18/06/08

Il punto più basso, primo contributo ad un dibattito aperto

di Lobanowski 2

Il capitolo di Gianluca Morozzi si intitola Toccare il fondo (e poi scavare). Evocativamente, direi. Lo avevo letto durante il mio primo volo aereo, sorvolando l’Isola di smeraldo. Straziato da una febbre palpitante in incubazione e dall’ansia accumulata, mi aveva fatto riflettere. Uno sguardo all’oblò. Il punto più basso. Quello che riconosci mentre lo vivi. E quello che raramente riconosci a posteriori. Morozzi è bolognese. Il suo punto più basso ha una data ed un luogo: Leffe, 1993. “Tiriamo dritto, entriamo finalmente allo stadio.
E ci si gela il sangue”. Ci siamo, lo percepisco: lo spirito inquieto, la premonizione, il passato che incombe. Leffe-Bologna 2-0. Il punto più basso, sempre più basso.

Ceska mi passa gli auricolari dell’emmepitre. Tra un po’ comincia la discesa. Nella tracklist, subito dopo Therew’s a reward dei Bluebeaters e Soon you’ll be gone dei Casino Royale c’è Pino Campagna. C’è solo il Foggia, si chiama la traccia. Paraparà-pararara. Ceska mi osserva, io ricambio il suo sorriso complice. L’Irlanda è molti piedi sotto di noi. Stona pensare al momento più basso a simili altitudini. Eppure.

Poi più nulla, per mesi. Fino alla domanda di Filippo Santigliano, piovuta tra gli scaffali di una libreria: “Ma secondo te qual è il punto più basso toccato dal Foggia in questi ultimi anni?”. Il retrogusto delle domande a bruciapelo, che sanno di portiere a destra e palla a sinistra. Rasoterra. Mente locale, rapida. Una scorsa ai sentimenti frustrati, alle umiliazioni propriamente dette. Di botto rispondo: “Marsala”. Marsala perché era il primo svincolo alla fine del paradiso a tempo determinato che abbiamo vissuto da Caramanno all’ “Arechi” di Salerno. La concretezza della fine, del dirottamento imprevisto della storia. Altri profili, altri orizzonti. Battipaglia, Castrovillari, Palma Campania.

L’uno a uno di Marsala. Buona risposta. Sapore di terriccio tra i denti. L’alone di foschia. Si può fare di meglio. Ne sono convinto. La folgorazione nel dopopranzo: Foggia-Gualdo 0-1. Santa madonna, è vero. Tra me e il Foggia c’era un’ostilità malcelata, all’epoca. Ero allo stadio. Ero fuori dallo stadio. Ero a pranzo di fronte alla Nord. Di tanto in tanto il richiamo della finestra. Il silenzio glaciale. La notizia da una tv locale. Non è possibile, pensai. Non riuscirò ad alzare più la testa dai centimetri quadri che circondano le mie scarpe. Come si fa a riprendersi da una cosa del genere?Eppure si fa. Ci si riesce.

Anzi, capita che un sabato sera, con un occhio lanciato a seguire il 2 della Russia sulla Grecia (quotato 3,10), si riproponga la domanda. E come luce riflessa in un prima, scaturiscano le risposte più impensabili. Quelle più riposte. Due scheletri dall’armadio. Uno 0-2 interno col Tricase. E, ancor di più, un 3-1 a Sant’Anastasia. Gol di Puleo. Uno sguardo al bancone, un fazzoletto per detergere il sudore che comincia a spuntare. Tre a uno a Sant’Anastasia. Questo li batte tutti. Freud avrebbe capito il perché della rimozione, ne sono certo.

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