05/04/10

Il minuto 33

Sabato 3 aprile, Rimini-Foggia 0-1

L’insonne cronico, l’unico che ha fatto la nottata, fissa languido, amorevole. “Ogni volta che ti vedo – confessa ad Enzo – mi passa davanti tutto”. E muove le mani dinanzi al viso per rendere meglio l’idea del nastro che scorre. Penso, pensiamo tutti, che volesse alludere al fatto che basta uno sguardo per capire che stiamo tornando in trasferta. Ed è una cosa bella. Ma l’insensibilità dilaga. “…cioè, ti vedo e capisco che… capisco che…”, “Che stje d for!”, è l’amaro completamento della poesia.
La statale irrompe dai finestrini.
Contro ogni previsione catastrofista, abbiamo aspettato solo 40 minuti l’unico ritardatario. E non era neppure uno dei nostri. Adesso saltiamo il pedaggio. Fino a Vasto, dove dobbiamo mollare una macchina. La dance anni Novanta rimbomba. “Ma abbiamo mai parlato di Lola Ponce?”, “No, mi sa di no, e comunque non a sufficienza”. Sportweek circola tra le linee. Il Conte declama, allieta, riuscendo nell’impresa di modificare a suo piacimento anche la parola scritta e stampata. Accanto a sé, Mattia vive il dramma del biglietto. Qualcosa gli dice d’averlo mollato ad un compagno di viaggio, di aver chiesto la cortesia di tenerglielo, per beffare le insidie del cammino adriatico. Ma tutti negano ostinatamente. “L’hai perso, è inutile che cerchi”. E, siccome stavolta aveva preso persino il documento, alterna attimi di blasfemia a momenti di feroce autocommiserazione. I fratelli arrivano sotto la loro casa fantasma di San Salvo. Guido indica un palazzo dalle fondamenta alla volta celeste, Nicola si diletta con le inversioni, attività che tra tutte lo sollazza. Mattia maledice la sorte. Poi fissa l’intero gruppo con uno sguardo tra l’imperativo e l’implorante: “Chi ce l’ha me lo dasse”, chiede. Ma neppure lui crede più tanto all’ipotesi dello scherzo.
All’autogrill si sceglie un pallone nel cesto, per colmare un vuoto. Più che una ridicola sfera rosa di Hello Kitty, è un amico vero quello che abbraccia. È il suo Wilson, come per Tom Hanks sull’isola deserta. “Signore, chiedo scusa, potrei sapere cosa vi ha detto quel ragazzo che entrato poco fa?”, “Ah, beh, non so… parlava… scemenze”. Ci sono altri foggiani che escono. Non saremo tantissimi a Rimini, quest’oggi. Ma neppure pochissimi. Certo, è sabato, è quasi Pasqua, è una giornata lavorativa. Chi dal Sud deve salire, fa i conti con gli euri. Chi dal Nord è già sceso per le feste, ci pensa due volte prima di risalire. Troppo sbattimento. E da mezzanotte è anche rincarata la benzina. La palla rosa finisce sull’asfalto, tutto il furgone rientra. Eravamo convinti di trovarci sulle affollate strade dell’esodo, siamo partiti alle 7:30 apposta. Invece, l’autostrada è libera e la costa romagnola non è poi così distante. In vista di Ancona l’equipaggio si acquieta. Mattia è “clinicamente morto” e il futuro letto nel fondo del Borghetti non è rassicurante. La terza fila spacca. Due dormono. Il terzo è Guido, che s’incunea tra i sedili e grida: “Abbassa, abbassa, si sente male”. E chi si gira e vede Nicola riverso non pensa ai suoi problemi di comunicazione del telefonino. Pensa ad un malore, e smorza Corona. Cattolica entra nel mirino alle 12:30. Non ha senso proseguire. Non è una pasquetta, anche se può sembrarlo. Usciamo e puntiamo l’interno. Margherite gialle ed aria primaverile. La campagna invoglia. Raggiungiamo Morciano, il primo paese che ci compare davanti. Angioletto ci ha appena comunicato che non sarà al “Neri” prima delle due. Abbiamo un’ora da spendere. Prendiamo in prestito delle sedie dal parco giochi della piazza e ci godiamo il sole. Ci alziamo solo ad applaudire i ciclisti.

Il parcheggio ospiti è poco distante dallo stadio. Una telefonata dalle adiacenze del settore ci comunica che abbiamo fatto tardi anche oggi. A noi non sembra: manca mezz’ora all’inizio, c’è tutto il tempo di prendere bandiere, bottiglie e striscione. E muoverci. Attraversiamo una strada trafficata, tra l’indifferenza dei gruppi di sbirri ai due incroci. Mah, strano concetto di controllo del territorio. Comunque, a noi va bene così. Angioletto ci viene incontro. È con gli altri del miniplotone bolognese, è arrivato in treno. Affianco Mattia e gli restituisco il biglietto che mi aveva chiesto di custodirgli a Foggia. Mi guarda più sollevato che incazzato: è stato un bel gioco spingerlo ad angosciarsi, deve riconoscerlo. Controlli all’ingresso. Dubbi sulla jolly roger, “Lei comunque si allontani”. Ma è mai possibile, ci si chiede, che questa gente non abbia il minimo senso dell’ironia? Metallo, tubi. Antonio mi ha chiamato annunciandomi la morte di Maurizio Mosca. Adesso sta provando a ricontattarmi perché la nostra assenza gli è balzata agli occhi. Tornelli. Sbuchiamo all’unisono. Chi ci incrocia ci chiede: “Ma dove eravate finiti?”. La notizia della nostra scomparsa ci ha preceduti. Siamo di lato, sulla destra, con la nostra curva. Nothing else matters all’angolo. Prospettiva sul campo che elimina le residue speranze di vedere qualche azione, tra un coro e l’altro, magari mentre si fischia il loro possesso palla. Doppio settore per loro: uno in gradinata, uno nella curva di fronte. Sembrano lontanissimi, i primi quanto i secondi. Tira vento. Ci scaldiamo coi primi cori che ancora manca la Nord. Poi anche loro arrivano. Siamo lunghi, troppo distanti dal cuore. Enzo individua il problema: è in alto, tra i padri di famiglia emigrati che sono venuti per vicinanza geografica. Emigriamo anche noi, verso l’alto, a fare da tappo. Al vento le quattro bandiere. Fisiologiche proteste degli spodestati, affrontate con calma e diplomazia: “Il problema vostro è che siete dei tirchi… Sapete quanto costa il biglietto per la gradinata? Solo 5 euro in più!”. Si allontanano, lasciano un buco, ma non certo un vuoto. Bene così. Si parte in sordina, si cresce rapidamente. Il Foggia è offensivo, il Rimini non s’avvicina. C’è un gol, di cui ci accorgiamo con qualche attimo di ritardo. Non esulto mai quando si segna troppo presto. Sono passati venti minuti appena. Adesso i cori coinvolgono l’intero settore. Siamo più di duecento, e più della metà partiti da Foggia. Al minuto 33, poi, avviene l’episodio determinante. Dalla balaustra gridano che dobbiamo prendere le sciarpe. Fino a ieri la risposta, il nostro modo di partecipare, era nella sbandierata. Oggi, invece, le sciarpe ci sono. Di lana, pesantissime. E il sole di aprile già ci costringe in t-shirt. Eppure, al segnale, scattano. La nostra prima sciarpata, la prima sciarpata della Ciurma. Non sarà un’avventura. Poi le altre s’abbassano, s’agitano. Ma Enzo chiede un supplemento di sforzo. Tenderle, ancora. Fosse per lui, resteremmo così fino alla fine del primo tempo. All’intervallo chiediamo a chi era di sotto: “Com’è venuta?”. Dicono bene. Ci crediamo. In fila al bar blindato, con Mattia che accusa di pedofilia il barista (per un mai appurato rapporto col guardalinee, dove comunque non sembrano esserci minorenni), Angioletto compra dieci Borghetti. La ripresa è un coro prolungato, dilatato, tenuto alto. In campo non succede granché e, poco alla volta, anche i laterali alti del settore pregustano la vittoria e s’uniscono ai canti. Quell’atmosfera tipica da 3 punti in trasferta al Centro-Nord. Gli sguardi sempre più ansiosi, i volti sempre più distesi. Al triplice fischio ci sono gli abbracci, la squadra sotto il settore, le bandiere alte. E prima dell’uscita, il coro al giornalista e il pensiero a mia zia incolpevole. E la riflessione. Il buonumore che dimostriamo è la prova provata di una tesi: il movimento ultras – quell’essere ultras a prescindere – non può che venire dopo l’appartenenza, l’identità. Mentiremmo se dicessimo che saremmo stati così coglioni ed euforici a prescindere. Ultrà del Foggia, non di uno stile. E se pure esistono momenti in cui questo dettaglio va accantonato, in altri appare nella sua pienezza. E non potrebbe essere altrimenti. Ci siamo fatti i nostri bravi chilometri, gli sbattimenti del caso, le bevute e le risate. Saremmo stati lieti di raccontarci un’altra epica avventura, comunque. Ma oggi c’è qualcosa in più: siamo felici perché il Foggia ha vinto. E questo ritorno all’infanzia è parte integrante del gioco a cui ci piace giocare.

Cronache di piazza Matteotti

Pesaro sembra Fano. E Fano sembra Tolentino. Lunghe disamine socio-politiche hanno appurato che queste, si, sono le lande più felici d’Italia: quelle dal tenore di vita altissimo che si lega ad una quantità di servizi invidiabile. La tranquillità e il benessere. Noi a Pesaro ci siamo andati per depositare il babbo tra le braccia di Manu e del piccolo pirata. Ed approfittare per passarcelo anche noi di mano in mano. Una lieta combriccola con tanto di passeggino e bimbo al seguito. Eppure, la proverbiale tranquillità marchigiana – non il semplice silenzio, il viavai senza clamori – è sembrata discretamente, distintamente ostile. Probabilmente in ogni zona d’Italia si sarebbero spostati per non avere niente a che fare con un gruppo nerovestito che avanza scialando. Ma qui anche le informazioni ci arrivano col contagocce. E non senza un discreto fastidio facciale. “Ma dove va un pesarese quando vuole bere una birra?”, “Beh, al bar”, “Si, certo, ma sono tutti chiusi”, “Provate sulla spiaggia”. C’è una spiaggia a Pesaro? Piazza Matteotti invece raccoglie un bel paio di chioschi. A sinistra sparano 3,50 euro per una Moretti grande. A destra, a meno di dieci metri di distanza, ne chiedono 2,50. Ci buttiamo a destra ed osserviamo Mattia col suo pallone rosa, come i tanti genitori presenti fanno coi bambini. Non ho voce e il dibattito risulta fastidioso. Ancora mondo ultras, ancora contraddizioni e stili, al centro della chiacchiera, mentre la fontana al centro della piazza gorgoglia acqua bianca. Andato via il sole, comincia a fare buio. Un lungo struscio fino al furgone, finanche qualche coro. Non ci lascerà una grande impressione, questa città. Abbiamo quattro ore di autostrada da affrontare. È tempo di saluti, alla prossima, ci vediamo a Portogruaro. Senz’altro. La deviazione verso l’autostrada sembra quella di Ravenna, mentre qualcuno la trova più simile a quella di Pistoia. Un altro paio d’anni così e tutta l’Italia sarà paese.

2 commenti:

quattrostagionicrew ha detto...

saluti carissimi dalla four seasons crew (PRESENTE ANKE A RIMINI!!!!!!!)

*4*S*C*
casuals

Anonimo ha detto...

waitin'for portogruaro....
...quattrostagionicasualcrew

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