di Lobanowski 2
Brucia e non passa. Una vampa statica, che non consuma corde, filari d’alberi o di pneumatici, che rimane tra i piedi. Che ingombra. Che non sai che farne.
Così fa il tempo, da sempre ingannatore delle genti.
Brucia e non passa. Brucia senza passare.
Settimana di passione. E c’eravamo preparati con la sintassi, fatti largo a suon di definizioni scudisciate tra i rami della foresta incognita. Ma un conto è dire – dirlo – un conto è vivere – viverlo. Quando parte la prevendita? Dove si fanno i biglietti? Ma è vero che si gioca di martedì perché ci sono le elezioni? Tanto a Benevento non ci fanno andare.
Domande, quesiti, affermazioni tolemaiche entusiasmanti. Buone per un’altra volta. Per sguazzare, compunti e compiaciuti, nel pantano autoprodotto dell’eterna vigilia.
Lunedì sera le mani fremono. Allora tiriamo fuori l’armamentario per intero: le due oblique, la bianca-rossonera-bianca a bande verticali, la Jolly. E tutta la batteria di bandiere detenute. E lo scotch, il nastro isolante, quanto basta ad avvolgere stoffa ed aste, a fissare colori su sempre nuovi ed intercambiabili supporti. Cernita di quel che manca, di quel che servirebbe. Si vagliano i potremmo fare.
Abbiamo saputo della coreografia. Dovremo apparire alle porte della Sud alle 12:30.
Nel frattempo, non resta di meglio da fare che una sbandierata lungo via Mario Pagano, che rimane pur sempre una traversa di corso Roma. Le luci del quartiere sono smorzate. Un signore al balcone.
“Non stiamo più nei panni”, dico. “Eh, vedo”, risponde.
Senza contare che siamo al primo anniversario di Cremona. L’abbiamo commemorato come si deve, col minutaggio dei caselli nel quadrante dei ricordi.
La prelazione per gli abbonati dovrebbe garantirmi tranquillità. Guido è stato ai botteghini martedì mattina e c’erano dieci persone. Lello passa da casa che sono le quattro e fa un caldo geometrico. Come per rievocare. Due piccoli agglomerati in fila. Rispettivamente Curve e Tribuna Est. Voci sommesse e paragoni: l’anno scorso, per l’andata con la Cremonese, la fila arrivava lì. Un dito indica. Alcune teste si girano. Caspita, lunga. Vado avanti, provo a seguire le operazioni dell’impiegato nel suo gabbiotto di cemento. Origlio, ma senza volontà, il discorso di due giovani in prima linea. “Ti ricordi con la Cavese? La fila arrivava al marciapiede di fronte”. La testa va all’indietro, come la Carrà. Torno al mio posto. Alle spalle di Lello c’è un signore solitario, che ha parcheggiato la macchina a meno di un metro. Che, a ben pensarci, avrebbe potuto fare la fila direttamente dall’abitacolo. Dietro di lui, tre ragazzi nuovi, appena arrivati. E, come per un rito benaugurale, appena si posizionano, si lanciano nell’amarcord come fiori nello stagno. “Ti ricordi Foggia-Avellino? La fila arrivava al bar”. L’Età dell’Oro delle file allo “Zaccheria” tende a riavvolgersi su sé stessa come un nastro trasportatore. Decido di imbastire un ragionamento, di far partire una chiacchiera a caso, pur di evitare di ascoltare della fila di quel Foggia-Juventus che si trasformò nella più gigantesca rissa amichevole della storia. Di ascoltare ancora quella storia. O di essere costretto a raccontarla. Così viro sui limiti del calcio moderno: Nome, cognome, lettore ottico per i dati supplementari, e tutto questo tempo perso per sole venti persone da sbrigare. Assurdo. Un tempo non era così. Ma non sembrano interessati. Tutti puntano l’obiettivo, nessuno annuisce neppure. La fila per la Tribuna Est, in ossequio al trasformismo di questi giorni di campagna elettorale, diventa improvvisamente valida anche per le Curve. E la nostra si spezza in due. A ridosso del giovanotto al lavoro, scopriamo che le casse sono a corto di spiccioli per il resto. Che il biglietto – che costa 10,00 – con la prevendita del 10% viene 11,50.
Ma che razza di prevendita se siamo al botteghino? Non esiste, come concetto morale, che il botteghino dello stadio si avvalga della prevendita. È ovvio che quel pre non vuol dire letteralmente prima (altrimenti ogni biglietteria farebbe prevendita). Ma segnala il servizio improprio: il bar, la ricevitoria, l’erboristeria fanno prevendita. Non lo stadio. E poi: che razza di 10% su 10 euri fa 1 euro e 50 centesimi?
Rumoreggia, la plebe. Nome, cognome e data di nascita. Sono ad un passo dal traguardo. Sento la richiesta ripetuta ossessivamente, compulsivamente, meccanicamente, dall’interno del gabbiotto. Come ad un posto di blocco della polizia, ad una dogana. È incredibile pensare a come cambiano certe cose. E a quanto in fretta ci si abitui. A come certe domande riconducano a certi ambiti. Ed a come gli ambiti, senza averne la precisa percezione del mutamento, mutino. E ce li ritroviamo qui, mutati, tra i piedi. Ormai ci siamo.
Un vecchietto arriva sferragliando in bici. Si incuriosisce. Rallenta. Poi si ferma. Approfitta del primo sguardo benevolo che gli giunge dalla fila, in costante ricomposizione. E affonda la domanda: “Che c’è una partita?”.
Beata incoscienza, o rabbia! Ma è mai possibile che esista ancora gente così? Noi siamo qui a consumarci le nocche in assenza di unghie fertili, e questo gironzola per la città ignorando che, dopo una rincorsa che te la raccomando, domenica andiamo ad assaltare la cadetteria… Mi rifiuto di crederci: ma di cosa vive sta gente? Boh, magari di ciclismo… Anche se, a ben pensarci, ha scoccato la domanda mentre su Rai Tre Auro Bulbarelli sta commentando Il Giro all’arrivo. Recito il nome e cognome di mio zio, che ha pensato bene di prenotare quattro abbonamenti a nome suo, invento una data di nascita (che si rivela sbagliata, ovviamente, il calcolo combinatorio non è mica una scemenza), ed ottengo il biglietto. Un piccolo passo per l’umanità.
L’elenco consta di diciassette persone, se non vado errato. La bandiera catalana ondeggia al vento assente. “A che ora inizia la partita?”, “Alle quattro”, “Alle quattro? Ma che cazzo dici?”, “Oh, i playoff cominciano tutti alle quattro”. Qualche secondo per realizzare che non di Foggia-Benevento mi si chiedeva. Ma di un Barcelona-Manchester United che, secondo gli esperti, dovrebbe assegnare la Champion’s. Pensare che l’ho visto nascere, questo Barca. Al Nou Camp, all’epoca del Wisla e dei preliminari. Ne è passato di tempo da Foggia-Barletta di Coppa Italia. Un vodka-lemon e passa la paura.
750 biglietti venduti in tre ore, in quel di Benevento.
Diverse scazzottate nei bar, in quel di Foggia.
Brucia e non passa. Una vampa statica, che non consuma corde, filari d’alberi o di pneumatici, che rimane tra i piedi. Che ingombra. Che non sai che farne.
Così fa il tempo, da sempre ingannatore delle genti.
Brucia e non passa. Brucia senza passare.
Settimana di passione. E c’eravamo preparati con la sintassi, fatti largo a suon di definizioni scudisciate tra i rami della foresta incognita. Ma un conto è dire – dirlo – un conto è vivere – viverlo. Quando parte la prevendita? Dove si fanno i biglietti? Ma è vero che si gioca di martedì perché ci sono le elezioni? Tanto a Benevento non ci fanno andare.
Domande, quesiti, affermazioni tolemaiche entusiasmanti. Buone per un’altra volta. Per sguazzare, compunti e compiaciuti, nel pantano autoprodotto dell’eterna vigilia.
Lunedì sera le mani fremono. Allora tiriamo fuori l’armamentario per intero: le due oblique, la bianca-rossonera-bianca a bande verticali, la Jolly. E tutta la batteria di bandiere detenute. E lo scotch, il nastro isolante, quanto basta ad avvolgere stoffa ed aste, a fissare colori su sempre nuovi ed intercambiabili supporti. Cernita di quel che manca, di quel che servirebbe. Si vagliano i potremmo fare.
Abbiamo saputo della coreografia. Dovremo apparire alle porte della Sud alle 12:30.
Nel frattempo, non resta di meglio da fare che una sbandierata lungo via Mario Pagano, che rimane pur sempre una traversa di corso Roma. Le luci del quartiere sono smorzate. Un signore al balcone.
“Non stiamo più nei panni”, dico. “Eh, vedo”, risponde.
Senza contare che siamo al primo anniversario di Cremona. L’abbiamo commemorato come si deve, col minutaggio dei caselli nel quadrante dei ricordi.
La prelazione per gli abbonati dovrebbe garantirmi tranquillità. Guido è stato ai botteghini martedì mattina e c’erano dieci persone. Lello passa da casa che sono le quattro e fa un caldo geometrico. Come per rievocare. Due piccoli agglomerati in fila. Rispettivamente Curve e Tribuna Est. Voci sommesse e paragoni: l’anno scorso, per l’andata con la Cremonese, la fila arrivava lì. Un dito indica. Alcune teste si girano. Caspita, lunga. Vado avanti, provo a seguire le operazioni dell’impiegato nel suo gabbiotto di cemento. Origlio, ma senza volontà, il discorso di due giovani in prima linea. “Ti ricordi con la Cavese? La fila arrivava al marciapiede di fronte”. La testa va all’indietro, come la Carrà. Torno al mio posto. Alle spalle di Lello c’è un signore solitario, che ha parcheggiato la macchina a meno di un metro. Che, a ben pensarci, avrebbe potuto fare la fila direttamente dall’abitacolo. Dietro di lui, tre ragazzi nuovi, appena arrivati. E, come per un rito benaugurale, appena si posizionano, si lanciano nell’amarcord come fiori nello stagno. “Ti ricordi Foggia-Avellino? La fila arrivava al bar”. L’Età dell’Oro delle file allo “Zaccheria” tende a riavvolgersi su sé stessa come un nastro trasportatore. Decido di imbastire un ragionamento, di far partire una chiacchiera a caso, pur di evitare di ascoltare della fila di quel Foggia-Juventus che si trasformò nella più gigantesca rissa amichevole della storia. Di ascoltare ancora quella storia. O di essere costretto a raccontarla. Così viro sui limiti del calcio moderno: Nome, cognome, lettore ottico per i dati supplementari, e tutto questo tempo perso per sole venti persone da sbrigare. Assurdo. Un tempo non era così. Ma non sembrano interessati. Tutti puntano l’obiettivo, nessuno annuisce neppure. La fila per la Tribuna Est, in ossequio al trasformismo di questi giorni di campagna elettorale, diventa improvvisamente valida anche per le Curve. E la nostra si spezza in due. A ridosso del giovanotto al lavoro, scopriamo che le casse sono a corto di spiccioli per il resto. Che il biglietto – che costa 10,00 – con la prevendita del 10% viene 11,50.
Ma che razza di prevendita se siamo al botteghino? Non esiste, come concetto morale, che il botteghino dello stadio si avvalga della prevendita. È ovvio che quel pre non vuol dire letteralmente prima (altrimenti ogni biglietteria farebbe prevendita). Ma segnala il servizio improprio: il bar, la ricevitoria, l’erboristeria fanno prevendita. Non lo stadio. E poi: che razza di 10% su 10 euri fa 1 euro e 50 centesimi?
Rumoreggia, la plebe. Nome, cognome e data di nascita. Sono ad un passo dal traguardo. Sento la richiesta ripetuta ossessivamente, compulsivamente, meccanicamente, dall’interno del gabbiotto. Come ad un posto di blocco della polizia, ad una dogana. È incredibile pensare a come cambiano certe cose. E a quanto in fretta ci si abitui. A come certe domande riconducano a certi ambiti. Ed a come gli ambiti, senza averne la precisa percezione del mutamento, mutino. E ce li ritroviamo qui, mutati, tra i piedi. Ormai ci siamo.
Un vecchietto arriva sferragliando in bici. Si incuriosisce. Rallenta. Poi si ferma. Approfitta del primo sguardo benevolo che gli giunge dalla fila, in costante ricomposizione. E affonda la domanda: “Che c’è una partita?”.
Beata incoscienza, o rabbia! Ma è mai possibile che esista ancora gente così? Noi siamo qui a consumarci le nocche in assenza di unghie fertili, e questo gironzola per la città ignorando che, dopo una rincorsa che te la raccomando, domenica andiamo ad assaltare la cadetteria… Mi rifiuto di crederci: ma di cosa vive sta gente? Boh, magari di ciclismo… Anche se, a ben pensarci, ha scoccato la domanda mentre su Rai Tre Auro Bulbarelli sta commentando Il Giro all’arrivo. Recito il nome e cognome di mio zio, che ha pensato bene di prenotare quattro abbonamenti a nome suo, invento una data di nascita (che si rivela sbagliata, ovviamente, il calcolo combinatorio non è mica una scemenza), ed ottengo il biglietto. Un piccolo passo per l’umanità.
L’elenco consta di diciassette persone, se non vado errato. La bandiera catalana ondeggia al vento assente. “A che ora inizia la partita?”, “Alle quattro”, “Alle quattro? Ma che cazzo dici?”, “Oh, i playoff cominciano tutti alle quattro”. Qualche secondo per realizzare che non di Foggia-Benevento mi si chiedeva. Ma di un Barcelona-Manchester United che, secondo gli esperti, dovrebbe assegnare la Champion’s. Pensare che l’ho visto nascere, questo Barca. Al Nou Camp, all’epoca del Wisla e dei preliminari. Ne è passato di tempo da Foggia-Barletta di Coppa Italia. Un vodka-lemon e passa la paura.
750 biglietti venduti in tre ore, in quel di Benevento.
Diverse scazzottate nei bar, in quel di Foggia.