06/10/08

Mi pare zero a zero

di Lobanowski 2

Domenica 5 ottobre, Pistoiese-Foggia 1-1

Sulla strada fermiamo un signore di mezza età: Scusi, per lo stadio? L’avevamo chiamato Campo sportivo fino a due minuti prima, ma ci sembrava irrispettoso. Ed allora abbiamo inventato quella pietosa bugia a fin di bene. Eh, fa quello sorridente, ci sto andando anch’io… Poi ci spiega il percorso. E mentre ringraziamo, aggiunge: Non ci fate troppo male oggi, mi raccomando. Non c’è ironia nel suo sguardo, né nel suo tono. Non c’è problema, pensiamo. Notiamo la distanza e, al semaforo, ci facciamo raggiungere per offrirgli un passaggio. Dà un’occhiata al mezzo e ai suoi occupanti e risponde, garbatamente, No, vado sempre a piedi. Al benzinaio alla rotatoria ripetiamo la domanda: Per lo stadio? Quello ci guarda stupito e chiede: Quello della Pistoiese? Ecco: o costui non sa che esiste uno stadio, o ce n’è più d’uno e la gente tifa per l’altra squadra. Questo spiegherebbe molte cose. Davanti al settore ospiti c’è ressa. L’annunciato parcheggio ospiti è in realtà un marciapiede ordinario. Al bar ci dividiamo tra i seguaci dell’amaro e i curatori dei vessilli. I primi entrano, i secondi restano fuori. Un gruppo di anziani esprime giudizi sul culo di una quarantenne di passaggio: Non è mica da buttar via. Uno sta parlando della Juve, un altro ci guarda con curiosità: A che posto è il Foggia? Quarto, rispondiamo. Ah, beh, allora non vi preoccupate dei nostri citrulli. Devono essere tutti così attaccati alla maglia, da queste parti. O tutti troppo realisti. Uno guarda i rimasugli del vino comprato ad Agliana e abilmente travasato in una bottiglia di plastica: Guarda quella bimba, ha del vino nero… Dev’essere delle loro parti… Uva napoletana. I famosi vitigni del Vesuvio narrati da Plinio il Vecchio.
Due ingressi transennati. E la pantomima dell’ordine pubblico si allarga come una leggenda metropolitana. Doppia fila: una per i possessori di biglietti, l’altra per quelli senza prevendita. Aveva strombazzato, l’A.C. Pistoiese, dei botteghini chiusi alla domenica. Per un’intera settimana aveva fatto da sponsor alla Ticket One, convinta di scoraggiare la gente a presentarsi alle porte senza biglietto. Invece qui ce ne saranno almeno cento, in fila. L’imprevisto – che era del tutto prevedibile, bastava fare un paio di telefonate in giro – ha mandato in tilt quella cosa che i più accaniti sostenitori del modello inglese chiamano organizzazione. Nel nome dell’organizzazione, Ceska viene rispedita indietro: non ha un documento che possa confermare la validità della prevendita nominale. Seguire una partita di calcio sta diventando un’impresa logorante. Una gara di nervi. A chi cede per primo. Per solidarietà cambio fila anch’io. Nella zona rossa uno steward sta rompendo l’anima a Daniele per l’asta della bandiera. Non conforme e non autorizzata, dice, mentre due ragazzi cercano di far capire ad un secondo addetto che quel filo di verde attorno allo stendardo rossonero va inteso come vezzo artistico e non come distorsione dei colori della squadra (gli unici ammessi all’interno). La mia fila è ferma. Da troppo tempo. Mi allungo dall’altra parte. Da dentro giunge la voce dello speaker. Le squadre stanno entrando in campo. Mi avvicino ad un tizio: Mi sa dire cosa stiamo aspettando? La risposta è sconcertante (per chi non conosce l’ottusità burocratica degli esecutori d’ordini): un notaio. Apprendo, noi tutti apprendiamo, non senza commozione, che dovrebbe a momenti giungere ai cancelli un mastro notaro che, col suo banchetto da primo della classe, procederà all’autocertificazione dei senza documento. Detto così, nel più schietto stile ottuso. Dall’interno partono i cori dei nostri, un mezzo boato. Si gioca, stavamo pure segnando. E il notaio a che punto sta?, chiedo con ironia guardando la fila statica di quel centinaio di sventurati. Quello non la coglie e risponde serio che stanno provando a contattarlo. In altri termini quest’uomo, così importante per il rispetto della legge Maroni, potrebbe aver staccato il cellulare ed aver optato per una domenica sui colli mentre noialtri qui aspettiamo che la partita finisca senza neppure una radiocronaca? Gli animi si scaldano. Quei dieci poliziotti in fila si mettono il casco e impugnano gli scudi. Ridicoli. Hanno emanato una disposizione e non hanno il coraggio, né la forza, di farla rispettare. Se sul serio sono convinti che basti annunciare la chiusura dei botteghini di uno stadio per non avere gente tra le palle, allora siano consequenziali: lancino quei dieci poliziotti all’arma bianca, a manganellare cento tifosi pacifici ma esausti. Otterranno gli scontri di cui parlare per giorni, la criminalizzazione di cui si alimentano, foriera di nuove diffide, nuovi divieti, nuove proibizioni e nuove assurde disposizioni. Oppure adibiscano a lager una zona della città, per gli indisciplinati. Oppure, ancora, evitino di ciarlare di leggi e disciplina quando sono palesemente non attrezzati all’abbisogna. È un campo sportivo, cazzo, e lì dentro c’è una partita. Nient’altro. Alla fine ci vuole il solito spingi-spingi. Come sempre bisogna urlare per farsi valere. Lo schieramento burocratico si allenta e cede. Mentre sfilo verso il settore penso a cosa dev’essere stato trattenere 2mila napoletani col biglietto in mano sulla banchina di una stazione per …quattro ore. Io ero in fila da mezz’ora e già mi pulsavano le tempie dall’impazienza.
Il settore è una tribunetta di metallo. Mi basta uno sguardo dell’impianto per capire il senso di certe avvertenze: ci saranno sì e no settecento persone, distribuite equamente tra tribuna e curva coperta. I loro ultras non arrivano alla ventina. Se escludiamo l’esordio col Potenza e la gara di Vasto coi pescaresi, è la quarta volta che giochiamo senza tifosi avversari. Tra di noi ci sono molti transfughi e diversi oriundi: gente che per necessità di lavoro o di studio, s’è dovuta adattare a vivere altrove: Perugia, Chianciano, Bologna, Montecatini. Ma anche Torino, Milano e il nord industriale e operoso in generale. Cantiamo: Il Foggia è tutto per me, Il Foggia è tutto per me, E io lo so, Perché non resto a casa. Dall’alto si vede ancora gente intenta a farsi setacciare dall’improvvisazione, all’ingresso. Sventoliamo le due bandiere che ce l’hanno fatta a superare il check-point: quella dell’Angola e quella bianco-rosso-nera col leone etiope. Quella rossonera obliqua giace inerte ed inutilizzata al suolo, orfana com’è dell’asta. Non sappiamo bene a che minuto siamo, ma sopra si canta poco – anche in considerazione del fatto che in molti non frequentano abitualmente la Sud – e scendiamo. Dai gradini i giocatori appaiono in scala 1:1. Alzo lo sguardo e m’accorgo che un tale in arancione la sta spingendo dentro. Dovrei correre a salvare sulla linea, a chiudere la falla aperta dalla difesa, come quel tifoso olandese che spopola su YouTube. Non ce la faccio. L’urlo di Foligno era stato fanciullesco e deprimente. Questo, praticamente, neppure arriva. Il nostro coro non si interrompe, anzi si alza, si fa refrain. E io lo so perché non resto a casa. Avviso Antonello e Ceska dell’avvenuto vantaggio pistoiese. Se ne sorprendono non poco. Ma continuano a cantare. L’intervallo giunge presto. Un primo, sommario bilancio dice che non ho visto praticamente niente.
Un Borghetti costa 2 euro. Nei bagni arriva la voce dello speaker. Il Pescara vince a Taranto. Il Foligno pareggia in casa. Alla fine, saremo tra i pochi ad aver perso al “Blasone”, ne sono convinto. Comincia il secondo tempo. Il Foggia sembra più grintoso. Oggi nessuno urla di togliere la bandiera dalla visuale del campo. Meglio così. Sosteniamo una squadra che finalmente preme, anche se non tira. Mai. Corriamo sulla sinistra, guadagnamo angoli, lottiamo. Pareggiamo sugli sviluppi di un corner. Dobbiamo vincerla, questa partita. E mancano dieci minuti. Dall’antistadio si vede la torre della cattedrale. Come a Cremona. Il loro portiere viene espulso, come a Cremona. E come a Cremona, non segnamo più. Poco prima del fischio finale, un contabile annuncia al vicino che siamo in dieci. Quello, scettico, si mette a contare le maglie bianche. E sparge la voce. Alla fine è uno a uno.
Nell’incolonnamento verso Prato, nel pieno centro di Pistoia, individuiamo la macchina con cui Giuseppe ha deciso di proseguire verso Firenze. Un saluto. Poi si abbassano i finestrini: Oh, s’alza l’urlo, ma insomma chi è stato espulso? Un secondo urlo giunge in risposta: Non lo sappiamo, ma loro erano in nove. In nove? Si, due espulsi dopo il gol e poi il portiere. Un attimo di silenzio. Poi un nuovo urlo: Ma chi ha segnato a noi? Nell’abitacolo si consultano in cinque. Risposta: Non lo sa nessuno. I pistoiesi ai lati, che già erano scettici sul nostro arrivo, diventano enigmatici. E ci guardano attoniti. Oh, che ha fatto il Foggia? Uno s’affaccia e strilla: Mi pare zero a zero.

Nessun commento:

Il Libro