25/03/09

Il terzo pensiero

di Lobanowski 2

Il regionale delle 13:13 si riempie lentamente. Non è ancora orario di punta, i pendolari propriamente detti sono ancora in ufficio. A Barletta salgono quasi esclusivamente studenti.
Ce ne sono sette, nella mia stessa carrozza. Parlano a voce alta, da posto a posto, scavalcando gli altri passeggeri. Lo stato patrimoniale delle aziende è il loro principale tema di dibattito. Studenti di economia, penso, riprendendo l’Indagine sul calcio di Beha per affrontare le ultime trenta pagine.
Il marcio, il doping finanziario e quello farmaceutico, il calcio-scommesse, s’impossessano dei miei pensieri, mentre il treno scivola tra le stazioni di Trinitapoli e Cerignola Campagna.
Poi una ragazza chiede agli altri, di soprassalto, di Paolo e della sua avventura di sabato. Tutti si scuotono, come percorsi da una frenesia di racconto. Si, risponde un’amica, Paolo c’è stato. Un giovanotto commenta: “…poverino, ha pure perso 4 a 1”. Capisco che stanno parlando di calcio. E gli occhi cominciano a vagare sulle parole stampate con sempre minore attenzione, perché l’udito – che molti sbagliando ritengono secondario nella lettura – è ormai rapito. Paolo è partito da un luogo non meglio specificato del barese per andare a vedere la Roma. La sua Roma. In compagnia di amici juventini, che essendo numericamente maggioritari (e manco a dirlo…), gli hanno imposto di vedere la partita nel settore ospiti. A questo si aggiunga che Paolo ha perso 4-1. E qui viene il bello.
La ragazza che ne sa più di tutti, aggiunge: “Però è rimasto felicissimo. È entusiasta. Ha visto lo stadio, ha visto la Roma, si è emozionato”. E lei stessa ne parla con una specie di tenera ammirazione. Io quasi mi commuovo. Alzo lo sguardo dal libro e decido di guardarmeli, questi giovanotti, di passare in rassegna le facce. Avranno vent’anni.
Stanno parlando di un loro amico che, per la prima volta, ha visto la sua squadra del cuore dal vivo. E si è esaltato per una sonora sconfitta.
Tre pensieri mi si intrecciano, stratiformi ed indistinguibili.
Il primo riguarda il calcio, in sé e per sé. Come diporto, come attività agonistica, come passione coinvolgente. La bellezza di questo stupido, geniale sport di squadra e di spalti. È ancora una delle cose più belle della vita, penso. E lo dico a Beha, che so che concorda. È ancora una cosa meravigliosamente caratterizzante, se porta sette ragazzi a parlarne, a parlare di un assente, in un regionale. Un assente che, in definitiva, non ha fatto altre che vedere una partita di pallone, direbbero i cinici. Senza capire. Perché il calcio, ciò che gli ruota intorno e ne è centro, è come la poesia: o la capisci o la capisci. Non si spiega. E, se si spiega, ci perde.
Il secondo strato del mio pensiero troiano, invece, riguardava direttamente lui, il Paolo.
Ho rivisto in lui, che non conosco, il mio fratellino sfortunato, quello che mio padre non ha portato a sei anni sui gradoni dello “Zaccheria”. E che, in mancanza di ciò, s’è dato al Romanismo. Ed ora tifa una squadra che si allena e scende in campo a 350 chilometri di distanza. Nulla di diverso da un freddo gobbo o da un vittimista interista. Anche se mio fratello non è freddo affatto (vittimista si, almeno un po’).
Tifare per qualcosa che non esiste se non come concetto astratto è triste, in definitiva. Religioso, filosofico. Mio fratello vide l’Olimpico, per la prima volta, in una mattinata d’esate. C’era un raduno dei Testimoni di Geova. Lo impressionò comunque. Per dire del potere del manto erboso.
Il terzo pensiero.
Il terzo pensiero è stato Pasquale De Vincenzo. Centrocampista italiano, di scuola Montevarchi. 81 presenze nel Foggia. E 3 reti. Una delle quali il 10 aprile del 1993. Sabato di pasqua. Al minuto 56, con un tocco sotto, a battere Orsi. La rete del pareggio, dopo quella iniziale di Riedle.
Sedici anni. La mia prima volta all’Olimpico.
E in campo c’era il Foggia.

Dico a Ceska: “Tu hai visto sia il Foggia a Potenza che l’Olimpico quella volta con il Lione”.
Mi precede nel ragionamento, e va a parare dove voglio parare: “Non riesco a legare le due cose. Non sembra vero”.

Appunto. Non sembra vero. Il treno accelera dopo Orta Nova. Ironia della sorte, penso che alla fin fine possa dire di essere stato fortunato.

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