28/09/09

“Insò, come l’hai visto sto Foggia?”

di Lobanowski 2

Prologo sentimentale

È sempre la stessa storia. Quando li rivedi – pieni di difetti, brutti e malandati – e percepisci il ronzio del ronzino a nove posti che ti spiana la strada verso una nuova inspiegabile meta, ti chiedi – e non puoi farne a meno – cosa diavolo ti ostini a frequentare certa gente. Cosa ci trovi di affascinante, stimolante, finanche di spassoso, in questi derelitti figuri. Poi passano ore. E, dopo una parentesi passata a sgolarsi contro un campo verde, arriva sempre – sistematicamente – il momento in cui sembra che la fata abbia toccato il touch screen della realtà e immortalato una qualche forma di serenità, se non proprio di perfezione, che ti fa dire a te stesso che si, non vorresti essere con altri che con loro. È una specie di oblio, o di febbre della corteccia cerebrale. Lo ammetto, per quanto paradossale possa sembrare – e basta vederli per comprendere il paradosso! – ma è così. Dannatamente così.

Cronache

Prendi il Transit che non arriva. E quello che non s’è capito se ha fatto nottata e si sta guardando i piedi sull’uscio, dopo aver steso un bandierone sul marciapiede; quello che, piegato al sonno, sta guardando i cartoni su Rai tre e farfuglia di un pony da inseguire. Quello che fa ritardo, che poi sono due o tre, e quelli fraccomodi che li dobbiamo passare a prendere quasi sotto casa. Uno adduce la scusa della recentissima paternità, ma sta cosa non ha senso. Nervosismo geografico. La posizione di Terni, lì in mezzo, non favorisce plebisciti. Noi, fino a venerdì sera, eravamo fermi sostenitori dell’Adriatica fino a Civitanova e della superstrada per Foligno; poi, dopo diverse consultazioni, abbiamo virato per la classicissima Campobasso-Venafro-Roma, e il pezzetto di autostrada fino a Orte. Tanto più che ci aspettano anche i cinque che salgono dall’Urbe. Ci siamo svegliati con questa convinzione. Anche Google Maps era d’accordo con noi. Risparmio chilometrico ed economico. Poi una telefonata, che come il sorriso all’improvviso nella canzone degli Equipe 84, stravolge i piani. Casello e nervosismo. Ritardo e nervosismo. Autogrill e nervosismo. Inseguimento e nervosismo. Alla fine ce la facciamo. Ci ricongiungiamo al gruppo e sostiamo lietamente nell’area di servizio. Di brutto c’è che abbiamo imboccato la Pescara-Roma. Autostrada fino a destinazione, un salasso imprevisto. Nell’abitacolo, Giuseppe guida masticando foglie d’odio, ingoiando bile nera. Angioletto tiene sveglio il pilota narrando fluviale una quantità di storie sugli ultras della Lodigiani, del Mosciano e del Ponticelli che, per poco, non producono l’effetto catastrofe che vorrebbero scongiurare. C’è sempre una “catastrofe iniziale”… La seconda fila sembra dormire, la terza è irraggiungibile, una specie di settore ospiti furgonato. Lo stereo spara Spirito dei Litfiba, poi Pseudofonia fino alla certezza che abbiamo perso gli altri. I cellulari non servono a granché nella Valle del Salto. Troviamo i romani all’uscita di Orte, dopo esserci purgati di 30 euri superflui al casello. Non è ancora l’una. Conviene trovare un bar e riordinare le idee per il degno ingresso a Terni.

La zona industriale è un rettilineo, il primo posto di blocco è all’imbocco del Liberati. Biglietto alla mano. Un ricordo svampito: la mia patente sul mobile all’ingresso di casa. Mani nelle tasche: non ho neppure la tessera sanitaria, o quella della videoteca. Un problemone, dice lo steward, che s’appunta i miei dati autocertificati. Sabrina, per un disguido dell’ultimora, si chiama Gianluca. Sarà difficile da spiegare, il cambio di sesso è ipotesi da scartare. Il setaccio all’ingresso lascia intendere che qualcuno, da queste parti, attende una provocazione per scattare. Gli addetti ai controlli e ai metal-detector sono zelanti. La celere osserva. Ogni ingresso apre un nuovo fronte di confronto: la bandiera è troppo grande, è troppo rossa, è troppo nera. Io arrivo al tornello e vengo sputato indietro. Dal funzionario capo c’è anche Sabrina, intenta a spiegare di non essere un trans ed ambire al cambio di nominativo sul tagliando e non al cambio di generalità. Si apre la pezza. La scritta in volgare albionico non è immediatamente “percettibile”, dicono. Quindi resta fuori, a fare compagnia alla Jolly roger, fuori ma senza spiegazioni. Meglio non cadere in tentazione, meglio non accendere focolai di tensione. Abbiamo quindici minuti di sciopero del tifo da mettere in pratica. Ci sono cose più importanti di un pezzo di stoffa, anche se è per quel pezzo che viaggiamo. Anche se quel pezzo siamo noi. Giuseppe garantisce per me e varco il mostro dalle porte girevoli. Posso così assistere allo spettacolo delle perquisizioni dall’altra parte della barriera. Il metal detector emette un suono da orsacchiotto di pezza che suscita ilarità. Facciamo blocco. Assestiamo un paio di inni a Maroni che siamo ancora fuori dal settore. Lo stillicidio dei perquisiti è una saga commovente. Entriamo con le mani in alto ed in bocca una canzone, come cantava Ligabue. Lo stadio ci accoglie con una bordata di fischi. Avevo vaticinato ai miei che, semmai avessimo espugnato Terni, il gol l’avremmo segnato intorno all’ottavo minuto. Giusto per toglierci il gusto d’esultare. Invece siamo sullo zero a zero. I nostri hanno retto il quarto d’ora di sciopero contro la tessera del tifoso. Ci hanno visti entrare e si sono rilassati. La Ternana passa che ci stiamo ancora sistemando. Un gruppetto di ragazzini, dalla gradinata, ci fa gestacci. Fatichiamo a compattarci qualche minuto più del dovuto. Fa caldo e si sente l’umidità. Siamo in alto, quest’anno, inversamente proporzionali alla squadra. I cori partono in sordina, ma il primo tempo vola via senza particolari acuti. Loro, di fronte, sono tornati a fare tifo. Saranno trecento, il che significa più del triplo di quanti ne sono stati in questi anni di buio. Longarini, dicono, è il colpevole della disaffezione. Come Matarrese lo era a Bari. Sono bastate tre vittorie consecutive per tornare a popolare la Est, proprio come a Bari è bastata una promozione in A per riempire il San Nicola. Il tifoso è animale volubile. Hanno cantato e qualche volta si sono anche sentiti. Ma i momenti di silenzio superano di gran lunga i momenti di passione. Mi si potrà dire che anche noi l’anno scorso eravamo più del triplo. E non posso che confermare. E ripetere: il tifoso è animale volubile. La differenza è nello zoccolo.

Nella ripresa partiamo bene, in campo e sugli spalti. Sul rettangolo verde non sembra che i ragazzini si siano arresi. Per un paio di volte sfioriamo il pari, ma la Ternana è sorniona e ci controlla. Sugli spalti, i vecchi freak sono stanchi, o almeno così sembra. Tra di noi si spaccia acqua liscia. La gola è già una piaga. Insistiamo, cresciamo di intensità. Prendiamo il secondo. Ed è una benedizione divina. Senza l’intralcio della partita da seguire a sprazzi, ognuno si concentra sul proprio ruolo. L’orgoglio, in questi casi, diventa puro spasso. Mani in alto! A rondine! A rondine! Noi siamo qua, Sempre con te, Unica fede in tutto il mondo intero, Io canterò, Ti sosterrò, Ovunque adrai Us Foggia. Il Liberati esulta, liberato dallo spauracchio. Forse siamo pure rimasti in dieci, non ho capito. I ragazzini della gradinata tornano all’assalto, si piazzano sulla balaustra di confine per farci le boccacce… e ci trovano canterini. Si guardano perplessi, poi uno tira fuori il cellulare e comincia a riprenderci. I tabellini diranno che si era al minuto 53. Al minuto 58, quando prendiamo il terzo, il coro è ancora lo stesso. E il ragazzino non ha ancora smesso di video riprenderci. Cantiamo, cantiamo, cantiamo perché, è magico il Foggia. Il battimani è un’arte nella quale – qualcuno mi smentisca – siamo cresciuti tantissimo. Da un po’ sono metallici e corali, roba da fare male ai palmi. Antonio, nell’ilare dopopartita al gusto di luppolo, mi dirà che questo – il 3-0 per loro – è stato il momento in cui ci siamo sentiti solo noi. Il Conte, cuffietta da partoriente in testa e adipe in bella vista, passa in rassegna le linee. Lo sprono è sempre lo stesso: “Diamogli una lezione di tifo!”. Canto per te, solo per te. Il gol di Quadrini fa impazzire Enzo, che emula – solitario – la curva del Gremio. Angioletto avrà modo di ripetere all’infinito quanta infinita pena provi per quei poveri baresi che sono andati fino a San Siro e non hanno visto neppure un gol della Bari. Noi uno l’abbiamo visto. Prendiamo il quarto. E alla fine succede un fatto strano, che non so come interpretare, sul momento. La squadra viene sotto il settore. Certo, il ringraziamento a chi ha offerto sostegno incondizionato ci sta, è quasi doveroso, direi. Ma qui si va oltre. Milan, che è un ragazzino ma sembra avere più personalità di tutti i suoi compagni, precede gli altri. Giunge le mani e poi saluta, quasi a chiedere scusa della prestazione, del risultato. Ma giù ci sono una quarantina di persone che saltano e gridano, e allora la squadra per intero si denuda per regalare cadeau. Non so come prenderla. Non vorrei s’abituassero troppo a questo clima da festa continua. Non vorrei credessero che tutto gli è concesso in nome della giovane età. Uno grida, rivolto ai ternani che abbandonano lo stadio: “Infami! Ve la siete presa coi ragazzini!”. Altri in tribuna, ed è ancora Antonio a raccontarmelo, interpellano i giornalisti foggiani per chiedere spiegazioni di quanto sta avvenendo: “Ma li festeggiano?”. Io non mi sono mai accalcato a una balaustra per ottenere una maglietta. E quando Enzo e Giuseppe tornano dalla missione con due cimeli, non posso fare a meno di guardarli sospettoso. All’uscita una macchina di tifosi di mezza età ci affianca: “70 euro per la maglia del numero 2. Se vuole quella dell’8 deve salire a 80. Perché non è neanche sudata…”.

Cronache di Narnia

Un funzionario ci affianca: “Andate a Roma o Rieti?”. “A Roma”. “Ok, allora seguite me. Vi porto sul raccordo”. “Ma noi non dobbiamo andare a Roma, scendiamo a Narni”. “E si, vi porto io. Sul raccordo”. “Ma noi non ci vogliamo andare sul raccordo”. Un dubbio. “Ma che chiamate raccordo la circonvallazione?”. “Si”. Il Grande Raccordo Ternano. Sfiliamo tra macchine ferme al semaforo. Una vigilessa scruta da sotto le falde di un berretto troppo largo. Il funzionario accelera per sfuggire ai nemici invisibili. Noi acceleriamo per non perderlo di vista. Dietro di noi, altre macchine accelerano. Punta la zona industriale. Cartello Orte. Accelera. Noi dietro, dubbiosi. “Ma noi dobbiamo andare a Narni. C’è un bar che ci attende”, protesta l’abitacolo. Quello va, non può ascoltare le nostre lamentele. E quando giunge al bivio, lasciamo che sfrecci verso il Raccordo. Senza di noi. Lui a destra, noi a sinistra. Liberi. Liberi di abbrutirci, come sempre avviene quando usciamo dai Tre Archi. Angioletto, per esempio, oggi ha optato per il maschilismo militante. Puntiamo su Narni, il paese delle Cronache. Strapiombi spettacolari e sentore di prezzi altissimi. La piazza con la fontana, la fiancata della cattedrale e l’imbocco del centro medioevale, è un gioiellino dove convivono macchine in sosta e vigili di guardia. Strappiamo un permesso da dieci minuti per una birra. Tavolini di legno, frescura settembrina, scarica di birre grandi a prezzi tutto sommato accessibili. E i dieci minuti diventano un’ora. Eccolo: il momento perfetto. Come Gualdo Tadino, come San Giorgio del Sannio. Il momento in cui queste brutte facce che mi circondano si trasfigurano e diventano quel che rappresentano. Poche storie. Lasciamo la piazza con una manovra ardita. Il barista si avvicina al finestrino. Chiede, con malizia, se sappiamo qualcosa di quelle tre bottiglie di Heineken scomparse dal cartone. Il vigile e la vigilessa si mettono all’ascolto. Giuseppe, volante alla mano, è sincero: “Guarda, ne ho bevute cinquanta pagandole, perché avrei dovuto rubarmene tre”. Il vigile, di fronte a tanta rinfrancante onestà, non è affatto sfiorato dall’idea di indagare su quell’autista alcolizzato. Ma, convinto, annuisce: “Eh, già”, dice rivolto al barista che scompare nel suo negozio. Narni è storicamente la rivale di Terni, come Jesi lo è naturalmente di Ancona. Quando torniamo al bar della frazione, seconda sosta in meno di dieci chilometri, la signora che ci aveva augurato buona fortuna all’andata è ancora lì e chiede: “Beh? Com’è finita?”. Angioletto, sotto tiro, risponde con enfasi: “Abbiamo fatto un gol bellissimo, signora… roba da non crederci… quanto costa la Tennent’s?”. Sulle sedie di plastica al margine della provinciale, la sosta che doveva essere un celere pit-stop diventa bivacco. È buio. Amici ci chiamano che sono a Cassino. “Voi?”, “Sulla strada”, è la risposta più diplomatica che riusciamo a dare. Cantiamo l’intero repertorio daccapo, che la signora è convinta si tratti di entusiasmo post-vittoria esterna ed immagina una sbronza colossale. Del resto, mai avrebbe immaginato stamattina di finire la scorta di Borghetti. Solo alla fine scoprirà che abbiamo perso 4-1. A Orte imbocchiamo l’autostrada per Napoli. Ci fermiamo a fare benzina. Per fare Daspo, ci vuol Borghetti. Sei Faxe da litro. La festa, tra balli tribali e canti, prosegue. Uno sguardo all’orologio. Sono le 20:25. La partita è finita alle 16:50. Sono passate tre ore e mezza. Terni è 30 chilometri.

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