16/03/09

La monade ribelle

di Lobanowski 2

Domenica 15 marzo, Sorrento-Foggia 0-0

One, two, three, four ... Can I have a little more? ...Five, six, seven, eight, nine, ten. I love you... Po-po-po-po-po-po...


Fatto sta che ce l’hanno vietata. Mi pare d’essere stato chiaro, al riguardo. D’aver sviscerato i motivi pretestuosi e le ragioni di ordine pubblico che ci costringono a casa. A recitare la nostra parte passiva nella rappresentazione del calcio moderno. Sarà. Ma qualcuno, invincibile nella sua vetusta forma mentis (inadeguata allo spettacolo odierno servito all’ora di pranzo) si chiede ancora perché.

Aggregazione. Questa parola fa paura. Un tempo, quando le strade erano roventi, si era soliti parlare di “adunata sediziosa”. E si dava fondo al codice. Ma era il fine, allora, a far tremare i polsi, a scatenare le ipotesi. Oggi è il mezzo stesso a smuovere le fantasie della società del controllo (e della deresponsabilizzazione dei vertici). Oggi non si teme l’attentato (o la sua preparazione). Oggi l’incontro stesso è percepito come attentato.

“Se viene la Finanza vi multa lo stesso”, dice un ragazzo. Ci multa. Perché Conto Tv ha fatto i conti con le prepagate. Ma non con le comitive, anche occasionali. Sky, che è del mestiere, sa tutelarsi. E ci mancherebbe. Fa contratti ad hoc per i luoghi d’aggregazione. Perché a nessuno salti in mente di partecipare allo spettacolo senza mettere mani al portafoglio. Conto Tv non possiede questi strumenti di oppressione. Non ancora, dico. Un signore anziano parcheggia la sua Uno. Scende: “Che, si vede la partita?”, “Certo, zio, prego”, “Ah, ma c’è folla, magari resto in piedi”, “Ma no, è come allo stadio, tutto sta a farsi largo”. Una persona e mezzo per metro quadro, gli sguardi fissi sul televisore in alto all’angolo. Un danno calcolato per Conto Tv, che tenta di nascondere il fallimento dell’impresa pay-tv per la Prima Divisione. “Si, vabbé, ma se viene la Finanza vi multa lo stesso”.

Una sanzione, una qualsiasi. Per stabilire che il calcio è dei soli acquirenti. Che la partita la si deve vivere in disacerbante solitudine. Monadi, a inseguire una messinscena che non c’è. O, visto che le famiglie non vogliono saperne di tornare laddove non sono mai state (cfr: lo stadio), con moglie e figli. Disinteressati all’evento (che continua a non esserci). Una sorta di colpevolizzazione del tifoso. L’imposizione di un rito ascetico.

Il campo “Italia” del Sorrento è semideserto. Metafora di tutti gli stadi dell’Italia minore, e non solo di quella. Il Sorrento siamo noi, c’è scritto su uno striscione in curva. L’altra è deserta, si gioca in un clima irreale. Lunare. A Castellammare di Stabia non ci sono i cavesi. A Perugia non ci sono i ternani. Il derby si normalizza, diventa una partita (brutta ed anonima) come le altre. È la fine, il capolinea di una passione chiamata curva.

In tanti, ormai succubi del senso di colpa mediaticamente distillato, dicono che un po’ ce la siamo cercata, che l’epoca dei divieti è un concorso di responsabilità. E chi è causa del suo mal. Dicono. Ma sono lontani dal vero. Non hanno compreso che il nocciolo è altrove. E non c’entra niente con lo spingi-spingi delle occasioni di gala. Prendete i napoletani: accusati e condannati a settembre, praticamente scagionati a marzo. Eppure non si torna indietro. Le decisioni, le proibizioni, i limiti restano. Come lasciare in cella un detenuto che il tribunale ha succesivamente ritenuto innocente.

A Perugia non ci sono i ternani, a Castellammare non ci sono i cavesi. E tutto ciò che rende speciale una partita, svanisce, evapora. Saremo sempre bolle di sapone, del resto (cfr: Cockney Rejects).

Dinanzi a tutto questo, cosa dovremmo aggiungere?

Ah, si. È una domenica di sole, la primavera incalza. La Marcegaglia, per battere la crisi, chiede “soldi veri” al governo. Un branco di cani aggredisce ed uccide un bimbo, in Sicilia. In Austria è tutto pronto per il processo a Josef Fritzl, il padre-orco che ha avuto sette figli dalla figlia. In Italia, proseguono quelli per i delitti di Garlasco e Perugia. Marina Ripa di Meana si è sentita male alla “Fattoria” dopo una litigata con Corona, ed è uscita di scena. Il “Grande Fratello” prosegue nell’indifferenza. Negli Usa un provino per modelle si trasforma in mega-rissa da marciapiede. Gli alberi di via della Repubblica hanno messo i primi fiori. L’inviata da bordo campo si chiama Barbara sembra una gran bella figliola. Il commento tecnico è penoso. C’è altro da dire?

Forse che la partita è noiosa. Noiosissima. Sfiorano loro, poi noi. Ma non succede niente. Ci accontentiamo del pari. La Cavese vince. Siamo quasi fuori dai play-out.

In definitiva, abbiamo pagato per uno spettacolo che non c’è stato.

Perché lo spettacolo siamo noi. Tutti noi. E, senza, non c’è tecnica, non c’è giocata che tenga. Che valga il prezzo di un tagliando o della scheda, quanto meno. Noi siamo beoni costretti all’astemia. Ubriaconi che guardano il mondo con gli occhi dolci degli innamorati. E, senza la poesia della bottiglia, scoprono tutte le prosaiche imperfezioni dell’amore. La sinergia tra pay-tv e Osservatorio ci ha mostrato l’Us Foggia – la divinità da cui siamo rapiti – come una squadraccia di C incapace di sbancare Sorrento. Di questo non potremo mai perdonarla.

Verrebbe da condividere la posizione di Vittorio: “Uagliù, fuori c’è la primavera. Basta guardare le partite”. Prenderei il pallone e me ne andrei al parco, se non fosse che, forse, così facendo darei ragione a chi non mi vuole tra i piedi. Ed io adoro dare fastidio.

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