28/08/10

Non pensarci

Mercoledì 25 agosto, Fano-Foggia 1-2

Facciamo così. Questo sarà un pezzo sdolcinato, probabilmente triste, a tratti malinconico come certi quadri impressionisti col tramonto, i fiorellini bianchi e gli stagni. Ma in un momento come questo, proprio non mi riesce di fare meglio. Accontentiamoci.

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L’altra sera Francesco, che non segue, non sa e di solito non vuol sapere nulla di questi fantasmagorici “mondi paralleli” mi ha chiesto, in sostanza, cosa realmente spinga – in un calcio fatto di veleni, televisioni, repressione, interessi e collusioni – a fare gruppo e andare lì dove ti porta il cuore. Senza possibilità di smentita, ho risposto che è il gruppo stesso. Certo, il Foggia, l’Unione Sportiva 1920. Nessun dubbio: ero tifoso dei Rossoneri prima di essere qualsiasi altra cosa. Ma c’è un’alchimia strana, una specie di adrenalina da banda, che si autoalimenta a chilometri e compagnia. È lo scarto, il volano, la differenza sostanziale. E qui non c’entrano i discorsi su quanto di puro sia rimasto in un mondo corrotto o baggianate simili. È la verità, comunque la si voglia intendere.

Umberto è del 1994. Io non ci voglio neppure pensare a cosa facevo nel ‘94. Mi stavo per diplomare, sentivo le posse, occupavo scuola. La compilation da trasferta corre sull’asfalto. Walter il mago è del 1993, Sogni di rock and roll del ‘91. Tango forse dell’85. Non ci voglio pensare. È la sua prima trasferta in gruppo. Il sole brucia la A14, direzione Nord. Qualche accenno di incolonnamento da rientro, ma tutto sommato si marcia spediti. Fano potrebbe essere l’ultima, dice qualcuno. E il pensiero va ricacciato giù, in fondo. Nella stiva dell’anima. Non si riesce a vivere se ci si concentra sulla morte, e la natura fa il suo corso. Millenni di esperienza umana dimostrano che si alzano piramidi e cattedrali gotiche nonostante la fine sia garantita per tutti. Va bene così. Ci vieteranno Lanciano per inspiegabili questioni d’ordine pubblico, poi blinderanno Barletta e Castellammare. Scorrendo il calendario, se tutto va per il meglio, torneremo a viaggiare il 10 ottobre, in direzione Gela, Sicilia. A meno che non si passi il turno in Coppa. Calcoli, combinazioni, incastri. Vivere la propria passione sta diventando un Risiko su vasta scala. Ma bisogna non pensarci, abbiamo detto: Umberto, alla sua prima trasferta, non merita de profundis. E allora la storia è la solita: strada, Borghetti, sigarette, musica. L’ingresso nel paese, l’arrivo allo stadio, le sciarpe enormi ed invernali.

Una camionetta di carabinieri e svariate macchine. Tipi appiedati con sguardo eccessivamente serio, visto il contesto ancora pienamente vacanziero. “Qui non si parcheggia”, ci intima un tale in borghese (ma che sia sbirro ce l’ha scritto in faccia). Un dito ci indica un altrove ultraterreno, che nelle nostre manovre si trasforma nel cortile di un condominio. Motivi di sicurezza a noi ignoti, evidentemente, ritengono quel posto di gran lunga più affidabile. Un sorriso al pensiero di macchine ospiti parcheggiate a Campo reale. Ma si sa, la logica ha abbandonato queste lande. E poi, non abbiamo mica fatto sopralluoghi preventivi. Magari quello è un residence di foggiani emigrati. Alle porte sono inflessibili. Chi è senza biglietto deve farsi la fila al botteghino. Le forze dell’ordine che sigillano il settore e dividono le due tifoserie, si aprono per far passare gli sprovvisti di tagliando. C’è una fila notevole, per essere fine agosto. Almeno ottanta sono i foggiani. Gli altri sono fanesi. Una fila promiscua, che porta pensieri funesti: Ma perché separare a monte ciò che poi, forzatamente, si fa ricongiungere a valle? Perché, come dice lo spot, schiacciare ciò che nasce morbido? Non si sa, ma ci siamo imposti di non pensare. È così, prendere o lasciare. “Oh, sono in fila… anche a nome degli altri, potreste far sospendere la partita visto che qua ci vuole tempo?”.

Il Foggia va sotto, pareggia e vince 2-1. Poco altro da aggiungere, quasi nulla da segnalare: l’eurogol di Insigne, che mi ha ricordato quello di Baggio contro di noi al Delle Alpi, l’ottima trentina di ultras fanesi, i poliziotti infiltrati che fanno uno splendido lavoro sotto copertura (!), le battaglie d’acqua (qualche schizzo colpirà il guardalinee, che li reputerà sputi reiterati e volontari, e il suo referto condannerà il Foggia a pagare 5mila euro, uno sproposito che grida vendetta ed apre altre mille discussioni attualmente in corso).

Usciamo. C’è da recuperare mamma Manu, a spasso col suo carrozzino ed Aurelio nella Fano dell’emergenza ultras, e decidere: Marotta o Mondolfo. Eterno dilemma. La prima è sul mare. Una birra, presumiamo, costerà un pandemonio. La seconda è appena sui colli. Ma i 2 chilometri in più spaventano da morire, così si opta per lo sproposito. Il chiosco è a due passi dalla spiaggia, il cielo è grigio, il mare pure. Luna bassa e appena percepibile, musica metal. 4 euro una 0,66. Lo sapevamo. Ma Aurelio gradisce la vista e si diverte a seguire le onde. Decide lui per tutti. “Possiamo accomodarci?”, chiediamo garbatamente. “Si, ma non vi faccio nessuno sconto”, replica la ragazza, una giara tracimante simpatia. Arrivano i primi bicchieri. E il momento perfetto si attualizza. Ancora una volta. Per l’ultima volta? Non pensarci, non pensarci. Ci proviamo, ma la Tessera occupa i nostri pensieri, impregna le nostre parole. Non potrebbe essere altrimenti. È una spada di Damocle sulle teste di noi tutti. Una fottuta spada di Damocle. Ci sono i diritti civili, certo; c’è il business delle banche, sicuro; c’è il calcio malato e devastato dalle tv e dagli interessi, ovvio. Ma ci siamo noi, soprattutto. Il complotto per evitare nuove serate come questa. Insopportabile. Il discorso vira. Abbiamo, inutile negarlo, grossi problemi di comunicazione. Ne parliamo senza sconti: a Foggia, ma anche a Pisa o a Lucca, siamo arrivati presto al faccia a faccia: tifosi contro ultras, singoli contro gruppi. Una polarizzazione, un gusto dello scontro, che lascia perplessi. Non sappiamo neppure quando è cominciata – forse con la contestazione dei “nuovi foggiani” all’Ariston, forse a Vasto in Coppa, forse molto prima – ma al punto dove siamo è difficile frenare l’inerzia della valanga. Certo, i nuovi tifosi che barattano il Foggia per la dignità sono fastidiosi come zanzare killer. Ma non esiste critica senza autocritica, ed anche in casa nostra dobbiamo liberarci da certi equivoci. Da quella voglia di ghetto che tanto ci piace, da quell’esclusività religiosa che porta ad anteporre la fedeltà alla spiegazione. Indubbiamente, sarebbe stato difficile metterci in fila al botteghino per evangelizzare i candidati abbonati – desiderosi di rivivere il sogno di quella che per loro resta Zemanlandia – a non cadere in trappola. Ma uno sforzo maggiore di comunicazione non sarebbe stato fuori luogo. Molti individui, cani sciolti secondo la vulgata, non sono affatto nostri nemici. Non ci definiscono violenti, non rompono l’anima con gli autogrill devastati o saccheggiati, non ci attribuiscono i mali del paese. Non sono nostri nemici. Avremmo dovuto comprendere prima la loro confusione? Il loro sentirsi “soggetti non garantiti”? Probabilmente si. E adesso è maledettamente tardi. Siamo stati scissi con un colpo d’accetta. E tra di noi serpeggia il disorientamento, mischiato ad una allarmante voglia di normalità: che ne sarà dei nostri cori, dei nostri colori, dei nostri chilometri, delle serate da pasquetta come questa? Il dubbio è atroce, le strategie assenti. Rimane una malinconia profonda. Che neppure il secondo e il terzo giro di birre placa.

Ancora non sappiamo – mentre la ragazza simpatia ci fa gentile omaggio di un paio di taglieri di piadina – che la trasferta di Lanciano verrà giudicata “ad alto rischio” e che Casillo ha fatto sapere che la multa verrà fatta ricadere sui tifosi, con l’aumento dei prezzi dei biglietti. Ignoriamo, mentre la sera nasconde il mare, che a casa ci aspettano decine di neo-tifosi virtualmente inferociti, talmente stanchi di “pagare per gli ultras” (!) che – spalleggiando il Casillo-pensiero – potrebbero fare tranquillamente a meno di noi. A meno di noi? E come? Trasformando gli stadi in luoghi della noia e del nulla, trasformandosi definitivamente in utenti passivi legati al carro dello “spettacolo” sportivo di terza serie? È un’ipotesi talmente assurda che, per la prima volta, mi sembra plausibile. Finanche realizzabile. Quarto giro premonitore: siamo forse sul limitare della sconfitta inevitabile e cerchiamo di posticipare l’inarrestabile caduta? Meglio cambiare argomento. Meglio ritualizzare l’iniziazione di Umberto, il classe Novantaquattro alla sua prima trasferta col gruppo. E l’ironia suona evidente: nominiamo cavalieri mentre perdiamo il feudo. Irresponsabili, incoscienti, idealisti. Il nuovo lampo. Angioletto parla di una Pizza Zeman che il buon Giacinto prepara in quel di Fermo, o di Porto San Giorgio, non s’è capito. “Sono meno di 80 chilometri da qui”. Dietro di noi la luna è altissima, domani è un normalissimo giovedì lavorativo, non arriveremo alla pizza prima delle 2 di notte, ma chi se ne frega. Irresponsabili, incoscienti, idealisti.

Tutto quel che sappiamo, al momento, è che non sappiamo granché, ma come assediati respingiamo il nostro funerale e la fossa comune. Ci difendiamo, passivamente. La radio trasmette la notizia degli atalantini all’assalto di Maroni. Doveva succedere, ne siamo felici, anche se abbiamo sufficiente esperienza per immaginare quanto alte si innalzino – in queste ore – le voci dei tromboni: “Gli ultras hanno fatto un favore a Maroni”. Si, certo. È sport nazionale: contestare chi contesta, naturale sequel all’inazione. Ma tant’è. La pizzeria è chiusa, ma a Fermo c’è ancora un bar aperto. “Incredibile pensare a come il Fano non riuscisse a spazzare in 11 contro 10”, sta dicendo Angioletto, per la ventesima volta. E quando il primo afferra una sedia dal cumulo e la piazza in strada, tutti capiamo che l’attimo perfetto è ricominciato. E non finirà prima di un paio d’ore. Oggi va così, e la stanchezza che pure affiora non è un valido deterrente. Beh, almeno questo è sicuro: non ci prenderanno mai per sfinimento.

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