02/02/10

La ritirata di Russi

di Lobanowski 2

lunedì 1 febbraio, Ravenna-Foggia (rinviata)

Cisco adocchia la cartina poi dice, no: Stiamo andando a fanculo! (883, Rotta per casa di dio)

Il casellante ha la faccia da caratterista del Drive In e le occhiaie rosse. Enzo gli sussurra: “Oh! Oh! Oh!” col megafono, come una specie di mantra fastidioso. Giuseppe tira sul prezzo. Quasi 30 euro per 500 chilometri di autostrada non si pagano a cuor leggero. Apro il finestrino e il vento gelido riempie l’abitacolo. Adesso dietro sono tutti svegli. Stiamo uscendo a Faenza e non sono ancora le 16 e 30. Mezz’ora d’anticipo sulla tabella di marcia. Si stiracchiano i muscoli, ci approssimiamo all’evento, che prima della partita – e ben oltre questa – si chiama reunion. Valerio e Angioletto ci hanno chiamato poco fa. Sono in stazione. Gli altri, i romani, li danno tra Perugia e Cesena. La neve a cumuli occupa la visuale ai bordi della carreggiata. Giuseppe cede e sta pagando. Il cellulare comincia a dimenarsi sul cruscotto. È Antonio. Rispondo sereno. Del resto c’è un tiepido sole e non abbiamo trovato intasamenti, abbiamo accantonato i dubbi della vigilia e le profezie dei gufi d’appartamento. La voce dall’altra parte sta chiedendo: “Dove siete?”, rispondo placido: “Al casello di Faenza”. Il tono si fa cupo e imperativo: “Fermatevi!”. Un interrogativo preoccupato mi si dipinge in faccia. Gli altri non possono vedermi, né intuiscono. “Oh! Oh! Oh!”. “Perché, Antò?”. E la risposta spazza con una raffica di realismo i banchi di speranza mal riposta: “Si va verso il rinvio”, “Cosa? E perché?”, “Non è ancora ufficiale, ma c’è la commissione in campo e pare che siano orientati a spostarla al 14”. Il mio dev’essere un ottimo silenzio prolungato. “Comunque fermatevi, vi chiamo io appena so qualcosa”. Clic. Fermatevi. Ma noi eravamo già fermi. Volevamo fermarci. Avevamo anche adocchiato il punto di ristoro: la Casa del Popolo di via Donati, traversa di via Oberdan. Dobbiamo riunirci e bere il Borghetti che ci siamo portati da casa, dare due calci al pallone, sudare, mettere le basi per una solida influenza e mangiare i panini. E scaldare i cori. Non chiedevamo altro che fermarci. La sbarra biancorossa si alza, passiamo lentamente. Mi giro e comunico la triste nuova: “La rinviano”. Ke-ghé?

Rewind. Faenza è stata scelta all’inizio della settimana. Una settimana lunga più di ogni altra. Una settimana di vigilia. Del resto: sono venti giorni – da quando Rai Sat ha comunicato d’aver scelto Ravenna-Foggia per il posticipo del lunedì sera – che giriamo attorno all’idea di questo viaggio. Abbiamo fatto tutto per bene, stavolta. Il furgone, le telefonate, le mezze giornate di permesso e malattia dal lavoro. La lobby dei disoccupati cronici ha preteso e ottenuto una partenza anticipata. Alle 10. Una fibrillazione al ribasso che per poco non ha imposto lo start all’alba. Poi le immagini della neve, copiosa, a traboccare da ogni schermo televisivo lungo l’intera domenica di disimpegno. E la ridda di voci e conclusioni. Tutti a consultare il meteo. Su Ravenna è previsto sole. Certo, la temperatura potrebbe scendere a 4 gradi sotto zero, la strada è satura di ghiaccio, potrebbero volerci le catene. Ma non dovremmo rischiare. Abbiamo finanche trovato un sito con tanto di webcam piazzata su Piazza del Popolo. Si vede l’asfalto lucido e il cielo bianco, ma non ci sono precipitazioni in corso. Ci sono signori che passeggiano e pattuglie del 113. A sera, qualche passante sotto i portici. Ravenna non sembra Las Vegas, ma neppure Helsinki. E la webcam fa più audience di Don Matteo. Il pullman del Foggia è rimasto cinque ore intrappolato tra Fano e Rimini. “Ma c’era un camion di traverso”. Niente a che vedere con la neve. Si gioca, si gioca sicuro. Allora bandiere e pezze, zaini e vettovaglie finiscono nel bagagliaio. E con una sola mezz’ora di ritardo – a oggi un record! – usciamo dalla città e imbocchiamo la circonvallazione. Dopo il casello parte la compilation: Aeroplano che te ne vai. In alto le mani. Fuori la voce.

A Vasto si sosta per la prima volta. Spunta il pallone. C’è ottimismo. Non che la partita conti tanto in se per sé. Certo, ci giungono sms che aggiornano sulla spesa che l’Uesse sta effettuando al mercato di riparazione. Qualche commento ci scappa. Ma la vera adrenalina è quella che deriva dall’immaginarci lì, sulle tribune di ferraglia, coi riflettori accesi, a cantare a squarciagola, a sventolare le nostre bandiere. E il freddo glaciale, così come la posizione in classifica e le scarse possibilità di fare risultato, non fanno che acuire la voglia d’essere lì. Danilo spara sopra la traversa dell’autolavaggio e la palla si perde nelle vigne. Poi è di nuovo mezzeria. Ancona, il Conero, e le prime fiancate innevate seriamente. “Qua l’ha fatta proprio”, sentenzia Giuliacci. Gli alberi sono scheletri bianchi e neri. A Pesaro scatta la battaglia. “Oh, bambini… adesso ci fermiamo. Ma non fate che appena scendete vi fiondate sulla neve. Non facciamo come se non l’avessimo mai vista, la neve”. Lo scontro è feroce, ma si limita a qualche scambio. La Scocca sentenzia: “Uagliù, evolvetevi!”. E il suo è più un grido disperato contro la corruzione dei costumi che un semplice, bonario rimbrotto. Rimini ci scorre accanto. Non c’è ombra di rallentamento. Autostrada deserta al confine del mare, sento il cuore più forte di questo motore. Gli ultimi chilometri volano. Cesena, Forlì, Faenza. Il casello. Il casellante ha la faccia da caratterista del Drive In e le occhiaie. Ma questo l’abbiamo già detto. Ma quanta strada per rivederti ancora…

Non diamoci per vinti, manca accora l’ufficialità. Gli altri, che sono partiti ad un orario meno folle del nostro (e comunque prestissimo), sono circa cento chilometri dietro. Li abbiamo sentiti un’oretta fa. Li abbiamo finanche rassicurati sul tragitto che avrebbero trovato. Adesso ci dicono che ci sono poche speranze di vederla, la partita. Il nove posti sembra vagare tra rotonde e viali alberati. Per qualche minuto si perde anche in centro. E nessuno sembra conoscere via Oberdan. Seguiamo le indicazioni per il campo sportivo, quasi come la scia di una cometa. Il parcheggio ghiacciato della tribuna. Con la speranza ridotta ai minimi termini. Via Donati è la seconda a destra. Abbiamo recuperato i due emiliani d’adozione. Uno sciame pensoso attraversa la strada principale, si incunea nei viottoli. Case basse. Nessuna Casa, nessun Popolo. Un vecchio ci garantisce che abita lì da quindici anni e non ne ha mai visto una. Eppure su Google ci sono addirittura le foto: un ampio porticato, tipo oratorio. Ma quello dice no no e noi non abbiamo nessun portatile, nessuna chiavetta usb, nessuna connessione wireless. Solo un liso pallone a pentagoni tradizionali che slitta sul ghiaccio, come una coperta di Linus. Ultimo brandello della nostra fiducia. Chiamiamo un secondo gruppo nella speranza che possano, chissà come, comunicarci un contrordine, o che non sappiano nulla di nulla e ci contagino con la loro spensieratezza. “Noi? Abbiamo fatto inversione a San Benedetto. Stiamo tornando indietro”. Lo stesso i romani. È ufficiale, dunque. Non c’è neppure bisogno di leggere l’sms che fa vibrare il cellulare. Avanguardia perduta nella neve nel bel mezzo dell’assalto che si pensava vincente. Fossimo partiti all’una, avessimo aspettato Mattia all’uscita del cantiere… Invece: “Presto! Partiamo presto!”, abbiamo ripetuto per quindici giorni. E adesso siamo qui. Macchine ferme, uno stadio innevato, un parcheggio gelato, il Borghetti quasi finito. E una luce come di locanda, una taverna di Betlemme. Circolo bocciofilo per pensionati A.Pancrazi. Servono Segafredo, garantisce l’insegna. Sostiamo pensosi. Tornare a Foggia adesso non esiste. Per il denaro speso, certo, ma anche perché comunque siamo in dodici. Un buon numero per passare una serata a 500 chilometri da casa. E poi a noi di questa partitella continua a non fregarcene un cazzo. Giuseppe si appropinqua. La Scocca entra deciso. La barista esce e ci invita ad entrare: “Dai, per una bevuta non c’è problema!”. Tepore. Tavoli, bancone, anziani. E la sfida. Spartak Faenza vs Dinamo Fidenza. “Voi chi siete?”, “I tifosi ospiti”. Dai Fidenza dai, non mollare mai.

Il resto è un carsico dibattito sugli esiti, un tuffo nelle strade provinciali, l’ingresso a Ravenna col buio, anche se sono ancora le sei. L’indicazione per il settore, le camionette dei carabinieri. “Che cercate?”, “La partita”, “Quale partita?”, “Non c’è una partita?”, “No che non c’è… non vi hanno detto niente?”, “No, mannaggia, e adesso?”, “Siete tutti di Foggia?”, “Si”, “Foggia-Foggia”, “Si”, “Nessuno di San Severo?”, “No”, “Io sono di Severo”, “Noi no”, “Ci avevano detto che i gruppi organizzati erano stati tutti avvisati”, “Ma noi non siamo organizzati”, “Siete nove?”, in dodici rispondono: “Si”. Insomma, questo è il settore. Qua dovevamo arrivare. Qua siamo arrivati. E c’è ancora un resto del resto. Un’appendice di serata che parla di improvvisate e fraintendimenti pericolosi, di recriminazioni, chiacchiere e movimento, di Jegermeister col ghiaccio e saluti alla prossima; di piazze larghe, razionaliste e vuote. Di panini e bottiglioni di vino infranti. Di retromarce azzardate e di stazioni coi bagni chiusi. Di treni per Rimini che partono alle 21:54 e altri saluti, altri abbracci, altri alla prossima. In 57 secondi netti la seconda e la terza fila del furgone piombano in un sonno più simile alla paralisi e alla morte. Tranne Daniele, dormono tutti già al porto fluviale. A Lello cominciano ad accendersi spie sul cruscotto della salute. “Ti senti stanco, Giusé, vuoi che guidi io?”. No, no, è tutto a posto.

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