08/12/08

Le due curve

di Lobanowski 2

Domenica 7 dicembre, Lanciano-Foggia 5-2

Mi vesto appena più pesante del solito. Le gambe, si, sembrano reggere. Il mal di testa è svanito, così come pure i crampi allo stomaco. Gli anticorpi hanno fatto un buon lavoro, non sembro un caso di malasanità. La bandiera nella destra, stacco un bel passo da maratona. O da boy-scout. Ci avviamo con un anticipo olimpionico. Sarà una volata, e la macchina a metano conterrà le spese. In tempi di crisi e social card, conta. La strada è la solita, Adriatico e mare sulla destra. L’entusiasmo non si è smorzato ai primi freddi. Per confermarlo, mostro l’ennesimo 2 fisso sulla bolletta della Snai. È il sesto su sette trasferte. Avevo evitato di pronosticarmi vincitore solo a Pescara, perché senza il benestare dell’Osservatorio c’erano poche speranze di farla franca; perché, lo sanno anche i bambini, solo Se lo sosteniamo noi l’Us Foggia fa gol. Autostrada fino a Val di Sangro, poi ci inerpichiamo su un’altura, un paio di svincoli e ci troviamo in faccia a Fossacesia. Non so per quale motivo metafisico abbiamo scelto questo posto per il consueto aperitivo, ma oramai ci siamo e parcheggiamo in salita. Un corso deserto che sembra Alberona, una chiesa e una fontana. L’odore dei camini, che fa sempre il suo effetto. Prima del bar, l’emozione indefinibile di vedere il pullman del Foggia che fa manovra e sbuca da un angolo. Guido si illumina come un miracolato, accenna qualche passo in direzione di quella visione, tenta una corsetta monca, poi, accertata l’impossibilità di raggiungerlo, si limita a fare ciao ciao con la manina. Lo guardiamo stupefatti. Quello ricambia: “Ma, uagliù – dice, sopraffatto dall’incredulità – il pullman del Foggia”. Con lo stesso tono con cui avrebbe salutato l’apparizione di una navicella spaziale. Sconvolto dal vedere a due passi un mezzo di trasporto che, solitamente, è parcheggiato a due passi da casa sua. Ma, si sa, è il contesto spazio-temporale a fare di un oggetto un evento. E a noi tutti, mentre ordiniamo quattro caffè e un cappuccino, improvvisamente appare chiaro il perché di Fossacesia. Come la Samarcanda di Vecchioni.

Lanciano è una trasferta infida. Ci sono stati screzi, in passato: solite storie, con qualche vetro infranto di più. È consigliata prudenza. E noi, per non farci mancare nulla, ci fidiamo della memoria di Nicola, che si inoltra in paese con straordinaria approssimazione. Non ci sono segnali ad indicare il campo sportivo, tendiamo solo a lambire il centro, finché non ci perdiamo in uno slargo periferico dal senso di marcia obbligato. Una discesa sulla destra per rimetterci in carreggiata ed eccoci faccia a faccia con una decina di giovanotti bardati di rossonero. Che sono anche i colori sociali degli abruzzesi. Cazzo, pensiamo. Un rapido calcolo delle probabilità, mentre quelli già ci scrutano da sotto i cappelli con la visiera; e noi scrutiamo loro, con lo stesso sguardo di chi non intendere cedere. Poi un cappello favella: Ma dove cazzo è lo stadio? L’accento è inconfondibile. Boh, rispondiamo, negando gli uni agli altri quel che ognuno stava realmente pensando: vi abbiamo presi per lancianesi, uagliù. Ci incolonniamo e in cinque minuti siamo in un viottolo di ghiaia sul limitare di un discreto strapiombo boschivo. In lontananza, la tribunetta. Settore ospiti. Gli altri ci chiamano che sono appena fuori porta: c’è stato un rapido sfiorarsi coi pescaresi, in un autogrill. Roba da niente, il tempo di comprare le sigarette e saranno qui. Assistiamo all’arrivo della carovana. Entriamo. La scena è sconfortante: lo spiazzo sarà largo qualche passo nei quattro sensi di marcia, la polizia tasta svogliatamente i giubbotti, la rampa è unica e ci vanno a stento due persone affiancate. Lo spettacolo di uno stadio a norma, la pantomima della sicurezza. Niente di male, per carità, questo impianto ha la stessa dignità di ogni altro. E come ogni altro, costa. Ma non si può proprio dire che ci sia gente qui che si impegna febbrilmente a farlo sembrare uno stadio. Siamo dentro, e va bene anche così. Saremo quattrocento, forse qualcuno in più. Al centro, come al solito, le pezze della Sud e della Nord. Di lato, i tifosi svincolati, gli occasionali, quelli che vivono la partita su un’altra frequenza.

Le squadre sbucano dallo spogliatoio sotto la curva lancianese. Non sembrano imponenti, i locali, ma ci sono, con diversi striscioni e finanche una bandiera croata, che mal si concilia con tutto. Si alza il primo coro. Stavolta dire che non vedo niente non è un eufemismo, un modo come un altro per sancire distacco dall’evento calcistico in sé. Non bastasse la prospettiva dadaista della curva dove siamo assiepati, non bastasse l’assurda cancellata modello Manfredonia a circondare il settore, c’è quello che fa partire i cori proprio di fronte a me. Ma è la vita che ho scelto, penso. E mi concentro sui canti e sulla bandiera che fluttua nell’aria tesa e assolata. È troppo forte questo amore che provo per te, Foggia tu sei per me, sei l’unica passion, ti porterò per sempre nel mio cuor. Bastano poche schermaglie per capire che dai lati verranno solo noie, quando non rogne. Da destra e da sinistra giungono fischi e boati solo in concomitanza con le azioni, con lo svilupparsi logico della partita. Lello mi garantisce che c’è un problema di fasce anche in campo. Prendiamo un gol, e l’incitamento degli occasionali. Meglio quando siamo in pochi, dicono dalla balaustra. Concordo, ma il fiato sul collo di questa gente mi spazientisce. Certo, in centro bastiamo e avanziamo. Ma questi che si sono messi in marcia per fare la scampagnata, che magari sono appena usciti dal ristorantino caratteristico, che hanno le mogli che girano per i negozietti del centro, preferisco perderli che trovarli. Sono il simbolo di una Foggia arcaica, che non esiste più. E, come ogni tradizione, devono affondare. Il prima possibile. Prendiamo il secondo. E la mazzata si avverte nei muscoli. Le corde vocali non smettono di articolare suoni, ma il timbro è rauco. È assurdo. Alla fine del primo tempo la discesa verso il bibitaro è vorticosa, possente, desiderata. La delusione, cocentissima. Non c’è nessun bar. Niente birra analcolica, niente acqua a prezzo da lounge bar, niente Borghetti. Nessun bar. Neppure difeso da un’inferriata come a Perugia, neppure incassato in un muro da Montecristi come a Caserta. È il panico. Vado in bagno per disperazione: Forza Pisa, Livorno stramerda, c’è scritto sul muro. E quando sono stati qui i pisani?

Al fischio d’inizio del secondo tempo siamo tutti un gradino più giù. Guardo le fasi di gioco dagli scacchi della prigione. E va bene che tutta questa scomodità, a ben pensarci, ci piace da morire… ma se qui ci si volesse soffermare sul rapporto qualità/prezzo, staremmo freschi a fare l’alba a forza di rimostranze. Ma non siamo gente che si lamenta. Segnamo l’1-2 su una punizione dal limite che il portiere non trattiene. E torniamo a crederci. Gli osservatori casuali che giocano sulle fasce la loro partita silente, si riconquistano all’incitamento. Poi tornano a spegnersi, a rumoreggiare finanche, quando il Lanciano fa il 3-1 e sembra chiudere la partita. È avvincente questo limbo, questo livello multiplo, questo susseguirsi di membrane: sul tavolo da gioco ci sono almeno tre differenti puntate: c’è quella propriamente detta, quella del match, della gara valevole per il campionato di Prima Divisione; c’è quella degli spettatori umorali, che s’arrovellano e si inacidiscono, s’esaltano e si deprimono in diretta conseguenza di quanto avviene sul rettangolo verde; e poi ci siamo noi, c’è la nostra puntata, che quasi sempre è vincente: non è casuale questo coro altissimo con un parziale devastante. È una conseguenza dell’approccio. Noi continuiamo a cantare, dal centro della gradinata un gruppo di ragazzini ci indica e ci saluta con l’ombrello. Si va avanti, e quando Salgado mette dentro un diagonale che vedo finanche partire, cominciamo pure a crederci. Ed è bellissimo, un’attesa degna dell’Avvento, una vigilia lunga che sa di boato in avvicinamento, che prepara alla grande felicità della rincorsa conclusa. Nessuno è più fermo al suo posto, ognuno si sente in diritto di camminare – da parte a parte del settore – con un’agitazione degna di un neo-padre fuori dalla sala parto. Argento vivo, impazienza. Si salta, si canta, si danza. Si inganna l’attesa dell’inevitabile. Che pare palesarsi quando Del Core giunge a tu per tu col portiere avversario. Uno sguardo al pallone, uno all’estremo difensore, uno al pallone, uno all’angolino. Al centro, Salgado tutto solo attende l’assist per il pareggio facile facile. Sono pronto a saltare. Ma Del Core zappa sotto la sfera un cucchiaio che non vuol saperne di alzarsi. Sembra ci sia ancora un’eternità da giocare, e la onoreremo. Ma non riusciamo a capire perché, se ti chiami Del Core e giochi in terza serie, trovi così sconveniente la botta ignorante all’angolo opposto. Perché te ne senti sminuito. Dopo l’occasionissima, i nostri ne fabbricano altre due. Ma la difesa alta per necessità mette i brividi. Se il pallone si infila tra le linee, e non si alza la bandierina, c’è l’uomo solo davanti a Bremec. Succede, e il catalano è costretto al fallo di mani fuori area. Espulso. Entra un tale Milan, che esordisce con un’uscita raggelante quanto inutile. E poi prende il quarto al 90’.

Ed avviene quel che doveva avvenire; quel che, sottotraccia, è avvenuto per novanta minuti. La scissione delle due curve: quella che ci crede a prescindere, che lotta e che fa il suo dovere, e quella che incrocia per impalpabile tangente. Una, due volte all’anno. I fianchi escono, esasperati dal gioco di una squadra che sarà la terza volta che vedono all’opera: fischi, borbottii, esplosioni di rabbia. Tutti in fila verso l’unica uscita, pronti a far morire sulle labbra l’ennesimo Mai più. E si che da Lanciano, per tornare a casa, ci vuole quasi un’ora e mezza. Dal centro li guardiamo divertiti, con lo sguardo appena appena appesantito di pena. Sono spaventapasseri della foggianità, gente incapace di partecipare, di soffrire, di perdere con stile e dignità. Caramanno, il Mister, diceva che il tifoso si guadagna il diritto a contestare la squadra sostenendola fino al 95’. E qui mancano ancora i 5 di recupero. Stavolta il coro è tutto per loro: dal centro ai lati: Il Foggia siamo noi, chi cazzo siete voi. Legittimo, doveroso, giunto a puntino. Alleggerita la zavorra, ci concentriamo sul rettangolo verde, dove i nostri non lottano più. A Foggia non ci tornate, suona vagamente minacciosa; Senza la maglia, giocate senza la maglia, invece, risulta forzato. Ma ci sta, filosoficamente parlando. Milan, il mio nuovo idolo, prende il quinto in maniera ridicola. Non c’è più tempo per alzare inni di gioia e ringraziamento. Sentiamo gli altri esultare.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Il bianco sono gli ultrà, con il loro irriducibile e viscerale attaccamento alla squadra e alla maglia. Il nero sono quelli che hanno smesso di amarla, o non l'hanno mai amata, e sanno solo ripetere, come una litania, la frase "ma vai ancora appresso al Foggia?". Poi c'è il grigio, chi magari non ha la famigerata "mentalità ultrà" ma la ama in modo ugualmente intenso. A Lanciano ero ai lati, il destro, precisamente, ma non sono occasionale. Ho incitato e sono rimasto al mio posto fino al triplice fischio finale. Non condivido la scelta di chi ha abbandonato lo stadio al quarto gol ma non li biasimo. Siamo tutti gente che ne ha le palle piene della C e di farsi prendere per il culo, cosa che è evidentemente accaduta ieri. Non fossero tifosi attaccati alla squadra e alla maglia sarebbero rimasti a casa a fare altro, risparmiandosi un po' di euro e 300 chilometri. Definirli spaventapasseri della foggianità mi sembra inopportuno, oltre che oltremodo offensivo. Due curve ci sono già in casa. Fuori siamo una cosa sola. Tutti degni di uguale rispetto e considerazione.

Anonimo ha detto...

Faccio due cose solo apparentemente contraddittorie: rivendico il mio scritto, parola per parola, e sdrammatizzo.

La settimana scorsa, prima della partita con la Paganese, mio padre - in una discussione notturna - mi ha detto: "A questa squadra manca solo la vittoria esterna, poi non la ferma più nessuno. Solo il Crotone potrebbe, ma ha problemi societari". Era fatta.

Dieci giorni dopo, e più precisamente ieri al mio ritorno, mio padre stava farendo l'albero. Mi ha sentito entrare ed ha sancito, ridendo di gusto: "Ma perché ci vai ancora appresso?".

Ecco, ho pensato. Le cose non cambiano, non cambieranno mai.

Credimi: mi sono sentito felice. Di aver perso, straperso così. Ed anche più tranquillo: la foggianità resiste ad ogni tentativo di evidenziarla.

Stammi bene.
Lob2

Anonimo ha detto...

Non pretendevo mica di indurti a cambiare idea. Solo di ricordarti che esistono anche le sfumature.

La Curva del Torino, una delle più passionali e toste d'Italia, l'altro ieri ha abbandonato lo stadio a partita in corso in segno di protesta. Ti sfido a definirli gente che non sa soffrire e perdere con stile e dignità, spaventapasseri della torinesità.

Stammi bene e forza Foggia.

Anonimo ha detto...

Quindi, secondo te, la curva granata e i foggiani dei laterali pari sono?

E mi parli di sfumature...

Lob2

Anonimo ha detto...

se ti dicessi che domenica mi è dispiaciuto vincere mentirei spudoratamente ma devo ammettere anche che, leggendo il tuo post, mi sento un po' in colpa per aver esultato al quinto gol (solo al quinto ovviamente).
Comprendo però lo stato d'animo di tutti voi. La vostra storia è effettivamente sprecata per la serie c ma il presente è questo e vivere del passato, con lo sguardoi rivolto solo dietro alle spalle, porta solo a perduranti stati depressivi.
Credo siate una grande tifoseria, tra le migliori in questo girone e degna di ben altri scenari.
Noi a Lanciano abbiamo vissuto due anni orribili che non auguro neanche ai miei peggiori nemici e solo oggi, grazie alla generosità di una famiglia appassionata, siamo tornati ad avere la serenità perduta.
Se vi può consolrare, pensate che c'è ancora gente - sempre meno - che rimpiange quel ladro di Di Stanislao tanto per farvi capire che, allo stadio, è possibile trovare qualunque forma di follia così come di sincero attaccamento ai propri colori, alla propria comunità.
Se la storia è ciclica anche questa notte vedrà la sua alba. Abbiate fiducia.
Mi è dispiaciuto invece e molto non riuscire a prenderci neanche un caffé.
Lavoro e altri cataclismi permettendo, conto di venire a Foggia al ritorno e magari, partendo prima degli altri, riusciremo insieme a colmare questo gap che tengo fortissimamente ad annullare.
Con grande stima

Oldwarrior di Lancianoburning

Anonimo ha detto...

Hai ragione, Oldwarrior, e condivido: mai guardarsi indietro.

Siamo retrocessi in C1 nel 1999. Sono passati 10 anni, da allora. Abbiamo vissuto il fallimento, la curatela, i pescecani. E quattro anni di C2. E' bene ricordarlo, sempre. Ma per il resto: nessuna nostalgia, nessun reducismo. Siamo il Foggia e dobbiamo dimostrarlo ogni domenica. Per questo criticavo l'approccio di qualcuno, probabilmente troppo legato ai ricordi e al cosiddetto "bel calcio" dei tempi che furono. Ma è facile andare allo stadio quando contro ci sono Juve, Milan o Napoli. Più difficile farlo con Paganese e Juve Terranova.

Io al quinto gol ho cominciato a ridere. E tanti, attorno a me, hanno fatto lo stesso. Avevamo dato tutto, sugli spalti. Non ci potevamo certo rimproverare le papere del portiere! Del resto, lo dice anche la nostra pezza: Nothing else matters. Nient'altro ha importanza. Neppure il risultato.

Ti ringrazio dei complimenti e della stima. E, per quanto riguarda il caffè, lo berremo senz'altro al ritorno.

Buon tutto,
Lob 2

Anonimo ha detto...

Leggo che domenica scorsa i tifosi udinesi hanno abbandonato San Siro al termine del primo tempo, in segno di protesta. Si vergognassero! Gente che non sa perdere con stile e dignità, spavantepasseri dell'udinesità.

Anonimo ha detto...

Perché fai finta di non capire, Anonimo?

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