22/01/09

La trincea imprevista

di Lobanowski 2

Gent.mo Direttore Responsabile,già da qualche tempo abbiamo verificato che sul sito da Lei diretto, compaiono gli highlights delle gare ufficiali dell'U.S. Foggia per la corrente stagione agonistica.
Nel rammentarLe che tale utilizzo è improprio, in quanto non concordato preventivamente con questa Società, La diffidiamo per il futuro a perseguire in tale direzione.
Viceversa ci vedremo costretti, nostro malgrado, a perseguire tutte le azioni atte a salvaguardare l'immagine di questa Società.
Contestualmente, La invitiamo a provvedere in tempi rapidi a variare logo e denominazione del Suo sito, in quanto appare palese lo sfruttamento d'immagine dell'U.S. Foggia: le rammentiamo, infatti, che logo e denominazione da Lei utilizzati risultano regolarmente registrati dalla scrivente U.S. Foggia.
Certi che Vorrà ottemperare in tempi brevissimi a quanto richiestoLe e rimanendo a Sua disposizione per qualunque tipo di chiarimento, l'occasione ci è particolarmente gradita per porgerLe distinti saluti.
Foggia, 20 gennaio 2009

U.S. Foggia

Non ricordo quanti anni avessi quando un’emittente locale mostrò per la prima volta, a margine di una partita di C1 dei fondi Ottanta, il logo coi due satanelli stilizzati. Il quasi-bambino che ero tirò un sospiro di sollievo: la Panini avrebbe senz’altro dovuto tener conto della miglioria apportata; avrebbe dovuto smetterla con quello scudetto inesistente, con le tre fiammelle in un mare d’argento, che da qualche stagione piazzava accanto all’undici titolare, nelle pagine di coda dell’album. Il Foggia, finalmente, aveva uno scudetto ufficiale. E questo lo si doveva alla campagna di restyling seguita a quella di riorganizzazione finanziaria dell’intera società. Ad opera di don Pasquale Casillo, con quel don imbarazzante ripetuto come una cantilena, senza badarci più di tanto. Era mutata la ragione sociale: l’Unione Sportiva aveva ceduto il passo al più agile Foggia calcio, denominazione efficace e sbrigativa, segno dei tempi, annuncio dei Novanta. Mi piacque, anche se non avevo idea di cosa fosse una campagna di restyling. Era l’epoca chiaroscura di scudetti in mutazione, che sostituivano la pesantezza del tempo e del passato con la nettezza dei tratti appena accennati: scudetti per chi andava di fretta, incapace di soffermarsi a decodificare l’intero sistema dei significati araldici. La zebra sfumata era il simbolo della Juventus, una fiamma che assumeva i contorni di un diavolo quello del Milan, la testa della lupa quello della Roma, in oro massiccio alla gola di Claudio Amendola in Ultrà. Tempi incalzanti, i primi Novanta: Tangentopoli, il processo Enimont dopo pranzo, Paolo Brosio dal Palazzo di Giustizia di Milano. Il Foggia calcio promosso in B. Poi in A. I quattro anni consecutivi nella massima serie. L’arresto di don Pasquale, lo sfascio, la curatela fallimentare. La B, la C1, l’onta della C2. Anni impegnati a pensare ad altro, tanto da poter dire che le riflessioni sulle sorti del logo si erano ridotte all’osso. Accettati di buon grado, presi a vizio o ad abitudine, i due satanelli sono rimasti lì. A ricordare Casillo e il suo restyling. Anche se il Foggia calcio non esiste più. Adesso è di nuovo Unione Sportiva. E quei due diavoli, lo si può dire, sono sopravvissuti al suo creatore, al contesto. Come dinosauri scampati alle glaciazioni, uniti come siamesi, come carabinieri, come Ale e Franz. Foggia calcio è ancora locuzione quasi dialettale, quando parli della squadra. Ma è scoria anch’essa.

In tutta onestà, quel simbolo non mi va più a genio. Troppo casilliano, troppo zemaniano, per i miei gusti. È argomento classico d’ogni cena in famiglia, d’ogni quasi-sbronza con gli amici e i compagni, chi mi conosce lo sa: vorrei che l’Unione Sportiva tornasse alle tre bande verticali, sul modello Nocerina. Vorrei che l’Unione Sportiva avesse di nuovo il simbolo dell’Unione Sportiva. Tornasse ad essere il riconoscimento iconografico del calore e della fantasiosa lentezza d’un tempo, senza le ansie, le frette e il carrierismo dei Novanta. Ma è una battaglia persa. I satanelli sono entrati nel cuore della stragrande maggioranza dei miei concittadini, ed io non posso che rispettare questo sentimento, accettando la sconfitta dei miei principi. Pur senza cedere le armi.

E vengo al dunque. La letterina riprodotta all’inizio, prima di questo breve excursus nelle mie viscere, è dell’U.S. Foggia. In persona, mi verrebbe da dire. Inviata un paio di giorni fa ai gestori di tre siti foggiani: UnioneSportivaFoggia.com, Foggiacalciomania.com e Usfoggiagol.it. Forse l’avete letta con fretta e superficialità. Ripeto per giovare: La invitiamo a provvedere in tempi rapidi a variare logo e denominazione del Suo sito, in quanto appare palese lo sfruttamento d'immagine dell'U.S. Foggia: le rammentiamo, infatti, che logo e denominazione da Lei utilizzati risultano regolarmente registrati dalla scrivente U.S. Foggia. Quando si canta No al calcio moderno, verrebbe da riflettere, non si compie un gesto di titanica nostalgia. Si ha in mente un insieme di cose, legato a sistema, con precisi riferimenti culturali, sociali, antropologici. Ci si oppone all’imposto, lento martirio di una passione. L’U.S. Foggia è andata oltre. Ha impresso sulla passione il marchio del copyright. Inaccettabile.

Ma pur tralasciando la questione degli highlights, delle migliaia di nostri concittadini che solo attraverso il moltiplicarsi delle fonti d’informazione riescono ad alimentare una fede vissuta a centinaia di chilometri di distanza, c’è da spendere qualche parola sulla concezione, sull’orizzonte mentale che accompagna il latore di una siffatta lettera intimidatoria: il Foggia come bene privato, come proprietà esclusiva di una dirigenza, come gingillo di pochi accoliti, occasionalmente mostrato al resto degli appassionati del genere, una volta a settimana. Come una collezione di maschere di scena. Eppure, Foggia non è Piacenza. Basta farsi un giro: a Foggia si esce con la sciarpa al collo, con la tuta della Legea rigorosamente griffata, si gioca a calcetto con la divisa ufficiale. Foggia è il Foggia, e viceversa. A Foggia il segno della passione adorna i muri, i banchi scolastici, i bagni pubblici. Eppure, nonostante il ruolo e la presunta competenza, un responsabile dei rapporti con il pubblico, parlando dei segni distintivi della foggianità, usa la formula del “palese sfruttamento” di un marchio registrato. Quando Mondonico scese con la sua Cremonese a disputare l’andata dei play-off si disse stupefatto della quantità di trasmissioni televisive sul Foggia. Disse, più o meno, da noi a Cremona, non ce ne sono. Voi sembra che non facciate altro, dal lunedì al lunedì. Ecco, dirigenti. Non pensavo di dovervelo dire, di dover arrivare a tanto: meritate Cremona.

Per chi non ha compreso, non ci sono grandi terapie. Semplicemente, seguiterà a non capire. Ma il concetto è chiaro ed antieconomico, perciò inadatto a chiunque applichi il proprio pragmatismo al banale campo del libero commercio senza sogni: il Foggia siamo noi. Il Foggia sono quelle migliaia di appassionati che indossano sciarpe, preparano bandiere e scrivono sui muri. Senza badare al copyright. Come e più della Fiat per gli operai di linea. E se questo non sta bene agli aguzzini del nostro entusiasmo, beh, siamo pronti ad aprire un nuovo fronte. Uno in più, uno in meno, del resto… La passione è una trincea.

1 commento:

Unknown ha detto...

Ben detto, Lobanowski 2!
I dirgineti della società si sono comportati, in questa faccenda veramente assurda, da autentici pezzenti.

Non riesco ancora a capire cosa ci abbiano guadagnato da una sparata simile e, soprattutto, cosa abbia potuto spingerli a fare un passo del genere. Spero che nell'incontro avuto con i responsabili dei tre siti sotto accusa abbiano spiegato questi motivi e che prima o poi qualcuno voglia renderli noti a tutti i tifosi.

Saluti rossoneri

Franco

Il Libro