06/10/10

Quindici euro, famiglie tradizionali e ologrammi

Mercoledì 29 settembre

15 euro, prevendita compresa.

Significa che una famiglia-tipo, di quelle usate dai sondaggisti senza scrupoli per vendere merendine del risveglio – mamma-papà-bimbo-bimba – per varcare le soglie acuminate dello Zaccheria domenica, dovrà sborsare 60 euro. Centoventimilalire, come convertono ancora i più anziani e quelli nati negli anni Settanta. Per godersi Zeman, certo. Ma anche la terza categoria italiana e un Viareggio che, con tutto il rispetto, non è poi tutto sto Milan. 60 euro. Significa saltare il pranzo, accodarsi a una fila scomposta, spingere come forsennati cercando di difendere o mettere in salvo la progenie, sbucare all’interno della curva, farsi perquisire, salire e cercare un posto da cui poter vedere e far vedere ai ragazzini gli altri ragazzini in campo, e dopo un’ora e mezzo + intervallo, avere la certezza d’essersi frusciati l’equivalente di tre mesi di abbonamento a Mediaset Premium. Dove spaparanzato in poltrona ti vedi la Serie A, la Champions e persino l’inutilissima Europa League (magari con in più quell’ulteriore tocco di superfluo che è l’hd).

Riportare le famiglie allo stadio era l’imperativo categorico di Maroni, qualche tempo fa. Uno di quegli slogan insensati che tanta presa fanno sull’immaginario collettivo. L’aratro traccia il solco e la spada lo difende. Si, ma da chi? È un problema di confini agrari? E le famiglie allo stadio sono il rimedio a che? Il toccasana a quale disfunzione? Il termine Hooligans, secondo alcune letture, deriva dai pestiferi figli della signora O’Hool, donna-madre irlandese nella Londra dell’Ottocento. In sostanza veniva costruito come O’Hool’s gang, la banda degli O’Hool, che pare fossero il terrore di un intero quartiere. Violenza gratuita, quindi, o motivata dal contesto. Certo. Ma anche tanto cuore di mamma. Una famiglia, in sostanza, gli hooligans. E le famiglie allargate, atipiche, anomale? Che Maroni pensi ai bei genitori biondi del Mulino Bianco e ai biondissimi, obbedienti, quieti figli delle Brioss quando sfodera idilliaci scenari prossimi venturi? E se poi decidono di “tornare” allo stadio le famiglie quacchere, o quelle fricchettone, o i clan scozzesi? Sarebbe un errore di valutazione terribile, un equivoco penoso sottostimare la percentuale delle famiglie non tradizionali di questo paese. Peccare di anti-modernità per un ministro, vivere nel passato. Un bel guaio. Una bella coppia di gay spagnoli con figli adottati a Manila? Pupo con le sue due mogli e i nipoti? Un sultano del Brunei col suo seguito?
Quali famiglie dovrebbero tornare allo stadio, la circolare ministeriale non lo specifica.
Ma si sa, questo è il Paese dove i pluri-divorziati, adulteri, puttanieri e habitué di trans organizza i Family day e parla dal palco alle masse impaurite dalla contemporaneità facendosi dare manforte da diversi ambigui in sottana e in odor di pedofilia. Ovvio che un rappresentante di codesta Repubblica nutra scompensi. Ed inventi una frequentazione passata degli impianti sportivi da parte di un soggetto che mai vi ha messo piede. Storicamente, dico. Le famiglie che dovrebbero “tornare” allo stadio, allo stadio non ci sono mai state. È come chiedere ai pinguini di tornare nella Savana. Basta vedere le foto d’archivio: non c’è traccia di pinguini nella Savana. Lo stadio, il campo sportivo, in quanto luogo potenzialmente pericoloso ma senz’altro sboccato e istintuale, era prerogativa maschile. Ci andava il capo-famiglia e, all’età giusta e sovente contro la sua volontà, quando sentiva la chiamata decideva di prelevare il primogenito, l’erede, il delfino, il più delle volte sottraendolo ai lunghi dopo-pranzo con i nonni e le femmine, per svezzarlo nella culla della mascolinità: la curva. Finché il cucciolo non abbandonava l’esemplare alfa e al campo si avviava con gli altri cuccioli, che nel frattempo avevano assunto le sembianze degli stessi scugnizzi che avevano cacciato i nazisti da Napoli. Ora le cose sono senz’altro cambiate in meglio: le donne ci vanno, eccome, in curva. E fanno anche meglio degli uomini. Ma le famiglie, per come le intende il Ministro, no, non esistono. E mai esisteranno. Specie se poi i presidenti piazzano a 15 euro un tagliando di curva. In tempo di crisi.

Parliamoci chiaro: la C1, o Lega Pro, ha gli anni contati. Tra fallimenti, ripescaggi, pescecani e bilanci in rosso, tra un paio di stagioni la terza categoria non sarà che un ricordo. In più lo scenario penoso degli stadi vuoti acuisce la sensazione di smarrimento: è come se una crew di guastatori si stesse applicando notte e giorno per devastare scientificamente quel che ancora è rimasto in piedi della passione per le proprie squadre locali. Un manipolo di esperti tagliatori di teste, al soldo forse della Lega, forse delle pay-tv, forse della massoneria deviata, costantemente all’opera per aggiungere sempre nuovi ostacoli tra il cittadino-tifoso e la struttura comunale (di cui il cittadino paga acqua, luce, gas e affitto) dove si svolgono le partite. Una perversione degna di miglior causa. A questo punto ci si aspetterebbe un imprenditore illuminato, un patron determinato ad invertire la rotta per non subire passivamente la morte della propria azienda, disposto a fare carte false pur di diventare sabbia nel motore del sistema. Uno che sbaragli la concorrenza abbassando drasticamente i prezzi dei biglietti, regalandoli ai ragazzini, che dica coi fatti: “Riprendetevi il campo sportivo della vostra città, riempitelo dei vostri colori, perché la squadra fa parte della vostra identità”. Uno così, senza proclami e pure giocando al risparmio sui giocatori, meriterebbe stima per il semplice fatto di dare linfa ad una pianta secolare eppure morente. Invece. La C1 è piena di insulsi ologrammi delle serie superiori, che giocano alla managerialità come i bambini della mia epoca giocavano alle biglie in strada. Scimmiottando Moratti o anche Zamparini parlano di diritti tv, personalizzano gli stadi, ammodernano, si avvalgono di una mezza dozzina di addetti stampa (manco fossero cistercensi alle prese con vecchie biblioteche alluvionate o sopravvalutando quel che hanno da comunicare), convocano esperti ad organizzare il merchandising ufficiale. La perfetta new economy del fallimento. Il calcio giocato, quello che dovrebbe interessare alle famiglie, come tassello in un complesso mosaico finanziario; scatola di cartone tra le cinesi scatole di ferro; il tifoso, anche se accompagnato dai genitori, diventa mucca da mungere. Sempre meno sacra. E con sempre meno giri di parole come spiegazione. 15 euro. Quando ce li chiesero a Potenza ci facemmo prendere per pazzi. Entrammo sventolando banconote finte da 50 euro. Quando ce li imposero a Terni srotolammo lo striscione “No al caro prezzi”.

Non è successo molto tempo fa. Anche se sembrano passati decenni. Ne convengo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

perchè perchè..la domenica mi lasci sempre sola..per andare a vedere la partita..

Giuseppe

Anonimo ha detto...

uhm... sai com'è da qualceh parte i soldi le società di calcio dovranno anche prenderli!

li critichi perchè si circondano di esperti di marketing, li critichi per i costi del biglietto alto, hai dimenticato di criticarli per il merchandise dai prezzi esorbitanti(quello ufficiale che non compra nessuno, tutti a prendere le repliche!).

come credi che si mantenga in vita una società di calcio? sol perchè qualcuno è contento di sperperare un patrimonio per far felice qualche persona la domenica?

scendi un attimino nel mondo reale e cerca di capire hce laddove una società non riesce a rientrae con operazioni di marketing e sponsorizzazioni, non potendo contare su diritti televisivi che in terza serie rendono oggettivamente poco, per cercare di arginare i buchi di bilancio l'unica soluzione è avere un prezzo al botteghino più alto.

pretendiamo forse che chi investe nel calcio lo faccia di suo senza ricevere alcun ritorno economico???

paolo.

Anonimo ha detto...

Io non pretendo un bel niente.

Quel che ho scritto ho scritto. Stop.

NicKappa25 ha detto...

Personalmente concordo con tutto il post.

Ataru ha detto...

Per me tutto sta nella voglia di lega minore che è carente.
In Italia siamo (generico, io tifo Bari e solo Bari) sempre stati tifosi di una delle grandi e interessati alla squadra locale.
Con l'avvento del satellite e di una offerta pantagruelica la voglia di calcio che si sfogava con la piccola squadra cittadina è stata soppiantata dalla tv.
Anche in A lo stadio si va spopolando, ma gli introiti televisivi sopperiscono ai biglietti in meno.
In B e in C non c'è paracadute

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