21/12/10

Grenoble. Resoconto di un viaggio.

Grenoble, 16-18 dicembre

Il nero di Troia e il vino dell’Isere; la soppressata di Faeto, il salame delle Alpi, i formaggi e il caciocavallo, sul tavolo comune, mentre tra le mani sfilano fotografie, si mescolano idiomi, si arrancano spiegazioni. A dire che quella è Cremona, nel giorno dei playoff e qui sono loro a Rennes. Brindisi e abbracci, quando bussano alla porta e giungono amici che non vediamo da luglio. Da Casalecchio. È la prima volta in Francia, la prima volta che guardiamo questa amicizia dall’interno. Tanta voglia di conoscere, di conoscerci meglio. Per giungere a destinazione abbiamo marciato lungo l’Adriatica stretta nella morsa, a 30 all’ora dietro i mezzi spargisale. Dieci ore di cammino per la colazione alla Bolognina, dove ci scambiano per una compagnia teatrale o, tutt’al più, cinematografica. Pagliacci. La strada per Torino, le tristi Langhe di pianura, l’esoso Frejus. E poi, finalmente, la France. In alto i bicchieri, e la casa si riempie di fumo e racconti, mescolati l’uno all’altro in un’unica splendida cacofonia. Fuori, il freddo non è così glaciale come ce l’aspettavamo. I giacconi da neve d’alta quota restano negli zaini, a ricordarci i colbacchi di Totò e Peppino. Possiamo affrontare i marciapiedi, muoverci verso il centro città. Alle nostre spalle scorre il Donc. Silenziosamente. Le case sono moderne in questa zona. In Place Notre Dame si aprono le porte del Centenaire. Calore improvviso. Altre strette di mano, altri abbracci. È il loro feudo. La loro base. Il loro chiosco di Salvatore. Birra e Chartreuse, che sembra assenzio. 55°. L’ideale per affrontare la prima serata grenoblese. Per sentirci a casa. In pochi minuti siamo sparsi per il locale, come se lo conoscessimo da sempre. Sono incredibili queste alchimie. Intuire un’affinità, approfondirla, viverla, e scoprire che – per quanti chilometri possano dividerci – c’è un’idea che è quasi un ideale, un misto di valori e cultura di strada, che supera le barriere, finanche quelle nazionali, ed unisce, accomuna. Fa somigliare questa piazza del centro di Grenoble in una proiezione della nostra via Pagano. Ultras. Una parola che oggi come ieri ispira nei benpensanti un sordo timore dettato dall’ignoranza; che nel presente italiano è nel mirino di una crociata ministeriale dai rari precedenti, destinata a fare da scuola al resto della società attiva, sempre più intontita dai media della paura. Ma che da queste parti è ancora il nome invidiato di uno straordinario movimento giovanile. È aggregazione, socialità, valori. E condividere simili principi rende uomini (e donne) più completi. Capaci di comprendersi senza traduttori. Fuori a fumare, mentre la temperatura vacilla e crolla. Sembra una città tranquilla, questa. Ordinata, pulita, non molto rumorosa. Eppure anche nel grande assembramento metropolitano, fuori dalle mura metaforiche della città, nell’ampia periferia fatta di paesi contigui, ci sono banlieue. C’è il fuoco della rivolta che si somma alla difficile integrazione delle comunità. 40mila italiani, col loro quartiere di pizzerie sul fiume, proprio sotto le linee della teleferica. E un ritorno di machismo, un traviato senso d’appartenenza, nelle generazioni più giovani. In quei nipoti di siciliani che non hanno mai visto la Sicilia. Nell’ortodossia degli algerini di terza generazione. Nelle gang che giocano al Bronx. Ma è una città ricca, Grenoble, industriosa, che offre possibilità e non chiede molto. I ragazzi e le ragazze del Red Kaos annoverano ogni origine, lontani anni luce dal settarismo comunitario. I francesi purosangue e quelli originari di Corato. Sono ultras, e guardano all’Italia. A Genova, a Torino, a Pisa. Alla culla di un movimento che a volte noi stessi sottovalutiamo nella sua reale portata. Quasi quasi ci imbarazziamo a raccontargli della Tessera, dell’oltraggio quasi mortale subito dal nostro mondo. Un velo di tristezza per quelle curve ormai svuotate di passione, annichilite dalla prepotenza di chi scambia un mandato da parlamentare per il diritto a non portare rispetto. Considerazioni pesanti, che si alternano con originale cadenza alle domande. Siamo incuriositi, realmente, da questa realtà orgogliosa, che sappiamo “schiacciata” tra la gloria antica del Saint Etienne, quella moderna dell’Olimpique Marsiglia e quella contemporanea del Lione. E felici di rispondere ai quesiti che riguardano la nostra realtà, la sua passione. È ora di cena, e la carovana di macchine si dirige fuori città, in altura. Il ristorante è pieno, i nostri amici hanno occupato due sale. I piatti atterrano sulle tavole imbandite, mentre si alzano i cori. Quelli in francese e quelli in italiano. Anche quelli in dialetto. La neve ferma l’idillio. È rovinosa e intensa, come quella che cade da noi una volta ogni tre anni. Dobbiamo abbandonare la postazione, la balconata e le luci della città dall’alto. Tra dieci minuti saremo bloccati dal mondo. Così, torniamo a scendere, tra tornanti già imbiancati che tendono a farci stare all’erta più del dovuto. Qui sono abituati, anche se quest’anno, ci dicono, non ha ancora cominciato a fare sul serio. Atterriamo in un pub. Il centro città è innevato. Si comincia a scivolare. E, di conseguenza, a ridere delle sventure altrui. Sembra prendere vita dal freddo che fa. Non si beve in strada, così dentro la calca è impressionante. I ragazzi ci impediscono di mettere mani ai portafogli, sembra quasi una forma di religione. La loro ospitalità è molto mediterranea. Le nostre gole e i nostri stomaci dimenticano l’elemento acqua. E a notte parliamo ancora: scorriamo le foto delle loro trasferte, della vecchia curva. Scopriamo che sono in rotta con il proprietario del club, un giapponese che a stento ha mai messo piede nello stadio, e che l’avvenieristica struttura del “Des Alpes” ha tolto un bel po’ di quella poesia che c’era in altri tempi. Sono retrocessi dalla Ligue 1 l’anno scorso e quest’anno viaggiano all’ultimo posto della cadetteria. Una crisi pesante, che ha ridotto all’osso gli appassionati. Un canovaccio che a Foggia conosciamo bene. Anche i tifosi, come gli ultras, sembrano non conoscere confini. Il venerdì è il giorno della partita. Si gioca alle 20, contro il Dijon, che per noi è il Digione. Un bicchiere di vin brulé per svegliarsi, e un po’ giochiamo ai turisti. Ma la neve caduta per tutta la notte fa del ponte sull’Isere la location ideale di una battaglia di palle di neve senza esclusione di colpi. Al Centenaire troviamo la fanzine. La curva Ovest saluta gli amici foggiani, c’è scritto. In italiano. C’è anche lo scudetto dell’Uesse, e si parla della nostra città e della sua storia calcistica. Cantiamo e brindiamo, mentre la neve batte sui vetri e inonda le strade. “Ma siamo sicuri che si gioca?”, e tutti rispondono che si, che questa è una zona abituata a certe manifestazioni climatiche, che il terreno è riscaldato. Dicono, e qualcuno tra noi capisce che anche i posti a sedere sono riscaldati e già pregusta il gyser sotto il culo. Riuniti a consesso nel fondo del locale, in commissione mista, studiamo la partita. “Dov’è la Snai?”, chiediamo in francese. Bisogna scommettere sulla rinascita. 1 risultato finale, 1 parziale. E montiamo dibattito sul risultato esatto. Torna in mente una sfida d’altri tempi, nello “Zaccheria” d’altri tempi. Era l’anno della prima serie B con Zeman in panchina. Il Foggia era reduce da diversi rovesci, e in casa si affrontava il Messina. La curva non contestò, decise di sostenere quei ragazzi. E fu la svolta della stagione. Vincemmo 3-1, segnò anche Signori. “Allora è andata, ci giochiamo anche il 3-1 risultato esatto”. Per similitudine. I grenoblesi ridono, non credono alla riscossa. I biancoblu, oltre a essere ultimi, segnano pochissimo. Tre gol sono davvero troppi. Cala la sera. E siamo pronti per muoverci in corteo verso lo stadio. Sotto la fontana della piazza ci incolonniamo. Tra cori e battimani tagliamo la città vecchia, dove l’impressione di estraneità aumenta anziché diminuire. I rari passanti, i commessi e le commesse dietro le vetrine riscaldate, osservano senza partecipazione. Dev’essere dura essere ultras da queste parti. Ma i ragazzi ci credono, e cantano, e battono le mani. Noi accendiamo qualche torcia, ad illuminare la strada. Alziamo gli stendardi. Tesserati mai. Ma che bello è… C’è un parco completamente imbiancato nei dintorni dello stadio, illuminato e futuristico. Accenniamo al progetto di Casillo, scettici. Poi è di nuovo tempo di battaglie. Foggiani vs Grenoblesi, a colpi di assalti all’arma bianca, a corpo a corpo e palle di neve, sotto gli occhi distaccati degli steward. Sono in tanti, qui. C’è anche un reparto anti-ultras, mutuato da Parigi. Sembrano professionali. Superiamo le transenne e ci affacciamo sull’impianto. Un piccolo gioiello proporzionato, da 20mila posti. Ci metto tempo per capire cosa ci sia di diverso dallo stadio di casa mia. Mancano le barriere di divisione tra il campo e gli spalti. Il portiere che si sta allenando è a due passi. Ci spiegano che il Grenoble, non bastasse, è in formazione d’emergenza. Almeno sette indisponibili, e molti primavera. Ci muoviamo in curva, raggiungiamo la squadra. “Dovete vincere”, gridiamo in foggiano. Quelli ci sentono, si girano, ci guardano. Superfluo aggiungere che non capiscono. Poi ci dedichiamo ai bambini-mascotte della scuola: Sosteniamo i primi calci! Le tribune sono semivuote. In curva c’è il bar. Vin brulé e sfilatino, come non facciamo mai a casa. Il banchetto dei Red Kaos sforna fanzine e sciarpe nuove. Il gruppo si rifornisce. Dentro c’è il palchetto per il lanciacori. Lo osserviamo con invidia. È tempo di giocarsela. E la curva, coperta, comincia ad urlare. La tettoia crea un bell’effetto d’insieme, e anche se sono in cento a cantare, si sentono. Eccome. Squadre in campo. Noi, poco avvezzi alle lingue, ci sforziamo di seguire le parole, ma sono i ritornelli quelli che intoniamo in blocco. Il Grenoble, in campo, ci mette l’anima. Una prova d’agonismo che ci coinvolge, acuita dal fatto che c’è finanche qualche giocatore senza nome dietro la maglia. Non professionisti. Poco alla volta ci appassioniamo, e quando il bolide da trenta metri incrocia il sette, esultiamo. Ha segnato un ragazzo che, ci dicono, è l’unico nativo di Grenoble, della banlieue. L’unico al quale si tributa un coro. Finisce il tempo, torniamo al bar. Il primo pronostico si è rivelato fondato. Ma la ripresa riserva altre sorprese. Il ragazzotto di Grenoble segna la sua personale doppietta, poi è il Digione a rifarsi sotto, a colpire una traversa, ad accorciare le distanze e fallire per poco il pari. È una partita divertente. I ragazzi ci omaggiano di uno striscione e un bel paio di cori. Noi ricambiamo, felici e convinti. E sul finale, una botta da fuori si insacca sotto l’incrocio. È il 3-1 risultato esatto. Ci guardiamo in faccia durante la ressa. Peccato che la signora del tabacchino ci abbia detto: “In Francia non si può giocare il risultato esatto”. Fischio finale e squadra sotto la curva. Pazienza, ci accontentiamo dei 60 euro incassati. Vorremmo dire: “Stasera offriamo noi un giro”, ma non ce lo permetterebbero. Così al pub irlandese dove passiamo la serata e parte della nottata (e dove la “sfortunata” Charlotte ha deciso di festeggiare proprio quella sera il suo compleanno!), siamo ancora ospiti. Ospiti allegri di questa realtà pulita e passionale, orgogliosa e giovane, che ci ha restituito un po’ di quell’entusiasmo che in patria, tra trasferte vietate, tessere-fedeltà e presidenti padroni, avevamo perso. Anche per questo, tanto di cappello al Red Kaos. Merci beaucoup. Davvero.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, sono un ultras Acireale, conosco benissimo la realtà "grenoblois" e del Red Kaos in particolare, per questo leggere il tuo "racconto" mi ha fatto venire in mente ricordi che credevo ormai persi per sempre. Sapevo della bella amicizia che sta nascendo fra voi e i grenoblesi, e parlando con uno di questi ultimi mi sono congratulato perchè sinceramente vi ritengo (a nome del tutto personale) una delle migliori tifoserie del Sud...
Una cosa che mi ha colpito è che dici di aver avuto imbarazzo nello spiegare ciò che sta succedendo in Italia con l'avvento della Tessera ANTI Tifoso perchè è lo stesso problema che ho avuto io quando mi sono trovato nella tua stessa situazione...
Un saluto da ACIREALE.

Anonimo ha detto...

Ciao, effettivamente ho notato che i legami tra Grenoble e Acireale sono molto più solidi di quanto potessi immaginare da casa. E' proprio vero che nella vita bisogna "praticare le esperienze", altrimenti non si conoscerà mai nulla. Loro sono ragazzi in gamba. Abbiamo passato giornate intense e molto belle, piene di scambi d'opinioni e pareri. Hanno una bella mentalità ed è triste dover constatare che siamo noi quelli che, purtroppo, stiamo perdendo colpi. Ti ringrazio per i complimenti che hai fatto alla mia piazza. Quest'anno, te ne sarai certamente accorto leggendo queste pagine, nonostante l'entusiasmo della città, per gli ultras è una stagione malinconica e di transizione. Speriamo passi in fretta e non sia viatico della nostra scomparsa. No alla resa, saluti.

Francesco

Il Libro