09/02/09

Il trasloco

di Lobanowski 2
Domenica 8 febbraio, Foggia-Foligno 2-2
Domenica. C’è chi rientra dalla diffida e chi giace a letto con la febbre; chi si lascia ingoiare dal traffico e chi è ancora alle prese con l’obbligo di firma. Anemica e atipica, la Ciurma s’avvia all’una, dopo aver fagocitato pistacchi e amari di marca. Una sosta dagli ambulanti polacchi, a piazza Libanese, per trattare sul prezzo d’una canna da pesca. È un consiglio dei doriani, quello di issare i vessilli in cima ai sei metri d’asta flessibile. Lo mettiamo in pratica, ma resta teoria. La contraddizione sembra stridente, ma in effetti il gruppo si perde nei meandri di un disguido. E non va oltre le prove generali, fuori dai cancelli della Sud. Bello l’impatto, anche dalla grande distanza, poi il tempo serve a far si che si regolino i conti. Bisogna temprare il collettivo, come in un altoforno. In campo le squadre fanno riscaldamento. Lello mi annuncia che non ci sarà Burzigotti. Cercano d’affinare il mio sapere tecnico, i compagni. Ma non c’è storia.
A verbale che abbiamo completato il trasloco. Basta alzare lo sguardo, stringere gli occhi e aguzzare la vista per rendersi conto delle leghe in teste umane che, adesso, dividono dove eravamo da dove siamo. Più di dieci metri in linea d’aria, dall’alto della destra al cuore della Sud. Abbiamo mantenuto un certo strabismo, come in elogio all’asimmetria. Ma il richiamo dello sventolare perpetuo, delle vibrazioni oltranziste che si respirano al centro, ci hanno costretto a trasmigrare, come marinai all’ordine di un canto. Sopra, dove eravamo, i cori giungono pesanti e solo i più forti – come spermatozoi – resistono e attecchiscono. Certo, ci siamo interrogati a lungo sul nostro ruolo propulsivo: se cantiamo in dieci, c’è probabilità che diventeremo undici, forse finanche dodici. Ma la curva è divertimento. E cosa c’è di più bello che essere il primo ad innalzare il coro della riscossa non appena la squadra prende il primo gol? Cosa di più epico del continuare, e continuare, e continuare la cantilena, mentre il risultato svanisce, evapora? Ecco: tutto questo sopra non lo si può fare. Ed abbiamo ascoltato gli amici che, da diverse settimane, ci chiedevano di compattare il fronte. Dietro la porta, squadre in campo.
Entrano i folignati. Salutano agitando braccia e mani. I fischi atterrano copiosi sul manto erboso. E rimbalzano. Qualcuno grida. Tanto strepito per dei perfetti sconosciuti. Stendono le pezze, e tutto appare chiaro: Tk, che sta per Teenager Korps, La Ghenga, Urb… Che sta per Ultras Brindisi. Sono gemellati, aquilotti e salentini, ma non c’è dubbio che i pugliesi siano più degli umbri, nel pezzetto di curva Nord destinato agli ospiti. E il primo coro della Sud è tutto per loro. Per i gemellati brindisini. Ci sono anche gli Hooligans Warriors, sigla truculenta che scatena una certa inevitabile ilarità. Volemo una curva nuova, scrivono. Noi, a Foligno, non ci accorgemmo neppure che ne avessero una, di curva. Sta di fatto che bisogna portare rispetto: essere ultras a Foligno non dev’essere cosa facile. E allora, ben vengano gli HWF. Con tutto il peso nel nome.
In campo gli ospiti sembrano farsi pochi scrupoli. Non assomigliano affatto alla squadra inconcludente e lenta vista all’andata. Sono in fase crescente, dicono gli esperti, tanto è vero che domenica scorsa, nel recupero, hanno steso il Gallipoli capolista. Sugli spalti, in virtù della nostra nuova e definitiva posizione, siamo circondati dai canti. È un bell’effetto, per le orecchie stanche di chi percepiva cori solo dal basso in alto. Siamo nella baraonda, e balliamo. La curva è colorata, e partecipiamo con uno sventolio costante al costante sventolio di contorno. E quando passa il Foligno, su botta dell’ex De Paula, siamo i primi – o quasi – a seguitare nel coro. Perché, quando giungono le mazzate dal campo, i cori subiscono lo stesso crollo delle ginocchia colpite a freddo. E c’è bisogno di una buona dose d’indifferenza, più che di passione, per soffiare sul fuoco che si stempera. E farlo tornare al suo regolare calore. Il pareggio è una palla che danza sulla linea dall’altra parte del campo. Lo intuiamo, esultiamo. Siamo carichi. La fila di dietro si diletta in una sorta di pogo, il calore si diffonde anche a febbraio. In molti si liberano delle felpe. Spuntano le t-shirt. Alte le rossonere. Tre, quattro, le conto. Bene così. Al duplice fischio, cantiamo ancora. C’è chi è già senza voce: dopo anni di Daspo, non avere i novanta nella gola è contrattempo naturale.
Nella ripresa, ci crediamo di più. Per due, poi tre volte, l’intera curva sparisce nel gorgo del coro. Ed è emozionante. La squadra attacca sotto di noi, guadagna angoli e metri, sembra aver trovato le giuste contromisure agli umbri. Passa. E l’entusiasmo è contagioso. È un gol chiesto, preteso, ottenuto, nella migliore tradizione del dodicesimo in campo. I brindisini tornano nel mirino, presi per culo per quella loro sconcia presenza. La sciarpata, uno dei momenti di maggiore estasi. Un tizio, in mezzo a noi, si toglie dalla gola la sua tubolare in omaggio al duce. Lo guardiamo, lo riguardiamo. Non è incredibile, ma incomprensibile si. Panta rei. I tre punti sembrano acquisiti. Invece il Foligno torna a farsi sotto, e mette alle corde la nostra difesa. Entra Malonga, il ventenne attaccante del Toro acquistato in settimana. L’oooooooooOOOOOOOOO di attesa è stupidino. Olè. Il ragazzino ha i piedi buoni, e a giudicare da come controlla palla, anche una discreta personalità. Bremec si stende a fare il Given su quella che riteniamo essere l’ultima offensiva furente dei blu. Invece, quando la bufera sembra alle spalle, il Foligno pareggia su rigore. E i giocatori corrono a fare festa sotto i brindisini. Che sarà, sarà, Per sempre ti seguirem, Per sempre ti sosterrem, che sarà, sarà. Funereo, sa di rassegnazione. Avremmo preferito un più abbaiato Fino alla fine, Forza ragazzi, invece ci tocca questo. E poi, con le squadre negli spogliatoi, il pirotecnico gioco di ruolo dei tifosi ospiti che – blindati – gridano “Conigli!” a quelli che, in campo, stanno togliendo gli striscioni. Magie dell’auto-rappresentazione. Del resto, non sono solo hooligans. Sono pure warriors.

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