13/03/09

Mistica dell’età dell’oro

di Lobanowski 2

“Era tra gli uomini più ricchi e potenti non solo di Foggia. Osannato, discusso e temuto. Amico di molti pezzi da novanta della Prima Repubblica. Ora Pasquale, anzi don Pasquale Casillo, torna a casa. Torna in uno dei mulini più grandi d’Europa, le Industrie semolerie e mangimifici che riapre i battenti nell’area industriale di Foggia dopo quindici anni di stop forzato”.

Comincia così l'articolo della Gazzetta (del Mezzogiorno). E non può che finire dove porta il cuore (suddito) di questa landa vassalla (per indole):

“In città il nome di Casillo evoca i fasti del Foggia e di Zemanlandia, il periodo d’oro della serie A, un’epoca che ritorna nei ricordi dei tifosi. Inevitabile pensare che il «ritorno di don Pasquale» possa ora lasciarli indifferenti”.

Il rumore della marea. Crescente. Una preghiera sussurrata da migliaia di voci sulla spianata di un antico monastero. Un cantico notturno. Crescente, di cui basta isolare i brandelli per intuirne il refrain: Piano piano si riprenderà TUTTO; Grande don Pasquale sta città aspetta a te!; Verrà verrà e il Foggia si riprenderà.

Invocazioni di storpi che confidano nel miracolo, di bisognosi bendati, di disperati all’ultima spiaggia. Acqua agli assetati. Che spremono quel che resta delle meningi a stecchetto per formulare con certezza copernicana dicerie da bar. Come per il cattolicesimo delle storie edificanti dei santi, quelle del Cerano per il Borromeo. Favole buone per sopravvivere: Ho sentito dire che in teoria oggi Casillo avrebbe una potenza economica addirittura superiore rispetto a quella che aveva in passato, prima del 1994.
Devoti s’accasciano, spossati dalla lunga, longobarda via francigena della fede pellegrina: Se comincio a sognare, comincio a piangere. Ed innalzano canti blasfemi, testimonial dello straniamento, dello spossessamento dell’Io: Siamo venuti fin qua, Siam venuti fin qua, Per vedere il Foggia di don Pasqual. Privatizzazione della fede.
Osceno, semplicemente osceno.

Il sogno della sudditanza. Che si fa consapevolezza: Se c’è qualche persona che ancora tutt’oggi si ricorda del Foggia anche all’estero lo dobbiamo solo a Casillo e Zeman perché in fondo se non ci fossero stati loro a quest’ora del Foggia non si sapeva neanche l’esistenza.
Rabbiosi poveri Cristi nel tempio della società civile: Date a Don Pasquale quello che è di Don Pasquale! Contestatori dell’Oggi, nel nome del nume tutelare dei Tempi Andati: Via i venditrattori dal Foggia!! Con doppio esclamativo a sottolineare l’infanzia mitica del Popolo Bambino. Ridateci la nostra triade (Casillo, Zeman, Pavone).

Addirittura teologi riflessivi, carichi di quella consapevolezza triste che è propria delle umane minuzie: Com’è facile in Italia per i magistrati distruggere un impero fatto di uomini e donne che lavorano e sono orgogliosi di quello che fanno.
Fino al discorso diretto, che è dei prostrati alla divinità: Spero che Don Pasquale possa riorganizzarsi e ritornare ai fasti di una volta. In bocca al lupo Don Pasquale!
Sacerdoti portano a memoria le massime del profeta, che si fanno coraggio nella certezza del Nuovo Avvento: Ricordate le parole dell'epoca... Mi riprenderò quello che mi avete oggi tolto, detto questo a giugno vedrete il suo ritorno.
E i sudditi già lo acclamano. A sedare i tormenti della vita: Finalmente una bella notizia, non vedo l'ora che arrivi giugno. Balsamo e consolazione. Ad invadere gli ambiti angusti dell’amministrazione, in uno slancio poetico che sa già di teocrazia iraniana. O papalina: Don Pasquale sindaco!

Ho visto cinquantenni rimpiangere, a calde lacrime, il nonnismo delle caserme; nonnetti semiparalizzati ricordare, con rimpianto, le prigioni della Seconda guerra mondiale; vispi vegliardi rammaricarsi del tempo passato (che non tornerà), quando in Belgio si esploravano vene di carbone a dozzine di metri sotto terra. La memoria sarà pure ingranaggio collettivo, ma non per questo le visioni dei singoli smettono d’essere fallaci.

Il ricordo offusca, annebbia, riempie di filamenti la vista come l’alga rossa i bicchieri.

“I foggiani hanno smesso di divertirsi coi soldi miei”. Questo si, lo disse Casillo. In un giorno di calda primavera genovese. Ne aveva dette altre, tante, prima di quello sfogo a “Marassi”. Quando insistenti s’erano fatte le voci sullo smantellamento della prima formazione di A, quella dei vari Signori, Baiano, Shalimov, Rambaudi, Petrescu, e gli furono chieste conferme. “Io non faccio il venditore d’animali – disse, con la malagrazia dell’arricchito – io non vendo, io compro”. Baiano venne sotto la curva, si lacerò la maglia: “Io rimango qui, bastardi!”. Non dimentico. Che difetto.

Mi sono divertito coi soldi di don Pasquale? Non lo saprei dire. So che a fine luglio zio Franco, come sempre, come ai tempi della C1, raccoglieva le quote per l’abbonamento. Rateizzato al Cral delle Ferrovie. Pagavo, pagava mio padre. A fine agosto si ritiravano i blocchetti, con un tagliando mancante, quello della cosiddetta Partita Pro-Foggia. Che, immancabilmente, era un Foggia-Milan, o un Foggia-Juventus. Si faceva la fila, col diritto di prelazione che derivava dagli spintoni e dalla fermezza di tenere una fila. Come il secondo anno di A, visto che per l’intero girone d’andata non valsero gli abbonamenti. In trasferta c’andavo coi soldi miei. Certo, c’è stato qualche treno speciale, ma tutto – dai panini al biglietto d’ingresso al “Delle Alpi” o al “Dorico” – era farina del mio sacco. Precario già allora. Poi, d’incanto, ho smesso di divertirmi coi soldi di don Pasquale? Non lo so, non lo saprei dire. A meno che non vogliate vedermi come Troisi alle prese con i soldi del Belice.

Ma aldilà del mio gradimento dinanzi ai 6 gol incassati dalla Samp o dai viola, o agli 8 presi dal Milan, resta il quadro sconfortante di una città senza spina dorsale, che si chiude sulla nostalgia come una gallina sfiancata a covare un uovo presunto. Che, da tempo, è una pietra. O forse non è mai stato null’altro. Una città che vive di e nel passato ed, incapace di fare, invoca il salvatore della patria. Si chiami Chinaglia, Russo, Sensi o Coccimiglio. Ai nuovi padroni occasionali ci si prostituisce per convinzione, senza mai chiedere nulla in cambio: garanzie, progetti, prospettive. Basta la diceria che la mano appartenga ad un Re taumaturgo per riempire la strada di “osanna!” al nuovo venuto. Che, di solito, specula e fugge. Come i capitani d’industria che invocano le gabbie salariali e “investono” nel contratto d’area. Federico II, racconta la leggenda, punì il tradimento della città (che era passata di campo non appena lo Svevo s’era allontanato in Terra Santa) abbattendo le sue mura e lasciandola alla mercé dei conquistatori. Mentre l’Andria, non solo quella calcistica, diveniva Fidelis. Sono passati i secoli, ma l’indole è rimasta.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Landa vassalla e prostituta, la spiegazione è tutta lì. Che ha abbracciato come re e messia nella sua storia diversi sovrani. Popolo che ha celebrato la "città senza mura", simbolo di apertura allo straniero. Quando le mura finirono giù come sputo in faccia degli svevi di fronte al tradimento. E qui si celebra Casillo come si celebra Federico II. Assieme agli angioini, come a Lucera. Vittime e carnefici. Onesti e mariuoli. Di Vittorio e Caradonna. Da foggiano: ma andate a fanculo, foggiani di merda. Questi foggiani.

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