30/11/08

Bloody sunday

di Lobanowski 2

Domenica 30 novembre, Foggia-Paganese 1-1

Il doppio prefiltraggio è disabitato. Nella No man’s land un poliziotto dagli occhi celesti ci guarda, come chi sta per parlare. Della bella giornata, della crisi dei mutui, della social card. Qualsiasi cosa, pur di uscire dal tedio del nulla. Giro la testa dall’altra parte e tiro dritto, verso l’ingresso vero e proprio. Non c’è coda, non c’è ressa, non c’è nessuno. È ancora garbatamente presto, manca più di un’ora all’inizio della partita, e non è previsto il pienone. Noi abbiamo lo stendardo da piazzare in alto, e vogliamo farlo con la massima calma. Entro. Dietro di me, entra Lello. Poi Nicola. Giuseppe, col suo abbonamento omaggio di Tribuna Est, quello regalato a Ceska ad inizio campionato e tramutatosi poi nel Biglietto del Popolo, è bloccato da uno steward. Sono già nella piazzola, e mentre con la testa all’indietro cerco di carpire frammenti della discussione, sento la voce di un poliziotto. Puoi aprire la bandiera? Oddio, penso, non me l’aspettavo. Poliziotti nella Sud? Mi toccherà spiegare del leone anche a Foggia? Srotolo, timoroso. E fulmineo, pronosticato, mi giunge l’ormai classico: Che cos’è? Vorrei dire che non è niente, che non lo so, che è la bandiera che Jordan ha fatto per sé e mi ha mollato a Foligno, che mi ci sono affezionato come a un orfano e che, da allora, me la porto appresso col solo gusto marcio di rispondere a gente come lui che non è niente, che non lo so. Mi limito: è un leone, dico. Quello – lo vedo! Lo intuisco! – sta per chiedermi quale significato abbia, ma all’ultimo momento sterza sul silenzio e muove la manina come a dire: vai, va. Ma io non vado, c’è l’affaire Giuseppe da risolvere. Gli altri mi dicono che non ce l’ha fatta, come di solito si annuncia che un parente non si è risvegliato dall’anestesia totale. Occazzo! Adesso bisogna aspettare Daniele, che per l’occasione ha deciso di pranzare dalla nonna. Un domenicale pranzo foggiano. Abbiamo di che disperarci.

All’improvviso un addetto alle porte annuncia che “è offline!”. Parla del tester, del marchingegno mefistofelico per leggere il codice a barre degli abbonamenti. Via libera. È lo stesso steward ad annunciarlo al povero Giuseppe, che fuori a braccia conserte sembra una parodia di Incompreso. Appena dentro, una divisa blu lo blocca. Sotto braccio porta lo stendardo. In due si prodigano per aprirlo. L’omino lo legge. Pronuncia Naffing per Nothing. I nostri pregiudizi sulle forze dell’ordine sono sempre più logori. Prova a tradurre, quasi ci riesce. Lo capiranno?, ci chiede. Chi se ne frega, rispondiamo. In buona sostanza. Scorta di quattro Borghetti da nascondere e, se possibile, da non lanciare in campo. Lo stendardo, accompagnato dal vento, si innalza al cielo. Rafforzato col nastro isolante, si gonfia come una vela. Tanto che le lettere sembrano dritte. Di fronte a noi si compone il settore ospiti. I paganesi, dice la fanzine della Sud, non sono molto numerosi e ce l’hanno coi nocerini. Sottigliezze filosofiche incomprensibili ad un foggiano: per noi sono tutti napoletani. Tutt’al più, salernitani. Ma la geografia delle rivalità incrociate nell’hinterland partenopeo, è materiale per veri esperti. Alla fine sono almeno duecento, con molti stendardi e diverse pezze appese. Mi piacciono, non posso dire di no. Alle 14:20 mi guardo attorno e, con sommo stupore, m’accorgo che neppure la Sud è piena. È in questi momenti che si pesano i dieci anni di C, come chicchi ad un mercato di granaglie. Ripenso al padre di famiglia con le paste. Non ho l’estremismo dei vent’anni, quando se non eri come me eri un mio nemico. Dieci (e passa) anni dopo posso dire che comprendo, che capisco. Non che condivida, quello poi no. Ma ognuno corre dietro ai suoi sogni di serenità. E se il mio passa dallo “Zaccheria”, e non ci posso far niente, non posso biasimare tutti gli altri. Che non saranno mica sordi, se non sentono la chiamata.

Squadre in campo, mani in alto. Le bandiere del Regime sono sparpagliate, stavolta. Approvo la strategia: bisogna coinvolgere gli angoli morti della curva, che sono tanti. Bisogna dare una lezione di stile a quelli che continuano a chiedere d’abbassare le bandiere per godersi lo spettacolo della Lega Pro. I risultati sono confortanti. I cori sono buoni, un paio molto alti, coadiuvati dal Foggia che preme, che spinge, che costringe gli avversari a rifugiarsi in corner per tre o quattro volte. La Paganese, in maglia blu che sembra il Como, subisce senza reagire. Ma la linea difensiva sembra possente e, soprattutto, temprata alla lotta. Gli interventi sui nostri risultano decisi, ripetuti. Salgado e Del Core sono braccati come animali di grossa taglia. Lello esalta D’Amico, Angelo condivide. Giuseppe sparisce. Epistassi. Nel cuore della curva Sud. Una gran rottura di coglioni, lo si diceva a monte della diagnosi. Il Foggia preme, ma su un rovesciamento di fronte rischia di cadere: un attaccante in blu sforbicia su cross lungo dalla sinistra. Palo pieno, spavento e incredulità. Un ragazzo ci raggiunge dalle profondità della balaustra. Mi si avvicina. E, a freddo, mi pone la domanda che non m’aspettavo. Non ora, non qui: Che significa la bandiera? No, santo cielo! Ancora! Jordan è in alto, al margine della ringhiera. Lo guardo implorante. Continuo a dare spiegazioni sulla creatività altrui. È il leone che sta sui dischi di Bob Marley, rispondo. Quello annuisce, come dinanzi ad una conferma ai suoi sospetti: Ah, comunista? Ecco: questa è inedita. Bob Marley no, io si, rispondo. Sarò stato chiaro? Palo, respinta, gol. Il Foggia ha segnato, il ragazzo esulta, noi tutti esultiamo. Poi mi saluta: Siamo sempre i più forti, dice. E torna verso la balaustra.

Nell’intervallo scacciamo le riserve della Paganese che hanno l’ardire di giocherellare sotto la curva. Quelli s’incazzano. Uno striscione dice che siamo tutti orgogliosi di Vladimir Luxuria. Onestamente, non so. Bisognerebbe evitare che questa logica da strapaese prevalga: Luxuria, a Foggia e per i foggiani, era un semplice ricchione, quando non era nessuno. L’applauso convulso ed emozionato per le sue imprese sull’Isola, oggi, mi sembra tanto – troppo – la replica del servilismo già provato quando era deputata. Sarebbe bello chiarire che l’orgoglio per i concittadini che ce la fanno non va confuso con l’ossequio per il potente di turno. Etero, gay o transgender che sia. Ma il tema è troppo vasto da sviluppare in dieci minuti. In campo le squadre hanno ripreso a darsele. O, meglio, sono i difensori della Paganese a darle. E noi a prendere appunti. Falliamo diversi contropiede propizi. Non tiriamo mai in porta, risultiamo tentennanti e leziosi. In Sud, cantare ha lo stesso effetto di defibrillare un moribondo. L’entusiasmo si spegne, l’assopimento prende il sopravvento. C’è sempre chi fa andare le ugole, ma in pochi, sempre troppo pochi. La Paganese prende metri. Guadagna un angolo, che il laterale batte arretrato, per la botta al volo da fuori. A lato. Angelo ricorda Brehme e Matthaus e versa una lacrima per il calcio d’un tempo.
Ne parlavamo in settimana, a margine di un incontro sulla scuola tenutosi alla Casa della Sinistra. Piero Bernocchi, il leader nazionale dei Cobas, non senza nostalgia, stava relazionando sul Sessantotto, sulla carica intimamente rivoluzionaria di quel movimento. Quei giovani non chiedevano di prendere il potere al posto delle vecchie cariatidi, spiegava, ma andavano oltre, mettendo in discussione l’origine stessa dei poteri costituiti. A questo punto, nell’oratoria del cattivo maestro, è apparso Paolo Sollier, il calciatore operaio del Perugia d’un tempo, fautore di un movimento di calciatori che chiedeva di estromettere l’allenatore, di farne a meno, non riconoscendone più il ruolo. Erano i tempi dei mister che non venivano dai campi di gioco, che il calcio l’avevano studiato solo sugli impolverati manuali. Sollier e i suoi volevano esautorarne la figura e l’essenza, fare della squadra un collettivo autogestito. I compagni e le compagne poco avvezzi alle cose di stadio, annuivano. In parte divertiti dall’aneddoto, in parte celando il consueto snobismo che s’appalesa quando si parla di certe cose. Dietro di me, la voce di Gianni. Mormorata appena, nella serietà del momento. “Io non sono d’accordo”. Lapidaria, d’impeto. A mezza bocca. Lello, che mi stava seduto accanto, e Mattia, dall’angolo, hanno condiviso l’analisi. “Neanche io”. Ecco, ci siamo detti. Il calcio non è altro che lenta e sublime ricapitolazione di sé stesso. E così dev’essere: ogni singola innovazione è un danno (gli shot-out, puah!). Figuriamoci la rivoluzione…

Una botta da fuori a quindici minuti dal termine ha spento i nostri entusiasmi. I paganesi sono rimasti dentro, a cantare Noi siamo gli ultras di Pagani, mentre i riflettori si spegnevano e la curva si svuotava. Una ferita sulla mano destra, che non so come mi sia procurato. Epistassi, ho pensato. Ma era un falso allarme.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

a quanto pare domenica potrete venire a Lanciano e la cos ami fa piacere. mi farebbe ancor più picare un caffettino distensivo prima dell'incontro. si può fare?

oldwarrior

Anonimo ha detto...

riscrivo, evidentemente oggi la lucidità con la tastiera latita.

a quanto pare domenica potrete venire a Lanciano salvo ripensamenti dell'ultima ora dell'Osservatorio; e la cosa mi fa piacere.
Mi farebbe ancor più piacere un caffettino distensivo prima dell'incontro. Si può fare?

Oldwarrior

Anonimo ha detto...

Grazie dell'invito, gradito.
Ma c'è un problema: Prima quando? Immediatamente prima della partita la vedo difficile, molto difficile. Anche perché non sappiamo ancora se saliamo in macchina o in pullman. Quindi, mi sa che non se ne fa nulla. Grazie ancora, ma dovremo rinviare.

Ci vedremo da curva a curva.

Francesco

Anonimo ha detto...

se venite in auto si può fare e non vi preoccupate per la "sicurezza".

ciao

oldwarrior

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