07/10/08

Zemanlandia non esiste

di Lobanowski 2

Più degli schemi difensivi. Più della teorizzazione del pressing invasato. Più della difesa della divinità. Quel che non sopporto degli Zemaniani è l’arroganza. La presunzione di chi può permettersi, anche tacendo, di invitare a tacere. Capita sempre nella commedia dell’arte. Se, per fato, in una comitiva c’è un anti-Zemaniano, gli altri fanno quadrato. E dinanzi alle precisazioni, ai dati, agli appunti, si comportano come i fedeli di Padre Pio alle prese con gli storici. Un misto di ostentato menefreghismo vuoto, senza contenuti. Una volta mi capitò di ascoltare un ragazzotto biondo mentre spiegava ai convenuti ad un matrimonio che “Il Foggia con Zeman ha battuto tutti: l’Inter, il Milan, la Juventus”. Mi intromisi per suggerire la più verificabile delle opinioni: che non era vero. Che con le grandi, anzi, aveva sempre perso. Straperso. Che il fagotto delle vittorie era magro: un 2-1 contro la Juve di Ravanelli. E stop. In tre stagioni. Quello si sorprese, spalancò la bocca e s’atteggiò a rapper del New Jersey: Chessò? (Short form in auge nel Tavoliere per designare uno stato d’animo stupito e al contempo radicalmente scettico). La piccola folla s’agitò: come osa, pensava. In un battito di ciglia tutti, uomini e donne, esperti e neofiti, seguaci e distaccati, fedeli e frigidi, avevano scelto da che parte stare, esprimendo simpatia per l’opinione del Rapper. Come se ritenere reale quella finzione fosse un atto di patriottismo. E mentre quello continuava ad agitarsi, ad indicarmi con sorpresa agli amici, ribadendo la sfilza di risultati gloriosi conquistati dal suo Foggia onirico allenato – manco a dirlo – dal Boemo, un esponente della commissione tecnica mi bollò dal pubblico, come per cogliermi in fallo: “E il 2-0 con la Juve?”. Eh! Ecco la prova che cercavano. Avevo torto, e la conoscenza degli almanacchi del signore mi aveva sbugiardato. Attesi che il vento di commenti si placasse. E parlai: “Quello era Catuzzi”.
Povero Catuzzi. Una persona seria, capitata in queste lande nel periodo peggiore della storia. Quando l’ubriacatura era uno spasimo e l’ubriaco non aveva ancora capito che la festa era finita, e diventava molesto. Catuzzi era un signore. Il destino – lo stesso che l’ha strappato ai suoi affetti troppo presto – ci ha impedito di chiedergli, a distanza di anni e a mente rasserenata, cosa diavolo sia successo in quel drammatico girone di ritorno del 1994/95. Un solo punto in trasferta dopo un girone d’andata da Uefa. Un tracollo difficilmente razionalizzabile, che resta avvolto nel mistero e genera dicerie come la guerra tra i ratti genera la peste.

Ma, si diceva, l’arroganza. Taci tu, che quegli anni non li hai vissuti! Taci, che non hai il diritto di parlare male del miglior Foggia della storia! Taci, infedele, che non sei stato a Napoli o a Torino e non sei degno di infangare Zemanlandia!
E in tanti tacciono sul serio, avvinti dalla leggenda e dalla casta sacerdotale – senz’altri meriti che la presenza in vita all’epoca dei fatti – che, unica tra tutti, può esprimersi su quegli anni. Io quegli anni li ho vissuti e mi sono espresso. Pur tuttavia ritengo che l’attenzione debba concentrarsi sul termine, sul nomignolo affettuoso che i fedeli usano per indicare gli anni che vanno dal Novanta al Novantaquattro. Zemanlandia, per l’appunto.Quando si è innamorati, il nome non è un accessorio. Il nome dell’amata, o dell’amato, non è una moneta da 20 centesimi, uguale a tutte le altre monete da 20. Il nome non è un bene fungibile.Credo di averne già parlato. Ribadisco il concetto con un paio di esempi. La squadra di Zagabria di chiama Dinamo. Dal 1945. I tifosi tifano Dinamo. I loro rivali sono i serbi e quelli dell’Hajduk Spalato. Ma soprattutto i serbi, contro i quali combattono diverse guerre sanguinose. Nel 1992 la Croazia ottiene l’indipendenza da Belgrado. Tutto cambia. I nomi delle città, delle strade e delle piazze. Scompaiono le dediche ai partigiani liberatori, ai combattenti contro il nazifascismo, ai filosofi e ai pensatori marxisti; scompaiono le vie contrassegnate da date e ricorrenze significative per il passato governo comunista. Il nazionalismo torna a soffiare forte per le vie di Zagabria. Tanto che, nel 1993, la Dinamo stessa scompare. Scompare nel nome, troppo evocativo, troppo socialista. Scompare come Tito dalle lapidi. Si trasforma in Croatia, per sottolineare la nuova natura del nuovo stato indipendente. Nazionalismo puro. E i tifosi di Zagabria sono nazionalisti fino al fanatismo: hanno combattuto e combatteranno contro i serbi sui veri campi di battaglia del macello balcanico. Eppure quel nome, Croatia, non gli va giù. Non lo accettano. Protestano. Si scontrano persino con la nuova polizia secessionista. Al “Maksimir” appare uno striscione che fa più o meno così: Noi continueremo sempre a sostenere il sacro nome di Dinamo.
Sacro.
Il nome, l’importanza del nome.
Altra location, stessa storia. Nel 1993 fallisce il Catania 1946, la città etnea rimane senza calcio. Un ex-dirigente, Franco Proto, che da qualche anno aveva rilevato il “marchio” dell’Atletico Leonzio, squadra di Lentini, e trasformato il sodalizio in Atletico Catania, si trasferisce armi e bagagli al “Cibali”. Certo dell’affetto per la sua nuova compagine, che nel frattempo godeva di piena salute in serie C1 sfidando quadre del calibro di Reggina, Salernitana, Perugia, Avellino e Barletta.Fa di più, il dirigente: fonda il Catania 1993 e lo iscrive al campionato di serie D.Ma un innamorato resta un innamorato. Nella cattiva sorte più che nella buona. E non c’è uomo degno di maggiore disistima di colui che tradisce il proprio amore di una vita per un’avventura con una sciacquetta qualsiasi in un momento di difficoltà. Il Catania 1946 era in Eccellenza. Ma i catanesi non hanno ceduto al richiamo delle sirene. Perché la categoria non conta. Conta il nome. E quello che rappresenta.Nessuno, da Zagabria a Catania, è mai stato sfiorato dall’idea della fungibilità.
Per un tifoso non esistono giocatori, dirigenti, allenatori, capaci di esaltare o incrinare il proprio rapporto intimo per la maglia, per i colori. Nessun genoano si sognerebbe di chiamare mai Scogliolandia o Bagnolilandia il Genoa Cricket and Football Club. Eppure Scoglio è stato un maestro appassionato, Bagnoli ha espugnato “Anfield”. Nessun napoletano parlerebbe di Maradonalandia. Nessun udinese (!) di Zico o Spallettilandia.Nessuno di loro accetterebbe di buon grado che altri – i giornalisti, i terzi – lo facciano per conto loro. Mi chiedo cosa ci sia che non quadri qui da noi. Zemanlandia. In tutta onestà – e svelo questo mio lato tradizionalista – io ho avuto molte difficoltà persino ad accettare il cambio di denominazione da Unione Sportiva a Foggia Calcio dell’era Casillo. Ancora oggi i due satanelli dello stemma mi risultano indigesti. Ma sono un tipo malleabile, alla fin fine. Ed accetto l’affronto. Finché questo è, in qualche misura, accettabile.Ma la gente – foggiani e foggiane – che parla impunemente di Zemanlandia, questo poi no. Non lo concepisco. Lo ritengo un’offesa personale, sanguinosa, alla mia passione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Naaaaa, Catuzzi, chemmiricordi....E' vero, era un signore. Me lo ricordo quando venne ad Atessa col suo Pescara per un'amichevole di lusso tra la vera "capitale" d'Abruzzo e la squadra locale che inaugurava il nuovo manto e l'illuminazione. Io stavo in campo. Privilegio da "pulcino" o esordiente. Sorridente, disponibile.

Iako

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