione ottica di quell’Europa che, da sempre, sospirando, crediamo di meritare. A giusta ragione. Nelle sue fattezze concrete e plastiche. E non come un sogno di mezza estate. Tre a zero per noi. E ora andate a ricorrere alla prima squadra.

Quest’anno, poi, non hanno fatto neanche i fuochi.

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