19/01/09

Implosioni

di Lobanowski 2

Domenica 18 gennaio, Foggia-Pescara 2-0

Il rientro da Roma è stato nebbioso, oltre ogni previsione. Escursione termica, si dice, o qualcosa di simile. Fatto sta che all’altezza di Cassino c’è mancato poco che parcheggiassimo la macchina ai margini del guard-rail e, quattro frecce in funzione, scendessimo ad immaginarci l’abbazia, persa nelle atmosfere medievali del più cupo Umberto Eco. Dopo la mezzanotte, all’autogrill, il caffè è gratis, ma a Grottaminarda lo ignorano. Avellino ha lo stesso numero di uscite di New Orleans e al quindicesimo cartello, la mia testa ha cominciato a pesare. Solo alle 4,30 ho rimesso piede a casa, ma ne è valsa la pena. Abbiamo manifestato per la causa palestinese, una causa giusta oltre ogni irragionevole dubbio. Un ronzio sinistro nell’orecchio sinistro, effetto acustico di una stanchezza coltivata alacremente; la spossatezza delle membra. In tv un film con Paolo Villaggio. Qualche secondo della Virtus Bologna e il sonno, riparatore d’ogni affanno, sopraggiunto prima che potessi sincerarmi dell’avversario. Implosione.

La curva è passione, è azione, è partecipazione. Ma, come ogni location della vita, ci sono momenti in cui se ne potrebbe fare a meno senza precipitare nel panico. È una giornata affollata, questa che si spalanca allo spalancarsi delle imposte. Sono le 10 e il computer già macina byte. Ci sono comunicati da stendere, sintassi da correggere, contatti da prendere e mantenere, stimoli da tramutare in impulsi, fotografie da incamerare, raccogliere, sondare, modificare. E poi rilanciare nell’immenso mare della rete, che fa da baia a quello che gli esteti chiamano lavoro politico. La moka è lodevole nel suo sforzo di tracimare liquido scuro, che serve alla gola più che alle papille gustative. Se lavorassi di buona lena, oggi, ne avrei per qualche ora, di sicuro fino al pomeriggio inoltrato. Invece c’è il Pescara, e la Sud da onorare. L’ennesima partita senza tifosi avversari. L’ennesima partita inutile. Senza ospiti, il Pescara e il Nissa pari sono. Non ci sono pungoli ferrei a vibrare nei fianchi, e l’istigazione alla mollezza di una giornata del genere si fa sentire per intero. Tra due settimane sarà la volta del Foligno, poi della Pistoiese. Due belle squadrette senza tifosi. In mezzo, le belle trasferte di Cava e Castellammare. Entrambe, ovviamente, rigorosamente vietate. Una specie di esercitazione al tedio, di abitudine alla noia, di erosione della passione. Mentre i tifosi dell’Ascoli hanno ottenuto il permesso di occupare la Sud del “Picchi”, venerdì sera a Livorno. Paradossi tali da far esclamare al sempre puntuale Gianni: “A capo dell’Osservatorio c’è mio nonno”.

Giuseppe e Nicola sono stati a Cerignola, stamattina presto, a riconsegnare il furgone noleggiato. Ad entrambi ho reso noto che prenderò parte all’aperitivo pre-gara solo alle 12,45. Di sicuro non prima. L’hanno presa bene. Ho colpito una corda occulta della loro pigrizia. Non prendiamoci in giro: Potenza è stata una sorta di prova d’orchestra, attesa spasmodicamente e superata di slancio. Le tensioni, la voglia, l’emozione di rimettersi in macchina e consumare pneumatici ha fatto da molla all’attivismo. E all’iperattivismo. Il Pescara, beh, è altra storia. S’apre il ventre molle del girone, con la prossima trasferta prevista tra più di un mese. E la sensazione è frustrante. Lello è il primo ad arrivare, poi Antonello. Il cellulare di Giuseppe trilla a vuoto. La bandiera necessitava di una bella lavata, dettaglio significativamente omesso. Il Lucano mi gela le dita, ma il cielo è limpido. All’una e venti comprendiamo il dramma che ha colpito il compagno assente: il sonno, nemico implacabile, s’è impossessato delle sue stanche energie. Nessuno sospetta un rapimento, un improvviso malore, un incendio. Sappiamo che quel segnale d’assenza è il frutto dei tempi. Ci avviamo in formazione monca. Oltre a Giuseppe, mancano Mattia e Daniele. Il primo è rimasto nella capitale e contava di tornare col teletrasporto, o grazie ad un prodigio elfico; il secondo, pare sia a letto con l’influenza. Se il Foggia perde in casa, le porte della contestazione si spalancheranno come un ponte levatoio. Inutile nasconderci dietro un dito. Noi siamo abbastanza sicuri che non perderà: il Pescara è una squadra allo sbaraglio. Dido mi annuncia telefonicamente che in Sud campeggia uno striscione in cui alla squadra si chiedono emozioni. Ripenso agli auguri di un sereno 2009 che la società ci ha elargito a fine 2008. E mi scappa da ridere. La psicologia del tifoso dovrebbe essere l’abc d’ogni manager.

Occupiamo i gradoni in corrispondenza della rete, lievemente sfalsati sulla destra. Abbiamo la jolly-roger e tanta pazienza per gli invertebrati pellegrini che chiederanno di abbassarla. All’ingresso, nessun problema. Un poliziotto ha chiesto a qualcuno, o a tutti, o a nessuno, di consigliare a Capobianco di comprare Kakà. La sua brillante proposta, che fa pendant con quella di Mario Schena circa l’acquisto di Cafu, cade nel vuoto con la forza di una pietra tonda in una bacinella di mou. Non vediamo gli angoli, ma la curva sembra piena. Lello si sofferma a guardare i seggiolini della tribuna centrale, come fosse la prima volta. Ipnosi. A pochi minuti dall’inizio, un corifeo viene a posizionarsi sotto di noi, mentre un bandierone del Regime comincia a sventolare tre gradoni più in basso. È un bene, perché vuol dire che qualcuno lassù ha deciso di frapporsi tra l’indifferenza e l’estinzione della specie. Conto Tv, la stessa emittente satellitare che possiede i diritti del Foggia, segue il Pescara in trasferta. Il primo coro, alto e abbaiato, è contro i pescaresi a casa. Il secondo e il terzo contro Cardinale, il numero 4 degli abruzzesi, ex odiatissimo da queste parti. Galderisi, il mister dello scorso girone di ritorno, viene sotto la curva a prendersi un applauso scialbo e poco convinto, tant’è che si ferma alla trequarti e torna indietro dopo un saluto frettoloso. Da queste parti abbiamo crocefisso D’Adderio, un poveraccio che ebbe il torto di perdere il lume della ragione nell’ultimo quarto d’ora della finale play-off di Avellino, due anni fa: uno che arrivò a confondere i numeri dei suoi in campo, che vacillava tra l’amnesia e la febbre, man mano che si avvicinava all’ambito novantesimo che ci avrebbe consegnato la B. Che prese gol al 91’ con una botta al volo da fuori e perse, come noi tutti, il paradiso della promozione da un momento all’altro, senza demeriti tecnici che non fossero correlati alla trance. Ebbene, noi adesso dovremmo applaudire colui che ci ha suicidati a Cremona e ci ha mollati per seguire i suoi sogni di grandezza nell’odiata Pescara. Stranezze del calcio.

L’esperimento del corifeo decentrato, del federalismo corale, riesce – quanto meno – a smussare alcuni angoli che erano divenuti insopportabili. A parziale discolpa di quelli dalle ugole secche o flosce, sta il fatto che senza tifosi avversari a cui dare dei pezzi di merda, è difficile trovare stimoli. Ma questo l’abbiamo già detto. Il Foggia segna, perché il Pescara c’ha una difesa alta da far ridere. Il pensiero va a Zeman, che in settimana è stato qui a presentare il cortometraggio su Zemanlandia, che ha rilasciato due frasi di dichiarazione che è stato necessario sottotitolare. Dall’italiano all’italiano. Uno a zero, e prigionieri del passato. Come una volta, come sempre. Nell’intervallo un discreto gruppo di ragazzini, coadiuvati dalla tecnologia applicata ai Nokia, segue in diretta l’Inter che prende tre sberle a Bergamo. Non si trattengono neppure dall’esultare, smascherando chiare simpatie juventine. Eccoci faccia a faccia con la sostanza del nostro essere colonia, eterna provincia. Per quanti sforzi si facciano, per quanto stile si investa nella causa della nostra indipendenza, Foggia rimane la calda seconda squadra del cuore che era negli anni Ottanta. E che, ed accetto smentite al riguardo, è stata anche durante i Novanta dell’effimera gloria. Nella ripresa raddoppiamo in fuorigioco, ma non è un problema. Gli ultimi trentacinque minuti non servono alla cronaca e non servono alla storia. Si bersaglia la genitrice di Cardinale, che s’innervosisce e becca il giallo. Si balla dando del nomade al pescarese virtuale. I puristi, i corretti, inorridiranno. Ma non si capirà mai nulla di una curva se non si possiede ironia e senso della goliardia. In serata, giusto per la cronaca, lo stesso coro è rimbombato negli angusti locali del nostro laboratorio extraparlamentare, dedicato a Giulia e al suo compleanno, nell’atto di alzare al cielo i bicchieri di vino e spumante. Qualche coro tirato giù dalla soffitta impolverata, qualche amarcord, e il classico chi non salta che viene male. Il commento del corifeo è eloquente: “Siete dei zompatori di merda”.

In piazza Cavour, fermi al semaforo, ascoltiamo Tutto il calcio. Alle mie spalle il chiosco delle schedine, dove un tempo gli anziani sostavano ore a compilare le colonne del Totocalcio e del Totip. Non c’è storia: il calcio a cui uno finisce per appassionarsi è il calcio dell’infanzia. E per tutta la vita sogna che tutto torni ad essere com’era. Come quelle mattine con nonno Antonio, quando Juve-Inter era il derby d’Italia ed il Foggia giocava a Francavilla, ed era in schedina, tra le due di C. E le due di C in schedina erano X fisso. Sempre. A quei tempi Foggia-Pescara sarebbe finita a cazzotti, dentro e fuori lo “Zaccheria”. Ma al nonno di Gianni non era ancora stato assegnato l’Osservatorio, e nessuno se ne sarebbe accorto. Giallo, verde. Giusto in tempo per arrivare a casa ed osservare il lavoro che mi resta da fare. Giusto in tempo per rimandare.

Nessun commento:

Il Libro