30/08/10

Ragazzi fuori

Vasto, domenica 29 agosto, Foggia-Lucchese 2-3

Anche lì dove sei ora ti immaginiamo così, con gli occhi sognanti e le braccia al cielo.

La macchina ha sete, Enzo ha fame. L’autogrill prende forma come un’oasi. Il benzinaio ci saluta con solerte cordialità. Chiede di zio Zeman – come se l’avessimo scritto in faccia – appura se lo si vede in giro per la bomboniera, se ha preso casa in affitto, dove compra le sigarette e se ha il contratto ad equo canone. Giuseppe risponde come il coro di una tragedia greca. Poi, a quanto pare, dall’ingresso sfila una dea balneare. L’insolito silenzio stupefatto dell’intero impianto non mi distoglie dalle manopole dello stereo e, in soldoni, me la perdo. Enzo ritorna senza il suo tramezzino, ma egualmente soddisfatto. Il benzinaio riaggancia la pompa al distributore e ci saluta con un vivace vaticinio: “Ragazzi, forza il Foggia e forza il cianno!”. Nel secondo caso, lascia aperti dubbi su un’eventuale istigazione allo stupro che non farebbe onore alla sua stazza da omone gentile. Di nuovo in carreggiata, rinfrancati. La musica riprende possesso dell’abitacolo. Cristina D’Avena, Ciurma! Andiamo tutti all’arrembaggio, “Bella, alza”; Max Pezzali e i suoi cumuli di roba e di spade, “Finalmente!”; Loredana Bertè E la luna bussò, “Finalmente!”. I Matia Bazar. Niente. Ci avviciniamo. Partita a porte chiuse e in campo neutro. Il primo provvedimento è “colpa” di quei “facinorosi” che tentarono l’invasione di campo contro il Pescina, nel ritorno play-out. Quelli che spaventarono l’arbitro fino a fargli ingoiare il fischietto, che all’epoca – nel tardo evo medio degli otto soci e di Ugolotti – furono osannati dalla piazza come salvatori della patria e che oggi, nel Rinascimento Zemanian-casilliano, sono tornati al naturale status di vandali da isolare, raccomandati che hanno strappato ai bravi tifosi – quelli “veri” di cui parla Maroni – la gioia di gustarsi due belle partite casalinghe. Sic transit gloria mundi. E lasciamo perdere che tanto i buoni non le avrebbero viste comunque allo Zaccheria, le due partite, perché il manto erboso è stato arso dal mega-palco e dal pubblico del concerto di Ramazzotti. “Foggia capitale del calcio e della musica”, titolò qualcuno all’epoca dello scempio. Ab uno disce omnis.

Stavolta proviamo Vasto Nord. In fondo, le uscite autostradali sono come le caramelle alla frutta. Vanno assaggiate e comparate continuamente. Immancabilmente, si rivela un chiovo. C’è da ripiegare a gomito lungo 14 chilometri di statale per arrivare ad un centro che appare quanto meno aleatorio. Manca anche il mare. Meglio Vasto Sud. Poi, all’improvviso, una tribuna arabeggiante ci lascia intendere d’essere arrivati. Parcheggiamo. Manca un’ora al via. Abbiamo tutto il tempo di trovare un bar fornito e poco costoso. Magari prima ci concediamo un salto ai cancelli della curva, da dove entreranno gli accreditati. Una svolta, e il cuore ci si riempie di giubilo: tra giornalisti, cameraman, tecnici, aiuti tecnici, fotografi, commentatori ed esperti, c’è una moltitudine formicolante, pulsante di rinnovato entusiasmo. È confortante sapere che l’Unione Sportiva potrà contare sempre su questo zoccolo duro di affezionati pulitori del mare. In fondo, sono lo specchio e l’anima del nostro affascinante sistema meritocratico. Tra di loro ci sono talenti eccelsi: c’è gente che sa accendere un computer, battere a macchina, finanche digitare indirizzi di siti internet. Roba mica da ridere. Li guardiamo muoversi verso le transenne e l’ingresso, e penso che in fondo siano anche pochi. Pochi, per essere il fiore della nazione. Tiriamo dritto verso un bar-tabacchi già sperimentato col Giulianova. Tra gli accreditati c’è chi ci guarda con una certa incuriosita sufficienza. Probabilmente credono che siamo qui per tentare un’imbucata, o per mendicare un ingresso a sbafo. Guai a dire al topo che il formaggio può non essere attraente! Noi puntiamo solo a 4 Peroni grandi e scaliamo la salita. Una pattuglia della volante annuncia e precede il pullman della Lucchese. “Tre ve ne prendete”, è il gesto mimato con le dita. I giocatori, cuffie nelle orecchie, lo scambiano per un saluto nazionalista ortodosso. Basiscono. Anche noi, quando la saracinesca del bar ci accoglie chiusa a doppia mandata. Comincia l’odissea. Circumnavighiamo gli isolati come turisti giapponesi a Ferragosto. I poliziotti ci guardano. Vorrebbero chiederci: “Ma che cazzo cercate?”, ma sono timidi e introversi, e finiscono col tenersi il dubbio dentro. E il dubbio li corrode finché, alle 16 in punto, dalla piazza non ascendono all’impianto le altre macchine e i furgoni. “Ma quante ne dovete giocare qui a Vasto?”, esternano con malcelato disappunto. “E dovete venire per forza?”. Per forza: il Foggia è una specie di reliquia, ed oggi fa bella mostra di se in una chiesa chiusa al pubblico (ed aperta ai soli ministri del culto). Ma questo non deve distoglierci dal nostro impegno di fedeli pellegrini.

Una quarantina. Ci disponiamo sotto un muro. Lo striscione recita Ci siamo ma non ci tesseriamo. Cantiamo Ma che bello è stare insieme a te, tesserati mai, tesserati mai, sempre in mezzo ai guai. E dalla villa, dall’ingresso di curva, fanno capolino teste incuriosite. Diventiamo l’attrazione, lo spettacolo vero. Così è sempre stato, la strada non fa che amplificare la nostra meravigliosa anomalia. Passiamo il posto di blocco per rifornirci di birre. È stato segnalato un gelataio dalla preziosa scorta di 0,66 a 2 euro. Prezzo competitivo per la riviera. Ma prima di giungere al suo esercizio, i nostri occhi si riempiono di strazio e pena: con la faccia tipica dei profughi, le loro povere cose tra le braccia, i bambini tenuti per mano, una quindicina di buoni tifosi è appena stata rastrellata dalla Gestapo in una soffitta del palazzone prospiciente lo stadio. Avevano tentato la fortuna giocando con la sorte. Pensavano forse di raggiungere il terrazzo e godersi un pomeriggio di calcio giocato nonostante i divieti. Invece, forse una crudele soffiata degli ariani condomini, forse il fiuto delle guardie, ha infranto i loro sogni. “Dove li porteranno, adesso?”, ci si chiede costernati. “E chi lo sa”. Birkenau, o forse Dachau. Preghiamo per loro, mentre altri miliziani sbucano dai cortili e dagli altri accessi al palazzone. Mancano i cani. È in corso un rastrellamento. Niente di strano, la deportazione è la spina dorsale del calcio moderno. Proviamo a dimenticare (anche se i loro sguardi ci restano in mente) e omaggiamo il gelataio. Un avventore ci mette in guardia: “Dovete essere sportivi: mai confondere una partita con le botte”. Giusto. Partita con partita. Botte con botte. Torniamo ai nostri cori. Non si levano fiamme dagli attici, dalle scalinate, dai cantieri. Probabilmente la sete di sangue dei rastrellatori s’è placata con la semplice deportazione. Alè, alè, alè il Foggia alè.

Dall’interno s’alzano mormorii. I nostri seri professionisti patentati fanno partire anche qualche “Forza Foggia”, giusto per far capire ai colleghi lucchesi chi è che comanda. Perdono parte di quello smalto che concede l’accredito, certo, ma quello non è mai stato troppo. E neppure sufficiente. Partono telefonate. Girano voci incontrollate. Noi eseguiamo il repertorio, ci divertiamo. Un bambino ci fissa sorridente e se la ride proprio di gusto quando gli facciamo sapere che Rispettiamo solo i pompieri. Alza lo sguardo sul papà che ricambia. Alcune ragazzine sorridono, i ragazzini che le accompagnano sono costretti a seguire i cori per dimostrare chissà che. Evidentemente non siamo mostri inavvicinabili. Qualche elemento s’aggiunge al gruppo e canta, finalmente disinibito nonostante l’apparente nonsense di gridare a squarciagola contro un muro di cinta. Forza Foggia, Vinci per noi. Il coro secco esplode sul muro del palazzo. Esplosione controllata, eco di rimando. Bello. Poi un boato di delusione, i telefonini che trillano o eseguono mazurke e wakawaka, un tale che si affaccia al parapetto, annunciano il vantaggio ospite. Fa niente. Di questa partitella non ce ne frega un cazzo. E puntuale giunge il 2-0. Ok, ci siamo. Bentornato Zeman. Antonio mi chiama. Sento tra i sobbalzi e le urla: “La Lucchese meritava di farne anche di più… il fuorigioco a centrocampo… non si difendono”. Bentornato Zeman. Non si fanno drammi, e ci mancherebbe. Tra tessere e spaccature, abbiamo ben altri problemi. Qualcuno pensa finanche che una bella sconfitta potrebbe bloccare questo delirio di nuova affezione, sbarrare l’accesso ai fedeli dell’ultimo momento. Ma non certo perché vogliamo rimanere soli: noi siamo quel che siamo, aldilà del numero. Però cantare davanti ad un muro non è la stessa cosa, se ci fai l’abitudine. Quindi: meno abbonati, meno tessere. Male non può fare. Nella ripresa il nostro copione non cambia. Forza vecchio cuore rossonero scoppia nell’aria. Sembra, dalla partecipazione dei nostri esperti, che il Foggia stia attaccando all’arma bianca. La polizia smette di muovere su e giù le proprie volanti, si blocca in un angolo, non teme più colpi di testa: di questa partitella, d’altronde… Si fuma, si canta, si beve. Il Foggia segna, poi segna ancora. L’esultanza in strada è un momento da incorniciare. Tornano le voci incontrollate: stiamo dominando, fallendo l’impossibile. “Ma tu che ne sai?”, “Lo so, lo so”, e strizza l’occhio malamente come a sottolineare i suoi superpoteri. Bah. Fatto sta che a pochi dalla fine la Lucchese si impone, di misura e su rigore. E buona parte della Foggia “sportiva” si schianta sulla dura terra: “Ma dove volete che andiamo con questa squadra?”. Facile: Senza tessera, ovunque ti seguirem, ovunque ti sosterrem, senza tessera.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Condivisione alla massima potenza, anche e sopratutto in riferimento alla storia degli accrediti e dell'aria di sufficienza. Non ho neppure la forza o lo stimolo di dire "che non deve farsi di tutta l'erba un f*, perchè molti ci sono andati davvero a lavorare. Cito un altro esempio, non per protagonismo o per citazioni autoreferenziali. Penso a quella persona che ieri ha scritto su un forum di un frequentato sito, che sembrava che io facessi il tifo per la Lucchese. Personalmente mi sono sentito "a casa" e al cospetto della mia squadra, solo nell'ascoltare i cori provenienti dall'esterno dello stadio. E nel rivedere Enzo con la maglia della Ciurma. Per me il Foggia è quello. Sono Antonio, Uno SEMPRE accreditato, quello tra i sobbalzi e le urla.

Marissa ha detto...

Thanks great bloog post

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