06/05/09

Zaccheria Acquafan

di Lobanowski 2

Domenica 3 maggio, Foggia-Lanciano 4-1

...Mentre tutto resta uguale tutti insieme a riordinare giornalisti e cameriere radio ed intellettuali che la normalità torni e regni sovrana che a’ serata è juta bona, che macello...

Un boato dall’interno. Il Foggia ha segnato il terzo gol, ma noi stiamo ancora consumando le nostre energie tra il bar improvvisato e la scalinata d’accesso alla Sud. Abbiamo storie da vivisezionare, alla ricerca di posizioni concrete. Qualcosa di utile ad abbozzare un supplemento d’analisi, un brogliaccio per l’agire dei giorni futuri. Un canovaccio per dare un seguito alla rappresentazione della nostra identità di minoranza. Ci passa accanto la gente che scende i gradoni per procacciarsi una birra in bicchiere di plastica o una bottiglietta di minerale. Altra sale, chiacchierando amabilmente col vicino, a maniche corte e senza fretta. È una domenica di puro relax, e allo stadio si sta come all’Acquafan. O sul Lago di Garda, a rimirare le cime dei monti innevati dai natanti.

Col Lanciano non c’è partita. Lo sappiamo, non può essere diversamente. È questione di fame. La squadra inchiodata alla croce al ritorno da Pagani è ancora ad un soffio dalla zona che conta. Un soffio vitale, che sarebbe criminale lasciar deperire. Gli abruzzesi ci hanno rifilato cinque manrovesci all’andata, ma non ci fanno alcuna paura, oggi. Quello è un episodio del passato, del Foggia formato trasferta. Qui, tra le mura amiche, si fissa il rettangolo verde e si origlia la sorte degli altri, come in un format della Endemol. Ad Arezzo sale un Crotone in caduta libera, ma ancora abbastanza vicino al primo posto da farci sperare nel colpaccio. Da farmi chiedere personalmente a Renato di portare le cuffie e di mettersi al nostro fianco, a portata di mano, per aggiornarci su quel pari che tutti auspichiamo. La Cavese gioca con la Ternana. Vincerà, ne siamo certi, inutile fantasticare di mondi paralleli, di strane creature alla Giacobbo. Le bandiere sono tante, oggi, specie nella fascia bassa della Sud. Solo noi ne abbiamo cinque. Siamo giunti allo stadio in corteo, sventolando lungo via Zuppetta, e poi Piazza Libanese. Gli amici hanno cambiato bar. Il ragazzo polacco – Polacco per il semplice fatto che lì, a quell’incrocio, con le bancarelle, si mettono i Polacchi – ci riconosce. Gli indichiamo una canna da pesca da sette metri. Ci chiede quindici euro, a bruciapelo. L’intero fondo cassa, in pratica. No, no, no, fino a dieci ci stiamo, ma quindici è un furto. Scende a 12. Poi cede.

Si lavora di scotch, a rendere solido e stabile il supporto del bandierone di Nicola, quello bianco-rosso-nero-bianco a bande verticali. Ci sono i biglietti a 1 euro per donne e minorenni. Sabrina non accetta il pietismo filo-femminile e paga i suoi 10 bigliettoni, mentre si moltiplicano i sedicenni. La coerenza costa, ma la crisi è crisi. Contraddizioni in seno al popolo, direbbe qualcuno. In vena di amarcord. La fanzine si sofferma sulle ultime tre giornate di campionato, invita a non mollare. E torna il concetto che ogni partita va vissuta come una finale. Ma appena prendiamo posto, il lanciatore di cori urla che si, il dovere è dovere, ma non prendiamola come una finale. In fin dei conti, verrebbe da dire, è il Lanciano. Fatto sta che su questa faccenda delle finali non è stata ancora detta una parola di chiarezza. Di fronte abbiamo una trentina di tifosi ospiti, circondati da striscioni come il volto di una madonna dall’aureola. Fanno gestacci, indicano la Nord, che sembra rispondere. Un saluto a Gerardo, un vecchio cuore rossonero – come dice lo striscione – che è andato ad infoltire la schiera dei tifosi assenti. Poi, tempo quattro cori, il Foggia passa. Riesco ad intravedere l’elevazione e lo stacco. Intuisco quel che è successo poi, sotto di me, irrimediabilmente fuori dalla visuale. Il 2-0 arriva cinque minuti dopo. Risultato in ghiaccio al 25’. Non si regge. Sapevamo e siamo venuti preparati alla sfida interlocutoria, buona per allestire furgoni alla volta di Terni. Ma così è troppo. Non c’è gusto, così. Un signore scende con le buone: “Uagliù – esordisce – io capisco che la bandiera debba stare così, ma almeno cinque minuti di partita me li fate vedere?”. Consultazione. Cinque contati. Come quando, da ragazzini, chiedevi “due patatine” e te ne davano due. Di numero. L’unica è fissare Renato, che di suo ha problemi di connessione radiofonica e quando lo guardiamo risponde a smorfie. Alla fine del tempo, salutato da un applauso liberatorio, pare che l’Arezzo vinca 2-0. O 2-1. Il dibattito è serrato, con voci che rincorrono voci. E, in mezzo, uno che – penitente, con tanto di foglio in vista – chiede di sapere la verità, che sulla bolletta c’ha Gol e Gol.

Quando risaliamo i gradoni e torniamo a vedere il manto erboso, mancano più o meno quindici minuti. Salgado umilia Oshadogan, che ignoravo giocasse ancora. E provo una piccola bolla di solidarietà. Per quel giocatore mai realmente affermatosi, eppure aspro ed intelligente, che con la maglia rossonera non mi dispiaceva affatto. All’epoca in cui ancora riconoscevo i giocatori. Tagliamo la curva da destra. Convergiamo. Sugli spalti c’è tanto colore. Arrivo e m’informo, guardando a terra: “Quali sono le nostre bandiere?”. Una voce ad altezza orecchio risponde: “No, qua sono tutte le nostre”. Lo fisso. Avrà dodici anni. Mi torna in mente Romeo, che alle maestre in seconda media diceva: “Io sto nel Regime Rossonero”. Mi viene da sorridere, penso che Romeo non avrà mai detto a nessun trentenne: “Qua sono tutte le nostre”. O forse si. Annuisco al piccolo sbandieratore. E cerco qualcosa da muovere al vento. Scopro che quello dei cinque minuti è tornato ancora, con fare minaccioso. Aveva le sue ragioni, stavolta. La blanda battaglia simulata del campo, allietata dalla litania della Sud, per poco non ha addormentato sul posto Peppone – in piedi come i cavalli – con l’asta immobile. Una bandiera che non sventola, ma resta fissa al vento come alle cerimonie ufficiali dei capi di Stato, è un ostacolo insormontabile, per la vista. Uno in maglia bianca insacca. Non lo vede nessuno, tanto che dal centro parte un: Tre a zero e tutti a casa che pochi coraggiosi correggono. Il 4-1 è una botta da fuori di Germinale. Mi pare. Stop, triplice fischio. Effettivamente poteva trasformarsi in un odioso/tediosissimo 1-0. Invece, quanto meno, abbiamo intravisto dei gol. Anche se non abbiamo donato un pezzo di cuore alla sofferenza purificatrice, va bene così. L’Arezzo ha vinto, ci dice Renato. Quattro a zero, puttana la miseria. Ma Lello fa capolino. Ha appena telefonato a casa, per sapere della Cavese. E il risultato del Lamberti s’è fatto bianco live sotto gli occhi di Tiziana, che all’apparecchio ha comunicato: “Zero a zero”. La Cavese ha fatto zero a zero in casa. Con la Ternana. Assurdo, splendido. Roba da Voyager. La squadra, la nostra, sotto la curva. Siamo a un punto dai playoff. E domenica i cavesi vanno a Benevento. I vessilli s’agitano all’impazzata. E, senza preavviso alcuno, un rumore, come di pagina che si strappa, di lamina che fa attrito. Una bandiera che crolla dalle altezze. È la nostra, non ho dubbi. E difatti. La canna da pesca ha ceduto, al fischio finale. Si è lacerata, e si sente puzza di bruciato. Autocombustione, implosione. Voleva quindici euro, il polacco…

2 commenti:

oldwarrior ha detto...

grazie anche alla vostra vittoria sul Taranto e malgrado la bastonata che ci avete rifilato, oggi la Virtus si è praticamente salvata battendo la capolista con una partita di altri tempi in un campo d'altri tempi grazie alle leggi di oggi.
Ci tenevo a dirvi che solo per un improrogabile impegno familiara non sono potuto venire a Foggia. A questo punto del campionato, non rivederci l'anno prossimo, dipende solo da voi. In fin dei conti, vi auguro di farcela e quindi di non rivedervi anche se domenica dovrò tifare Cavese per ragioni di sopravvivenza.
Ciao a tutti
Odwarrior

Anonimo ha detto...

Ciao Oldwarrior,
ci servono 3 punti e potremo tornare ad invadere Benevento.
Sarebbe bellissimo, più per la gioia e l'adrenalina che danno certi appuntamenti, che per una reale voglia di salire in B.
Sono terrorizzato dall'idea di andare in ferie a metà maggio.
Dall'idea di non organizzare furgoni, macchine, bandiere, aste, torce, fino ad agosto.
No, no, no, per carità.
Magari perdiamo la finale, come è capitato già svariate volte, ma - e so di parlare a titolo personale - non mi interessa.
Certo, starei malissimo. Ma, al momento, penso solo che voglio arrivare al 21 giugno. Voglio tornare ad Arezzo.
Ma non perché ci tenga a salire, a giocare di sabato, a vedere Vicenza. Insomma, ci siamo capiti...

Voi come state messi? Che scendano Pescara e Taranto...

A presto,
Francesco

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