20/06/08

Il punto più basso? Ancona, 6 giugno 1999

di Lobanowski 1

Il punto più basso? Così, di getto, mi viene in mente la massima di Freak Antoni, “una volta che cadi non puoi che rialzarti. Anche se a qualcuno capita di cominciare a scavare”. Quante volte, seguendo i colori rossoneri del Foggia, ci siamo fermati a pensare che sì, quello era davvero il punto più basso mai raggiunto, concedendoci ad un immotivato ottimismo per il futuro?

Mi capitò di pensarlo spesso nei sei anni di C1 vissuti nel cuore degli Ottanta. Anche dopo una vittoria, se quella significava un’affannosa salvezza all’ultima giornata. La stagione in cui avremmo dovuto far macerie del girone B, sulla panca Gb Fabbri, in campo Mastalli, Marocchi, Messina, Torregiani, Mosti, Pidone e via discorrendo. Metto a fuoco nella camera oscura della memoria un campo in terra battuta, quello di Agrigento, un gol del nostro inguardabile libero, Cerantola, a pochi minuti dalla fine. L’attesa spasmodica della scritta in sovrimpressione a Telefoggia che ci informava del risultato, quando non c’erano trasmissioni su tv private o dirette radio (non dalla Sicilia, allora lontana come l’arcipelago delle Fiji). L’esultanza a casa di Rosario. E subito dopo il senso di frustrazione. Come nella corsa dei topi, dove se arrivi primo sempre topo rimani (per la cronaca, la salvezza matematica la raggiungemmo la partita successiva, ultima di campionato, dopo un grigio 1 a 1 in casa contro il Campania).

Da mandarti al tappeto anche le sconfitte per 3 a 1 vissute dal vivo sull’Isola Verde di Ischia (dove mi aggregai, mio malgrado, ad una gita del dopolavoro Enel mascherata da escursione ecologica) e Martina Franca, dove poco simpatici lontani parenti offendevano il prestigio e il blasone del satanello, faticosamente costruito in quegli anni ‘70 che mi avevano forgiato all’amore per il Foggia. Rischiai la rissa con uno che mi fu presentato come “cugino” (mai più visto da allora) dopo un goffo autogol del nostro stopper (allora si chiamava così) Abate.

Altri punti bassi, le illusioni affogate a due passi dalla riva, altre stazioni infernali della mia vita di tifoso. Ricordate il lungo striscione steso per anni sotto la Sud, dietro la porta, “meglio soffrire per poi gioire, che illudersi e poi morire”. Se non sbaglio fu distrutto durante un’incursione notturna attribuita ai barlettani. Fu rifatto, più bello. Illudersi e morire: stagione 87-88, l’anno della corazzata di Marchioro. Campobasso, la partita dell’autorete di Accardi. Entrammo in coma, non proprio defunti.

Scorrendo l’album di ricordi ahinoi indelebili, riemergono il 2 a 2 contro il Ravenna in casa, stagione 97/98 di B, l’anno della retrocessione, la partita del suicidio tattico di Mimmo Caso, di otto difensori schierati a difesa del 2 a 0, del fuorigioco in linea preteso a centrocampo (e come fanno a coordinare i tempi d’uscita otto giocatori, caro Mimmo? Ce lo spieghi a dieci anni di distanza?), dell’inutile doppietta di Dayo Oshadogan, promessa mancata. Ancora, la stagione 2000-2001 in C2, le sconfitte contro squadre che qualche anno prima sarebbe servito l'ancora lontano da venire Google maps per scoprire chi fossero e dove giocassero. Contro Sora (addirittura promosso in C1, quell’anno), Turris, Juve Terranova, Castrovillari, Tricase, Sant’Anastasia. Capocannoniere del Foggia in quella stagione fu Ricchetti, con 6 gol. E questo la dice tutta di che campionato fu.

Ma se proprio mi chiedete l’impresa di isolarne una di partita, simbolo dello spleen rossonero, l’orologio scorre all’indietro fino al 6 giugno 1999. Stadio del Conero di Ancona. Finale di ritorno dei play out di C1, girone B. All’andata, allo “Zaccheria”, in curva con Lob2, fresca conoscenza fatta in un collettivo universitario (pensate che si laurea solo quest’anno, anzi tra una settimana. Io ho mollato subito, lui se l’è presa comoda, giustamente. Avete presente il testo di Salario Garantito dei 99 Posse? Ecco, così… In ogni caso auguri, Doc…). Al ritorno mi aggrego ai pullman dei tifosi organizzati. La doppia discesa dalla B alla C2 proprio non sarebbe digeribile. E poi, la C2 da queste parti non la ricordano manco gli over 50. No, non può essere, non può accadere. Questi i pensieri che accompagnano il viaggio verso le Marche. La partita una vera sofferenza. Dobbiamo difendere l’1 a 0 segnato da Pilleddu. La sconfitta, con qualsiasi risultato, significherebbe retrocessione. Quando la speranza di aver sfangato un’annata balorda prende piede (ricorderete l’arresto di Casillo qualche anno prima, la società in mano ai tribunali, i giocatori senza stipendio, un allenatore come Mancano mandato allo sbaraglio) ecco la pugnalata al cuore, al minuto 84. Un cross dalla destra, Lagrotteria che stacca in aria e ci resta per secondi manco fosse Micheal Jordan. La palla colpita di testa che entra in rete. Il boato degli anconetani. La crisi di nervi nostra, e dei giocatori in campo. E poi il fischio finale e l’incapacità di accettare il verdetto. Ricordo che per uscire dallo stadio ci dovette quasi caricare, la polizia. Senza forze, saremmo rimasti nella Sud del Conero per giorni, forse mesi, feriti a morte, davvero, questa volta. “La C2, non ci posso credere”, ripetevo tra me e me, forse a voce alta. Ma era un coro, più che un pensiero intimo. “No, adesso vedrai che ci ripescano”, mi ripetevo. “Qualcosa accadrà, sicuro, qualcosa accadrà”. Non accadde nulla. E per quattro anni mangiammo il fango della C2.

p.s. Ora che ci penso, le sconfitte più spezzagambe mai subite sono sempre arrivate nei minuti finali. Un accanimento della Dea della Malasorte. Direi che sarebbe il caso di farla finita, brutta stronza. Ridacci quel che ci spetta, ridacci la Luna.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Anch'io c'ero in quel di Ancona e quel brutto ricordo mi accompagnerà per sempre. Al 90° scese il sipario su una commedia grottesca che si trascinava avanti ormai da anni e gli unici che facevano finta di non saperlo eravamo noi tifosi trascinati dai sensi che spesso offuscano la ragione. Il pianto prese il sopravvento unendo nella disperazione i settantenni ed i tredicenni. Ancora oggi mi ripeto 'ku bastard d Perron'.
Jordan

Anonimo ha detto...

Io ad Ancona non c'ero. I miei rapporti con la curva si stavano pericolosamente raffreddando (magari un giorno lo racconterò). Si stava facendo spazio la dicotomia tra l'impegno politico e la militanza calcistica. La notizia della sconfitta di Ancona, non a caso, mi giunse durante un presidio alla villa. Ricordo che non riuscì più a dire parola per una buona mezz'oretta. Sembravo in transe. Ceska, che mi conosceva da qualche mese, provò a scherzare. Oggi, ne sono certo, non lo farebbe. Sulla strada del ritorno da Cremona mi ha telefonato e con aria sinceramente abbattuta mi ha detto: "Non sai quanto mi dispiace".

Lob2

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