29/12/08

Exit strategy

di Lobanowski 1

La sensazione, forte, che monta in questi giorni, è che siamo vicini al capolinea dell’attuale gestione dell’U.S. Foggia 1920. Partiti in dieci, i soci che salvarono i satanelli dalle sabbie mobili del fallimento hanno perso pezzi lungo il cammino. Chi è informato delle voci di dentro parla di quattro o cinque imprenditori rimasti a tirar fuori i soldi, e tra questi c’è più d’uno che s’è stancato. A meno che non ti chiami Chinaglia, a meno che una società calcistica non ti serva come enorme lavanderia di denaro di dubbia provenienza, a meno che non sei un piccolo truffaldino alla Russo, la gestione di squadre di Prima Divisione è onerosa, non garantisce ritorni. Gli incassi sono quelli che sono, i contributi della Lega minimi, marginali l’apporto degli sponsor e dei diritti televisivi. Ci si rimette e basta. A meno che non ti riesca il gran salto nella serie superiore, dove è tutt’altra musica. Tutt’altri bilanci, anche se assieme agli introiti crescono le spese.

Capobianco e soci ci hanno provato a salire in B, spendendo tanto in giocatori e stipendi. Per due volte siamo andati vicini al sogno, a pochi e maledetti secondi dal sogno. Da queste parti, lo scrissi a luglio sostenendo la svolta gestionale – valorizzazione dei giovani, attenzione al bilancio e soprattutto alla vita della società – di Moratti o facoltosi mecenati del calcio non se ne intravedono. Se pensi a chi c’ha i soldi – volgarmente – a Foggia, pensi ai palazzinari. Uno come don Michele Perrone, il grande vecchio della Confindustria dauna, ci provò a prenderlo il Foggia, anni fa, all’asta fallimentare del Tribunale di Napoli. Arrivò ad offrire oltre 7 miliardi di lire. A quell’asta si presentarono due che al confronto di Perrone potevano essere etichettati come pezzenti, tal Villani (piccolo costruttore) e Mercuri (un avvocato). Offrirono di più, non si sa con quali garanzie. Il Foggia fu assegnato a loro. Ma non mantennero gli impegni presi, e il Foggia tornò nelle mani di curatele e profittatori. Azioni di disturbo commissionate. Apparve evidente la cosa. Fosse andato a Perrone, la storia dell’U.S. Foggia negli anni forse sarebbe stata differente.

Pensi a chi tiene i soldi e pensi a loro, ai palazzinari: a Perrone, o a Zanasi, che siede a capo di Confindustria e Camera di Commercio, e ai suoi sodali in associazione, ai Trisciuoglio, ai Zammarano, a Di Carlo, Caccavo. Poi ci sono i facoltosi proprietari terrieri, le grandi famiglie latifondiste alla Lepri. Gente ce n’è, con la pila, anche gente che allo stadio da sempre fa passerella. Per carità, mica lo comanda il dottore che se hai dei soldi devi “buttarli” in una società calcistica. Però quei dieci, o meglio quei cinque o sei, almeno ci hanno provato a fare squadra. In una terra da sempre allergica alla cooperazione e incline alla guerra per bande, dalla politica all’economia, hanno messo insieme le forze per un progetto che parlava alla città in maniera diretta. Imprenditori foggiani disposti a farsi carico dei costi di un elemento – il più popolare nel senso più vasto del termine – della comunità cittadina.

Alla comunità imprenditoriale l’appello di Capobianco e soci non è mai mancato in quest’ultimo periodo. Quasi un grido d’allarme. Aiutateci, sosteneteci, entrate in società, o finanche prendetevelo voi il Foggia, se siete in grado e avete i mezzi per fare meglio. Hanno sbagliato, come è facile che sbagli chi opera, Capobianco e soci. Soprattutto per dei novizi del settore. Ma chi se la sente di rimproverare qualcosa a queste persone, che da tifosi (un po’ più facoltosi di noi altri) coltivavano lo stesso identico sogno di tutti gli altri tifosi? Giocatori di grido e con ingaggi da serie B non hanno garantito la svolta, la necessaria – ai fini anche economici – promozione in B. Hanno sbagliato, è vero, anche nell’impostare la stagione in corso, annunciando di voler puntare su giovani di valore e finendo con raccogliere seconde file nemmeno tanto giovani, o imberbi giocatori provenienti da qualche primavera. Città campanilista, Foggia, che ha dato la croce addosso a Di Bari, il direttore sportivo oggi primo con la Pro Patria nel girone A (con Correa, Toledo e gente di categoria), colpevole di parlare con accento barese, e nulla e nessuno pare voglia imputare a Fusco, l’avvocato gagà napoletano, un mercato estivo disastroso. Ed oggi chi tiene in piedi la barca è gente come Coletti e D’Amico, quei giocatori che Di Bari aveva voluto a Foggia (per non parlare di quelli che stanno giocando bene altrove).

Città dove i giornalisti sono troppo tifosi, troppo vicini ai voleri della società, incapaci o negligenti anche nell’informare sul fatto che i giocatori sono fermi agli stipendi di settembre. E intanto Fusco sta lì e continua a dettare legge. Via Novelli, che di ricominciare con una squadra dilaniata dal mercato di gennaio evidentemente non ne aveva voglia (se sono vere le voci sulle partenze di Coletti, Salgado, e altri sei o sette giocatori). Sembrerebbe una exit strategy, come la chiamano gli strateghi della guerra. Un recuperare risorse in maniera quasi disperata per dare un futuro alla società, e magari a fine anno mollare a qualcun altro, qualcuno con entusiasmo nuovo e soldi freschi.

E in una città dalla storia sgranata, abituata a vivere ripiegata su stessa, con lo sguardo perennemente rivolto al passato, senza chissà quali fasti ma sul quale almeno è possibile abbandonarsi in amarcord e costruire leggende; una città dalla scarsa mobilità sociale dove il cognome conta più d’ogni cosa, dove Zanasi è Zanasi da 30 anni, la città dei circoli chiusi, massonica, facile che per molti alla parola futuro non possa che essere affiancato il nome di Casillo. E magari di Zeman. Un dio di qualunque religione ce ne salvi. Non so se sarei in grado di sostenerlo questo ritorno al passato. Ma il problema resta: se mollano questi, chi se lo prende l’U.S. Foggia 1920?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

avevo laciato nei commenti i miei auguri ma non li ritrovo. evidentemente non sono stati "stabilizzati" dalla piattaforma. nessun problema. vi auguro un 2009 felice a patto che la vostra felicità non cozzi con la nostra. ;o)
Scherzi a parte, auguriamoci tutti un anno migliore e non solo per il calcio.
Ciao e a presto rileggervi.
Oldwarrior

Anonimo ha detto...

E' vero, Oldwarrior, e ricambiamo.
Parola per parola.

Abbiamo concluso un 2008 emozionante, coronato dalla delusione della sconfitta nella semifinale play-off. Poteva andare diversamente, ma fa niente.

Siamo pronti a soffrire ancora. E non vediamo l'ora. La società è in crisi: il famoso calcio moderno, dove se non hai mercato sei fuori, si sta facendo sentire. Da noi come a Taranto, come a Pescara. Il nostro augurio calcistico è raccolto nell'articolo che ho appena pubblicato. E penso di parlare a nome di tutti. Senza presunzione (dimmi se non è così).

Quanto al resto, è vero: abbiamo un gran bisogno di un anno "di rottura": di porre un freno alla precarietà delle nostre vite, di ricominciare a lottare per le cose che contano, per la dignità del lavoro. Se non sarà il 2009, sarà il 2010. Abbiamo fretta, ma sappiamo aspettare.

Un augurio a te e a coloro a cui tieni, Lob 2

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