07/09/09

Come saremo (Note sulla Tessera del Tifoso)

di Lobanowski 2

Note sulla Tessera del Tifoso a margine della manifestazione di Roma (5/09/09)

L’uscita è Tor di Quinto-Labaro. Bisogna seguire le indicazioni per lo “Spazio Roma”, una struttura polivalente a metà tra la disco, la galleria d’arte metropolitana e un capannone industriale. Prima sorpresa. Immaginavamo un raduno all’aperto, col Coni come sfondo. Invece qui c’è il cancello e si entra facendosi riconoscere. Appartenenti a una delegazione. Ci sono ragazzi in maglia bianca che sorvegliano le porte. I giornalisti e i curiosi restano fuori, in attesa di comunicazioni ufficiali. Tre i gruppi da Foggia. E poi noi. È la prima volta che ci capita di usare il nome collettivo in un’occasione ufficiale. Fa un certo effetto. Parcheggiamo. Un breve corridoio coperto. Dentro. Pareti plastiche e nere, spazi delimitati da pannelli di legno compensato. L’organizzazione sembra impeccabile. In grande stile. C’è tanta gente. Tanti ragazzi, da tutta Italia. E non è un modo di dire. Gli occhi saltellano da una t-shirt all’altra, per scorgere indicazioni sui luoghi di provenienza, sulle curve d’appartenenza. Le t-shirt subiscono gli sguardi indagatori degli altri. Io ho la maglietta in lavatrice, me ne sono accorto alle 5 di stamattina. Ho su quella comprata a Gracia, che dice che il Barca è l’orgoglio di Catalogna. Gli altri mi guardano strano. I miei sono rigorosamente in divisa ufficiale. Anche i primi amici che vivono a Roma e ci raggiungono sono inappuntabili. L’ho steccata proprio. Ma non si torna indietro. Il salone è pieno, trabocca. C’è gente in piedi sui tre lati della platea. Cerchiamo una collocazione, andiamo verso destra dove c’è il cortile. E un sole a trequarti con punte di umidità furenti. Fissiamo la tavolata degli organizzatori e degli avvocati e ci abbronziamo il capocollo. È quasi mezzogiorno.

Ora, gli aspetti da isolare sono un paio.
Uno riguarda l’essenza della protesta, di questo tam-tam che risale la risacca con forza crescente, fino a farsi notare dal mondo che sosta a riva, sul bagnasciuga delle certezze televisive. L’altro il metodo. Interventi brevi, cadenzati, solitamente aperti. È uno stile, e chi non ci è abituato lo nota. C’è una grande voglia di decidere, di trasformare il raduno in azione. E questo asciuga i pensieri, li rende poco pomposi, per nulla politicanti. C’è fretta, e si avverte. Volontà, più ancora che necessità, di combattere questa battaglia – fosse anche l’ultima della specie – senza cadere nella trappola dell’attendismo, del “poi vediamo che succede…” che già è stato fatale per le trasferte proibite e l’inasprimento dei Daspo. Parlano gli avvocati, i rappresentanti dell’organizzazione. Poi il microfono è aperto, e gli esponenti dei centoquaranta gruppi presenti s’avvicendano. Molti applausi accompagnano le parole della lotta. E qui apriamo parentesi. Una parentesi che forse è tutto.

Cosa sia la Tessera del Tifoso è presto detto: un’idea geniale per raggiungere, in un sol colpo, almeno tre buoni obiettivi. Fidelizzare il tifoso alla società, aprendogli un bel credito e facendo la gioia degli istituti bancari; plasmare il tifoso di nuovo tipo, asportandogli la passione come una trasfusione di plasma, renderlo spettatore passivo di uno spettacolo di cui è ufficialmente estraneo, burocratizzarlo e rincoglionirlo tra uno sportello e un Punto Assistenza Sky; consegnare alla società un residuo di cittadino snaturato, controllato, schedato, ammansito, buono per altri controlli, altre schedature, altri snaturamenti. In altri ambiti. Dal primo gennaio del prossimo anno tutte le società calcistiche dovranno mettersi in regola, e dopo aver approntato gli stadi, prepararsi ad accogliere le copiose schiere di appassionati e tifosi in fila per vedersi riconosciuto il proprio status di Tesserato. La Tessera, dai vivaci colori personalizzati, una volta ottenuta e stampata servirà come documento di riconoscimento e di credito, dai botteghini agli official store, dagli autogrill al casello autostradale. I biglietti saranno acquistati solo mediante l’ostensione di questa reliquia. E sarà possibile, per i possessori della card, anche seguire la squadra in trasferta. Cosa preclusa agli altri. Il buon padre di famiglia – quello che ama ripetere che se hai la coscienza pulita non hai niente da nascondere – incalza la sua incredula curiosità: “E allora? Che problema avete con la tessera?”.

C’è una difficoltà, che è all’ordine del giorno da un po’. Latente, e sintetizzabile nella locuzione da discorso diretto: se fino a questo momento non l’hai capito, non so come spiegartelo. È un po’ quello che accade coi versi di certe poesie ermetiche. Perché giunti a questo punto del discorso il cittadino comune avrebbe dovuto già arguire lo schema e provare indignazione. Dinanzi a chi non riesce ad indignarsi, la battaglia annaspa. Benjamin Franklin, in una pluri-citata esternazione, diceva “Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”. Ed è più o meno questo, il fulcro della storia, la morale della favola. Lo stadio è un laboratorio. Non è un mistero per nessuno che i reparti della celere abbiano in passato testato le tattiche da scontro aperto più efficaci contro le tifoserie riottose all’esterno degli impianti; così come non è un mistero che quelle tattiche abbiano trovato applicazione ben oltre gli angusti dintorni delle curve, e siano sbarcati nelle nostre città; Il G8 di Genova, poi, addirittura fatto studiare alla polizia irachena in formazione. Senza andare troppo in là: lo stadio è per molti, troppi, il luogo dell’eccezione. In tanti, troppi, sono convinti che il frequentatore di una curva goda di un surplus di diritti che il cittadino che si limita all’esterno non possiede. In realtà è vero il contrario. Come luogo del controllo sociale, del rapporto tra potere e masse, lo stadio – e in particolare le curve degli stadi – sono il principale punto d’osservazione della “sicurezza” che sarà. Una specie di popolazione cresciuta in vitro da schedare, controllare, reprimere. Un soggetto multiforme da sollecitare con impulsi sempre più assurdi: biglietti nominali, divieto di vendita dei tagliandi la domenica, prefiltraggi multipli, tornelli, steward, forze dell’ordine schierate, norme rigide ed ottuse su striscioni e bandiere, estromissione di fumogeni e torce, tamburi e bottiglie di vetro, lattine e aste flessibili, telecamere, trasferte concesse e poi proibite, prezzi altissimi anche nelle serie minori. E diffide, diffide per qualunque scelta difforme, innocua o aberrante che sia. Un fumogeno acceso e lasciato morire su un seggiolino, a distanza di sicurezza da ogni altro cittadino occasionalmente presente nello stadio; il rifiuto di aderire a determinate commemorazioni o, al contrario, l’ansia di partecipare all’esecuzione di un coro specifico. Ce n’è a sufficienza per confermare l’impressione: il cittadino che s’approssima all’arena, perde molti più diritti di quanti – secondo la vulgata – ne guadagni.

E con la repressione in stato di grazia, e gli anni di Daspo – sanzione amministrativa – comminati senza dover dare spiegazioni a nessuno, con la propaganda mediatica che parla di ultras e mostra le streghe, è facile prevedere che la Tessera, come tassello finale del percorso ad ostacoli, assassinerà i gruppi. O ferirà mortalmente loro e un bel pezzo di libertà. Inutile dirlo alle sinistre, troppo impegnate a confondere le bassezze di Repubblica con la libertà di stampa. Eppure a Roma c’era Cento, onorevole dei Verdi, che non ha parlato poi così male: battaglia da cittadini e non da tifosi, ha detto. Nel mirino gli ultras, certo, e il loro modo “sconsiderato”, “folle” e “incomprensibile” di vivere la domenica, la settimana. Ma portare la lotta nelle strade, guadagnare consensi, alimentare la fiumana, prima che sia troppo tardi, è un dovere che non richiede neppure la condivisione della “mentalità”. Basta osservare alcune sintomatiche innovazioni giurisprudenziali per comprendere la massiccia portata dell’attacco che stiamo subendo: l’introduzione di una specie di diffida preventiva, atta a negare l’ottenimento della card a tutti coloro che frequentano zone calde dello stadio, che si va ad aggiungere al divieto per tutti coloro che hanno subito una condanna “da stadio” qualsiasi dal 1989 in poi. L’ergastolo, l’esilio a vita. Un provvedimento emergenziale senza pari nel nostro ordinamento giudiziario, altrimenti rivolto al recupero e al reinserimento di qualsiasi reo. Di qualsiasi pedofilo, stupratore, funzionario corrotto o corruttore, assassino. Per intenderci. Qui, invece, vittimismi a parte, sembra che la tolleranza debba rasentare la lettera scarlatta.

Ma l’argomento si complica, s’ingarbuglia. Meglio chiuderla qui. Roma è stato un appuntamento importante. Perché guardarci in faccia è sempre importante. Le decisioni, il calendario degli appuntamenti, hanno una rilevanza relativa, rispetto all’acquisita consapevolezza che la casa brucia, e la fretta non sempre è cattiva consigliera. Adesso scopriamo le carte. Il buon senso comune dovrà misurare la follia e smascherarsi: volete vivere in un mondo asettico, regolamentato, sicuro e controllato, dove è impossibile sgarrare, o continuare a sgarrare in un mondo passionale dove ancora – nonostante tutto – prevale la libertà? Scegliete. Scegliete chi vorrete essere nel futuro prossimo venturo. E fatecelo sapere.

1 commento:

NicKappa25 ha detto...

«Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza.»(Benjamin Franklin)

Niente di più giusto.
Non mi ritengo un ultras, nonostante partecipi al mondo di curva. Mi piace considerarmi semplicemente un tifoso, che urla e soffre per la propria squadra.
Ma aldilà di tutto, non posso non condividere questa lotta contro la burocratizzazione delle passioni di gruppo. E' un vero affronto alla libertà, una gabbia di comportamenti per gente considerata reietta, quando invece non ci si accorge che il marcio del calcio nasce soprattutto dai chi lo gestisce!
La violenza e chi la porta avanti dev'essere sempre combattuta, ma non deve diventare (come già è) lo spettro per giustificare delle collusioni indecenti fra politica e imprenditoria al solo scopo di produrre una clientela pronta a "consumare" calcio quasi come fosse un panino del McDonald.(Scusate il paragone banale, ma non mi veniva null'altro!...)

Saluti, Nick.

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