24/09/08

Il rimpianto del tugurio

di Lobanowski 2

C’è tutta una teoria sui boati. Sulla potenza, sui decibel sprigionati da ogni singolo coro di una curva. Ma anche sulla personalità, sulla profondità, sullo stile. Non è solo una questione di originalità, di complessità del canto. Quelli si, sono parametri che contano. Ma il timbro vocale è altra cosa. Da ragazzini, quando frequentavamo le medie, con Marco ci scambiavamo giudizi e pareri. E avidamente, nelle rispettive classi, nelle rispettive scuole, ne domandavamo ai ripetenti cronici, quelli che le trasferte se le facevano sul serio. Ne veniva fuori una graduatoria. I migliori risultavano essere i veronesi: potenti e cavernosi, con una frequenza da corda di basso che riusciva a risalire dal manto alle coperture in ferro, fino a planare sulle teste dei presenti. Come un volatile pesante e aggraziato. I peggiori erano i leccesi, con una ritmica acuta e irritante, alta come una trombetta da parata dei bersaglieri. In mezzo tutti gli altri: i romanisti, possenti ma scostanti, i napoletani, corali ma svogliati, i genoani, i doriani. A ripensarci oggi, c’era l’intero ventaglio di opzioni che passano tra il mestiere e il folklore. Tra l’impegno e la spensieratezza. Tra Yesterday degli Skoidats e Cheope dei Vallanzaska. Per intenderci. Con l’allegria a fungere da pianterreno di uno stabile dove la disciplina era il piano nobile.
La vita ci cambia, ma neppure tanto. Ci sono dei quadri esposti nei musei che, a primo impatto, e per un dettaglio secondario, quasi subliminale, rimandano per forza oscura a tutta una concatenazione nascosta di significati. Il profilo di quel tale col naso segato riporta alla mente i pomeriggi di settembre delle classi elementari. L’ufo che sorvola quella madonna rinascimentale lascia riaffiorare una quantità di partite al Subbuteo che la metà basterebbe. Colpa dei sussidiari, certo. Eppure il folklore della curva B del “San Paolo” continua, oggi come ieri, a richiamarmi il pianterreno. Mentre la sud del “Bentegodi” mi trascina verso lidi di insperata, inattesa ammirazione. Nonostante tutto.
Non pensavo a questo (non pensavo neppure di avere un pensiero al riguardo, a dire il vero) quando il Foligno ha realizzato la rete della vittoria contro di noi. Rewind. Rallenty. Il cross dalla sinistra, il colpo di testa dell’attaccante, la traiettoria sbilenca, alta e arcuata, il nostro portiere che da fermo richiama i reni con una frustata disperata, facendosi risucchiare dalla rete senza riuscire a togliere la palla dal sette. Ne ho visti di boati. Gli avellinesi in curva Nord che esplodono al gol di Luiso, il frastuono dell’ “Arechi”, il tutt’uno stereofonico dell’ “Olimpico”, capace di rimpicciolirti come e peggio di un raggio alieno, quando sembri l’unico tifoso ospite presente e t’accorgi che il gol l’hai preso tu. Proprio tu. Solo tu. E vieni irriso da 50mila persone, ad andar bene. Ne ho visti di boati. Ma a Foligno è accaduta una cosa strana. È accaduto che l’intera tribunetta di fronte s’è alzata di scatto, all’unisono. Ed è partita un’esultanza che m’ha lasciato interdetto. Ed ora coglie i suoi frutti nella riflessione ponderata: era fanciullesca. Un grido fanciullesco, spensierato, che sapeva di diporto e dopolavoro, che – dall’alfa all’omega delle vibrazioni presenti – sapeva di hobby, di passatempo, di sport. Come se il calcio fosse cosa di cui ridere e sorridere, come se questo gioco fosse un gioco, al pari di ogni altro gioco per cui si scambiano opinioni e poi si va a casa a riposare. Non me lo meritavo. Se solo avessi ancora i capelli lunghi (se solo avessi ancora i capelli…), avvertirei papale papale la sensazione d’essere acciuffato e trascinato con la faccia ad un millimetro dal mio presente: tifoso di una squadra che gioca sui campetti dei semiprofessionisti. Come quando andavamo a vedere le partitelle a San Ciro con zio Giuseppe. Dio mio. Ma non per la struttura in sé, non fraintendetemi. Il “Blasone” di Foligno è un campo di tutto rispetto, inaugurato di recente (dall’Anderlecht, mi pare), con dei bagni da categoria superiore. Nel campionato degli autogrill. Ma per l’urlo. È stato quell’urlo, giocondo, che mi ha fatto capire in che serie giochiamo. Ho immaginato le singole vite dei miei singoli dirimpettai. Le loro abitudini, il loro tenore di vita, i loro film preferiti, i loro vini della domenica. Ho immaginato il signore che al primo figlio maschio dice: “Abbiamo fatto gol, batti le mani, a papà”. Cose che mi commuovono in astratto. Ma che in concreto mi straziano. Certo, la conclusione è sempre nelle lacrime e nel lacrimare; forse è che sono sbagliato io, che ho sbagliato tutto, l’approccio con la scuola, con le donne, con gli amici, con la politica, col mercato del lavoro, con la religione. Forse, forse hanno ragione loro. Ho pensato che ognuno di quei papà, ognuno di quei giovanotti, ognuno di quegli anziani diportisti avesse una seconda squadra. Che poi era la prima. Ed era, immancabilmente, l’Inter, o la Juve, o il Milan, o la Roma. O quella che vince lo scudetto, di volta in volta. Ma che neppure quell’altra passione sarebbe riuscita a strappare più d’un suadente sorriso o una mesta alzata di spalle, o una parolaccia, al ritorno a casa. Di fronte al Televideo. “La Juve ha perso?”, “No, ha pareggiato”. Niente di più di un inaspettato dessert. Il guaio di quelli come me è che ritengono il calcio, il gioco e il giocare, specchio e spia d’una persona. Dimmi che tifi, dimmi come tifi, e ti dirò chi sei. È una regola infallibile, tutt’ora a prova di bomba. Negli ultimi anni persino i compagni degni di considerazione politica venivano selezionati in base a questo paramero.
Quando i ragazzi del collettivo di Aversa ci hanno rivelato la loro passione per la Normanna, abbiamo capito che erano nostri compagni. Legati a noi dal doppio filo del sentire, più che dal sottile ponte del pensare. Quando quel ragazzo coi capelli lunghi, tifoso del Napoli, m’ha confessato che il suo anno perfetto è stato quello in cui ha potuto festeggiare, contemporaneamente, la promozione dei partenopei e la doppia retrocessione di Hellas e Chievo, ho sorvolato sul suo trotzkismo e siamo andati a bere assieme. Ben diverso da quelli che fanno smorfie quando rimandi un’assemblea perché c’è Spagna-Turchia in tv. Ma sto divagando. Risento l’urlo. Rivedo i nostri che, nonostante la mazzata, alzano le braccia e fanno ripartire il cantico: Noi non molleremo mai. Percepisco asetticamente la dimensione del fenomeno calcio in piazze che non ci appartengono più di quanto non possa appartenerci il baseball. Come un secchio d’acqua gelata in pieno volto. Nel boato di Foligno ho capito che qualcosa non va. I leccesi erano pessimi, erano gli ultimi. Ma di un altro pianeta. Un pianeta dal cui siamo, al momento, esiliati. E, oggi come oggi, darei via la mia collezione di sottobicchieri per tornare al “Via del Mare”. Per non vivere, come diceva Frankie Hi-nrg, nel rimpianto del tugurio.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto ONORE AI DIFFIDATI. La prima citazione di una squadra che non sia il Milan e il Livorno è per il Foggia. Ma non per la curva, no, per il gioco a zona, con la difesa in linea, senza libero, senza Battistini a coprire le spalle a Contratto e Carobbi (ah, la Fiorentina sgarrupata di un tempo...). Io ultras non lo sono mai stato. Ma il movimento lo seguivo ugualmente, a modo mio. Dei veronesi ricordo quando in 50, in tribuna, si misero a fare il trenino su "Il cuore della curva sud...la la la lala lala la". Grandi. Poi sul 3-0 presero e se ne andarono. Ammiro(ammiravo prima dell'ondata repressiva che tutto vieta) le tifoserie capaci di inscenare grandi coreografie. I genoani, soprattutto. Ma anche i doriani e i fiorentini fine anni '80 inizi '90. Mi piacevano le tifoserie con colori, nomi e simboli non ripetitivi (al bando gli Irriducibili di ogni latitudine): e allora Terni che si fa beffe dei daltonici, Venezia che fa l'accozzaglia di una tavolozza, la Dea Atalanta col suo tifo essenziale e tosto, gli "erotici" del Barletta, i Viesseux il Settebello e la Brigata Pacciani. Il tifo è voce, tamburi, caos ritmico e colori. Così piace a me, sul modello anni '80, con in campo Dirceu a inventarsi tiri da casa sua. Mi ricordo, al termine di un Fiorentina-Juve 1-4, gli ultras viola all'uscita che tentano di organizzarsi per sfogare la delusione sui gobbi che festeggiavano protetti dai poliziotti. Oggi le tifoserie mi sembrano tutte un po' più fiacche. La Fiesole è peggiorata molto. Ci sono andato un paio di volte negli ultimi anni e non mi ha fatto una grande impressione. La Sud del Foggia mi è piaciuta nelle uniche due trasferte che abbia mai fatto: Pescara e Andria, non mi ricordo gli anni. REGIME (ROSSONERO) ce lo abbiamo solo noi. Un nome, la fotografia del presente.

Quita

Anonimo ha detto...

La differenza che si sente oggi in curva rispetto a quanto accadeva anni fa è il coro che parte a 10 voci. No, dico, ho ancora qualche cassetta registrata sugli spalti alla fine degli anni '80 e senti cori partire subito compatti e pieni, di voci. Un saluto

Anonimo ha detto...

questo post è molto bello. mi ritrovo in molte cose e situazioni descritte. mi sono permesso di aprire un post sul mio blog. lo merita.

Anonimo ha detto...

Per il Quita: anch'io ho comprato "Onore ai diffidati" per regalarlo a Ceska, che ne aveva letto una recensione sul Venerdì. Ma non l'ho letto e, a giudicare dai commenti di Ceska, non lo leggerò. Però una sera me l'ha portato a far vedere per farmi leggere il pezzo sul Foggia. Ieri sua mamma ci ha chiamato al cellulare per dirci che Luxuria aveva nominato il Foggia all'isola...

Per Ugaduga: non so bene cosa sia cambiato. Non credo sia questione di passione o di voce. Ci sono ancora curve degne di questo nome. Probabilmente, tra Osservatori e divieti, ricambi generazionali e microfratture, è la curva (intesa in senso lato) che sta cambiando.

Per Oldwarrior: che dire... il tuo commento è fin troppo lusinghiero. Anche quello sul blog. E' vero: le differenze di "fede" possono essere travalicate quando si parla con passione e di passione.

Lob2

Anonimo ha detto...

Ciao, mi fa piacere lasciarti il mio parere...che dire, la mia realtà è da "seconda squadra", nel raggio di 150km abbiamo realtà che hannofatto la storia sul campo e sugli spalti: Samp e Genoa, Juve e Toro, Milan e Inter, posso chiedere ad un ragazzino fedeltà ad una squadra che vivacchia in serie D ed ha tre tifoserie nel girone? Io stessa ti confesso una simpatia per la Roma, che però è andata scemando negli anni...
Onore ai diffidati l'ho letto, non male, ma troppo romanzato per i miei gusti, e la Fossa è solo contorno...
Riguardo alle tifoserie che citi faccio un appunto solo sui veronesi, secondo me negli ultimi tempi sono un po'calati e vivono molto di rendita, ma è un'impressione, è un bel po' che non li vedo dal vivo...
Ciao, Francesca

Il Libro