23/02/10

Malamorenò

di Lobanowski 2

Domenica 21 febbraio, Marcianise-Foggia 0-0

Può scoppiare in un attimo il sole / Tutto quanto potrebbe finire / Ma l’amore, ma l’amore no.


Il manifesto fluorescente, giallo e verde, salta agli occhi: Il Real Marcianise ha bisogno di te! La salvezza passa dal Progreditur! “Saremo in mille – promettono i dirigenti – per l’assalto al Foggia”. Del resto: “Per noi è una finale”. Qualcuno dalle parti nostre si diverte a far vibrare la stessa voce grossa: “anche noi saremo mille!”. Mìne nu lùcchele e fuitìnne. Teniamo i fili della discussione telefonica. La fronda s’apre nel plotone romano: “16 euro e 50 per il biglietto non abbiamo nessuna intenzione di cacciarli!”. Perché quello è il danno a cui, sparando cifre a tre zeri, ci si riferisce. La salvezza del Marcianise passa anche dalla felicità del cassiere. È una discussione vecchia come il mondo. Solo in gruppo la reiteriamo da due anni: Le regole sono quelle che sono, il calcio non è bene indispensabile come il pane e la salute. Se non vi va di tirar fuori i soldi, bene. Avete il dovere di arrangiarvi, purché non si accampino tesi sul diritto costituzionale ad entrare, che imbarazzano per infantilismo. “Ma fuori non vi fanno mica stare, a protestare contro la modernità”. È inutile frigare: aldilà del giusto e dello sbagliato, senza tagliando non si entra. Non siamo nel ’92. Pensateci prima. Ci pensano.

Anche i prati rinunciano ai fiori / Perché i fiori hanno perso i colori / Ma l’amore, ma l’amore no.

170km, quasi tutti in autostrada. Non un gran danno, né una levataccia. Comodi, lavati e vestiti per le 11. Un tiepido sole oltre i rigori dell’ultimo inverno. No ai Sabaudi, Pupo mercenario! Bandiere e aste finiscono in una macchina, la pezza nell’altra. Cerchiamo di stare vicini. Manca una sola persona, ma non siamo sgarbati e la lasciamo dormire il sonno del giusto. Davanti allo Zaccheria si radunano le due curve. Qualcosa ci dice che non saremo mille. Del resto, al sabato erano stati venduti cinquanta biglietti per il settore ospiti del Progreditur (“…ma che veramé si chiama così lo stadio?”). Alle 11:30 si parte. Chi c’è, c’è. In carovana su via Ascoli, il curvone, la statale. La campagna di Capitanata, la voce di Vasco Rossi, una domenica mattina che si illumina. I foggiani si conformano alle proprie superstizioni geografiche. Figli morali della transumanza, della mena delle pecore, puntano con facilità al Nord adriatico, ma hanno sempre difficoltà a considerare l’Ovest. Il West e il Far West campano. Del resto: la natura ci ha dotato di un intero pezzo di Appennini per poter ignorare quel che c’è dall’altra parte. Per poter chiudere gli occhi sui vicini. Al momento di entrare in A16, sotto la mole imponente di Candela, ci rendiamo conto di possedere un patrimonio di 14 euro, frutto di qualche sperequazione, di ardite manovre finanziarie. Vanno investiti, nel nome superiore del consumismo. Bisogna uscire dalla crisi, far girare la moneta. Sfiliamo dinanzi al chiosco dei sottolio, ignoriamo il vino. C’è la piazzola dei pullman col bar aperto. Non dovremmo dare nell’occhio se perdiamo cinque minuti per una bottiglia di Borghetti. Al volo. Del resto: potremmo accelerare nel prossimo tratto e recuperare lo svantaggio. Con somma sorpresa, invece, la sosta è collettiva. Sfila il solo Nicola, che non s’avvede, e diventa avanguardia del movimento. “Salve”, “Salve”, “Quanto viene una bottiglia di Borghetti?”, “Una bottiglia? No, non posso venderla”, “Perché?”, “Perché no, non si può”, “E allora ci fa otto Borghetti?”, “Certo”, “Me li mette in una bottiglia di plastica?”, “In una bottiglia? No, non posso ugualmente”, “E su…”, “Dovrei chiedere”, “E quanto viene un Borghetti?”, “1 e 60”, “Quanto?”. Sin dalle prime battute, la trattativa si complica. Al bancone vanno e vengono i ragazzi che ordinano un caffè, pagano ed escono a fumare. La signora s’informa telefonicamente, ma non ottiene risposte certe. Poco alla volta – lo vediamo dal vetro – i componenti della missione rientrano nei furgoni e nelle macchine. Si avviano. Tutti. Siamo di nuovo gli ultimi, e la situazione non si sblocca. Entrano due infermiere in tenuta da lavoro. “Aiuto, sto male!”. Poi, alla buonora, la signora decide di metterci a parte di un segreto: in ogni caso, non ha bottiglie piene nella stiva. Si rumoreggia e si svuota coscienziosamente l’unico esemplare sullo scaffale. Escono giusto gli otto bicchieri paventati all’inizio, come un segno. Ci meritiamo un sostanzioso sconto. Beviamo da strani contenitori di yogurt. Entriamo in autostrada.

Il grande gioco dei contatti ad incrocio. Nicola si è perso, come l’Andrea di De André. Non sa dirci se quel deserto da cui è circondato ci preceda o ci segua. I furgoni lo hanno raggiunto e superato da un po’. I cartelli indicano Avellino. “Siete davanti a noi di venti chilometri”. I romani calano con una macchina. Ci fanno sapere d’essere a Caianello. “Uscite a Caserta Sud”. Affascinante. Alcuni ruderi di castello sulla destra. Dibattito serio: perché costruire una fortezza sulla collina più bassa delle tre? Le hit sanremesi cercano d’imporsi tra le curve in altura. Le onde vanno e vengono. Se è vero che chi vince non vende e chi perde non sfonda in radio, allora come giudicare Noemi e Malika Ayane? Lo svincolo. Oltre il casello, una colonna di mezzi sulla destra. I lampeggianti della polizia di scorta. “Quanti ne siete ancora?”, “Boh”. La colonna si muove. S’inoltra nel contado. La provincia di Caserta è una delle zone paesaggisticamente più fortunate d’Italia, ma lo scempio di costruzioni basse, di lamiere e immondizia, di depositi e capannoni alternate ad ambigue case in stile, ne fanno un monito allo squallore. Abusivismo che mi ricorda La città distratta di Pascale. Marcianise è contigua a Caserta, tanto da poterne essere un quartiere. Sbuchiamo in un vicolo. Davanti si notano le manovre di parcheggio. Un faro solitario ci indica lo stadio, dietro un paio di muretti. Sono le 14:15. È tempo di ricompattarci, di passare dai controlli. I documenti non servono, stavolta, ma c’è la perquisizione personale. Respingono la jolly roger. Il resto passa. Gradini in ferro, siamo in curva, senza ombra di dubbio. Ed è anche una discreta curva. Seggiolini per diverse file a strapiombo sulla traversa. A destra, un bel muro a mezzo metro dalla linea laterale. Di fronte, dietro l’altra porta, un reticolato anonimo. Sulla sinistra, una tribunetta vagamente riempita. Nell’angolo, una trentina di supporters locali, che brillano per la pessima scelta di due bandieroni. A quanto si narra, la curva che stiamo popolando oggi è in realtà la loro. Vivono un precariato insopportabile, questi, destinati alla tribuna ad ogni accenno di tifoseria ospite. La carica dei mille non c’è. Da una parte e dall’altra.

Il dolore può farci cadere / La speranza potrebbe sparire / Ma l’amore, ma l’amore può.

Le squadre sbucano dal reticolato. Nel solo riscaldamento, sono piovuti nel settore due palloni. Le pezze a ridosso della porta. Non siamo tanti, un centinaio. La stanchezza della categoria, certo, la posizione di classifica, ma qui ci giochiamo – calcisticamente – un bel pezzo di salvezza. Il turno sembra favorevole: il Potenza va a Verona, il Pescina a Taranto, la Cavese a Ravenna. Il terreno di gioco è pesante, con zone di fanghiglia impenetrabili come selve del Sud-Est. Ci accorpiamo. Primi cori secchi e battimani. Noi siamo qua / Sempre con te / Unica fede in tutto il mondo intero. I locali intonano qualcosa. Di tanto in tanto si fermano a guardarci. Altro pallone nel settore. Il Marcianise vuole i tre punti, e attacca. I nostri si difendono. I cori sono continui, un paio anche degni di nota. Ancora quelli secchi: Forza Foggia / Vinci per noi. Qualche goliardico sfottò di routine verso i padroni di casa, e quelli si imbizzarriscono. Li vedi muoversi, scomporsi, riunirsi per cantare sfottò. Oltre ad essere pochini, sono anche piccoli d’età. Ragazzini. I più anziani si dannano l’anima. La polizia si avvicina per evitare malori. Da noi si ride per la situazione, ma il sostegno non scende di tono. Poi i tutori raggiungono anche noi. E la baraonda che ne segue è uno degli spettacoli più originali della domenica campana. I tre carabinieri si allontanano salutati da quel coro sulla disoccupazione che dona pessimi frutti. Ricambiano il saluto. Il Marcianise è quasi sempre in pressione sotto di noi, ma non tira mai in porta. E poco alla volta, si esaurisce. I nostri avanti sono spesso in fuorigioco. I locali ci indicano e ci promettono sanguinosi regolamenti di conti. Noi decidiamo di dedicare qualche minuto del nostro tempo a ricordargli che non siamo napoletani. Alla fine del tempo, lo sfottò diventa hot-club. E la versione di “Storia d’amore” accalappia l’attenzione del pubblico. Dimentico finanche di fumare. Volevo salire in cima al settore per vedere cosa s’apriva aldilà del muro. Ma tra Celentano e Pozziello, ho rimosso. Mi informa Wikipedia, che il Pozziello in questione altro non è che il bomber locale. Diviene oggetto di derisione continuata per via di uno striscione che recita: “Aaah, come gioca Pozziello!” (accanto ad uno per un tale Falco e ad un terzo che recita “Solo per la maglia”). Pozziello, ma vedi come va, Pozziello, ma vedi se ne va, Pozziello, va sulla fascia, la mette al centro e Falco fa gol!

Nella ripresa si spegne il sostegno di casa. Noi rimaniamo costanti. Il Marcianise ha mollato. Come un messaggio cifrato, il loro primo tempo. Battimani a sorpresa. Oltre un grosso agonismo dei centrocampisti, questa squadra è una banda. Fa male pensare all’1-3 patito in casa. I nostri sono troppo leggeri per la fanga, ma poco alla volta vengono fuori. Lottano, si incitano a vicenda, si caricano. Accettano lo scontro con un Marcianise che si spegne anche su quel fronte, poco alla volta, come una luce di segnalazione nella nebbia. E così vediamo i nostri diventare sempre più grandi, in scala, per la mole di lanci e calci d’angolo che rasentano il settore. Altri due palloni in the box. La Umbro vende tanto, da queste parti. Fiutiamo la vittoria, e spingiamo. Il massimo sforzo, il massimo sostegno. Un palo, che intuisco dal rumore. Una traversa, che vedo a mezzo passo. Ad un nulla dai tre punti. Niente da fare, non si vince. Ma la squadra ci viene incontro ugualmente. Merita l’applauso. Io canterò / Ti sosterrò / Ovunque andrai Us Foggia. Si svuota il settore, si passa dalla linea di minor contatto coi locali, che inveiscono. “Chiamaci tuo padre, ragazzino!”. Fuori ci suggeriscono di stare “accorti”. Ma, a parte un ratto morto, non c’è anima. Una macchina spara musica napoletana. La fila rossonera si accoda, come una processione.

Cronache schiave di Tufino

Ugolotti potrebbe svenire / Capobianco fianche morire / Ma l’Uesse, ma l’Uesse no…

Il serpentone si perde nell’ingorgo della barriera di Caserta. Volti conosciuti, soliti sospetti e perfetti sconosciuti s’alternano di fianco al finestrino. Le file procedono sconnesse, su più piani. Un carnaio. Una riccia ci sorride. Il moto perpetuo del traffico ci separa da lei. Una curva, ricomponiamo il trittico d’auto che deve accompagnare Nicola al distributore di Avella. Puntiamo per Napoli, poi ci accorgiamo dello sbaglio ed invertiamo la rotta, quando le fauci del casello già s’erano spalancate. Dietro-front, con le auto che ci sfrecciano in senso contrario. Juan e Ceska non ce la fanno, e finiscono imbottigliati. Gli altri riescono ad imboccare la Salerno-Bari. Parte l’avventura del terzo tempo. La stessa che ci porterà a Baiano e verso l’interno, lungo villaggi allineati alla statale, di cui la statale stessa è l’attrazione principale. Sperone è in piazza per una sorta di carnevale fuori tempo massimo, che fa anche da festa patronale. Quella gente si affolla sul marciapiede della chiesa. Il santo uscirà, ma senza turbare il traffico. Il distributore è nei pressi di Avella. Qualche metro più avanti e si finisce in una specie di cono di buio. Le luci di una chiesa di sguincio, un bar. Ci fermiamo, per evitare di proseguire ad oltranza fino alle Colonne d’Ercole. L’insegna del circolo Jolly. Il barista seduto da solo a vedere un film su Rai Cinema c’informa che siamo a Schiava di Tufino. Un biliardino. Non ha mai fatto un Borghetti. Pensa sia il Baileys. Vuole 2 euro. Rinunciamo con sdegno. Una serie di Peroni da accompagnare alle birre cambogiane. Fuori, un silenzio da horror. Dentro, una sfida balilla che costa una bottiglia di vetro a terra e qualche smadonnamento legittimo del titolare. Secchio e straccio. Il Televideo ci comunica che il Potenza e la Cavese hanno strappato punti fuori casa. Si mette sempre peggio, ma non demordiamo.

E Fratena potrebbe segnare / E Ricchetti tornare a fallire / Ma l’Uesse, ma l’Uesse no…

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